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#181 Guest_deleted32173_*

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Inviato 02 novembre 2017 - 07:26

Halloween
 
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Lo storico Nicholas Rogers, ricercando le origini di Halloween, nota che mentre alcuni studiosi hanno rintracciato le sue origini nella festa romana dedicata a Pomona - dea dei frutti e dei semi - o nella festa dei morti chiamata Parentalia, Halloween viene più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain (pronunciato [ˈsɑːwɪn] o [ˈsaʊɪn]), originariamente scritto Samuin (pronunciato [ˈsaṽɨnʲ] in gaelico).[2] Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell'arcipelago britannico, deriva dall'antico irlandese e significa approssimativamente "fine dell'estate".[2][3][4]
 
La tesi della derivazione di Halloween da Samhain fu sostenuta da due celebri studiosi di fine Ottocento, Rhŷs e Frazer[5]: secondo il calendario celtico in uso 2000 anni fa tra i popoli dell'Inghilterra, dell'Irlanda e della Francia settentrionale, l'anno nuovo incominciava il 31 ottobre.
 
Nell'840, sotto papa Gregorio IV, la Chiesa cattolica istituì ufficialmente la festa di Ognissanti per il 1º novembre: probabilmente questa scelta era intesa a creare una continuità col passato, sovrapponendo la nuova festività cristiana a quella più antica. A conferma, Frazer osserva che, in precedenza, Ognissanti era già festeggiato in Inghilterra il 1º novembre. Questa tesi ha avuto amplissima diffusione.
 
Tuttavia lo storico Hutton l'ha messa in discussione, osservando come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli prima di divenire festa di precetto, in date discordanti nei vari Paesi: la più diffusa era il 13 maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1º novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica)[5].
 
Secondo l'Oxford Dictionary of English folklore: «Certamente Samhain era un tempo per raduni festivi e nei testi medievali irlandesi e in quelli più tardi del folclore irlandese, gallese e scozzese gli incontri soprannaturali avvengono in questo giorno, anche se non c'è evidenza che fosse connesso con la morte in epoca precristiana, o che si tenessero cerimonie religiose pagane»[5]. L'associazione centrale col tema della morte sembra affermarsi in un periodo successivo, e appare evidente nella più recente evoluzione anglosassone della festa con le sue maschere macabre.
 
Dopo che il protestantesimo ebbe interrotto la tradizione di Ognissanti, in ambito anglosassone si continuò a celebrare Halloween come festa laica. Negli USA, a partire dalla metà dell'Ottocento, la festa si diffuse (specialmente a causa dell'immigrazione irlandese) fino a diventare, nel secolo XX, una delle principali festività statunitensi[6].
 
Negli ultimi anni del secolo la festività di Halloween ha assunto carattere consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati originari. Festeggiamenti che durano interi weekend sono ormai tipici in tutti gli Stati di influenza anglofona. Così in USA, Irlanda, Australia e Regno Unito, Halloween viene festeggiato come una "festa del costume", dove party in maschera e festeggiamenti tematici superano il tipico valore tradizionale del "dolcetto o scherzetto", per dar vita a una nuova tradizione di divertimento, caratteristica di una gioventù cresciuta.
 
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Origine del nome
La parola Halloween rappresenta una variante scozzese, dal nome completo All Hallows' Eve che tradotto significa "Notte di tutti gli spiriti sacri", cioè la vigilia di Ognissanti (in inglese arcaico "All Hallows' Day", moderno All Saints' Day).[7] Sebbene il sintagma All Hallows si ritrovi in inglese antico (alra hālgena mæssedæg, giorno della messa di tutti i santi), All Hallows' Eve non è attestato fino al 1556.[7]
 
Secondo Renato Cortesi l'origine andrebbe ricercata nel racconto del personaggio di Jack O' Lantern che fu condannato dal diavolo a vagare per il mondo, di notte, alla sola luce della zucca "scavata" contenente una candela. Poiché il termine inglese per scavare è "to hollow" (e quindi l'atto di scavare è "hollowing") da ciò deriverebbe il nome Halloween[8].
 
Simboli
 
Il presidente Kennedy a Halloween nel 1963.
Lo sviluppo di oggetti e simboli associati a Halloween si è andato formando col passare del tempo. Ad esempio l'uso di intagliare zucche con espressioni spaventose o grottesche risale alla tradizione di intagliare rape per farne lanterne con cui ricordare le anime bloccate nel Purgatorio.[9] La rapa è stata usata tradizionalmente a Halloween in Irlanda e Scozia,[10] ma gli immigrati in Nord America usavano la zucca originaria del posto, che era disponibile in grandi quantità ed era di maggiori dimensioni, facilitando così il lavoro di intaglio.[10] La tradizione americana di intagliare zucche risale al 1837[11] ed era originariamente associata al tempo del raccolto in generale, mentre fu associata specificamente a Halloween verso la seconda metà del Novecento.[12]
 
Il simbolismo di Halloween deriva da varie fonti, inclusi costumi nazionali, opere letterarie gotiche e horror (come i romanzi Frankenstein, Dracula e Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde) e film classici dell'orrore (come Frankenstein, La mummia, L'esorcista e Shining).[13] Tra le primissime opere su Halloween si ritrovano quelle del poeta scozzese John Mayne, che nel 1780 annotò sia gli scherzi di Halloween in What fearfu' pranks ensue!, sia quanto di soprannaturale era associato con quella notte in Bogies (Fantasmi), influenzando la poesia Halloween dello scrittore Robert Burns.[14] Prevalgono anche elementi della stagione autunnale, come le zucche, le bucce del granturco e gli spaventapasseri. Le case spesso sono decorate con questi simboli nel periodo di Halloween.
 
Il simbolismo di Halloween include anche temi come la morte, il male, l'occulto o i mostri.[15] Nero, viola e arancione sono i colori tradizionali di questa festa.
 
Simbolismo del "dolcetto o scherzetto?"
 
Dolcetto o scherzetto in Svezia.
È un'usanza di Halloween che i bambini vadano mascherati di casa in casa, chiedendo dolciumi e caramelle o qualche spicciolo con la domanda "Dolcetto o scherzetto?". La parola "scherzetto" è la traduzione dall'inglese trick, una sorta di minaccia di fare danni ai padroni di casa o alla loro proprietà, se non viene dato alcun dolcetto (treat). Esiste una filastrocca inglese insegnata ai bambini delle elementari su questa usanza: "Trick or treat, smell my feet, give me something good to eat".[16]
 
La pratica di mascherarsi risale al Medioevo e si rifà alla pratica tardomedievale dell'elemosina, quando la gente povera andava di porta in porta a Ognissanti (il 1º novembre) e riceveva cibo in cambio di preghiere per i loro morti il giorno della Commemorazione dei defunti (il 2 novembre). Questa usanza nacque in Irlanda e Gran Bretagna,[17] sebbene pratiche simili per le anime dei morti si rinvengano anche in Sud Italia.[18] Shakespeare menziona la pratica nella sua commedia I due gentiluomini di Verona (1593), quando Speed accusa il suo maestro di «lagnarsi come un mendicante a Hallowmas [Halloween]».
 
La zucca di Halloween: "Jack-o'-lantern"
La zucca di Halloween, che nei paesi anglofoni viene chiamata col nome di "Jack-o'-lantern", è uno degli oggetti e simboli principe della festività del 31 ottobre. Si tratta di una zucca scavata a mano, sulla cui superficie vengono intagliati i tratti di un volto, solitamente malefico e dal ghigno beffardo. Al suo interno, una volta svuotata della polpa e dei semi, viene riposta nella zucca una candela che, accesa, consente di vedere i tratti intagliati anche in pieno buio.
 
Si ritiene che la tradizione di intagliare zucche sia originaria dell'Irlanda. La prima documentazione certa di tale pratica risale tuttavia solo ai primi dell'800. Tale pratica era certamente diffusa in tutta l'isola irlandese ed in alcune parti della Scozia.
 
In Nord America la prima attestazione certa di zucche intagliate per la notte di Halloween risale al 1834[20]. Tuttavia, è molto probabile che la pratica dell'intaglio si svolgesse anche antecedentemente, ma era un'usanza riconducibile al semplice periodo annuale di raccolta delle zucche. Solo successivamente quindi la zucca sarebbe stata collegata alla festività del 31 ottobre.
 
La leggenda di "Jack-o'-Lantern"
Esistono molte varianti riguardo alla leggenda di "Jack-o'-Lantern".
 
La più diffusa e conosciuta è comunque quella di derivazione irlandese: Jack, un fabbro astuto, avaro e ubriacone, una sera al pub incontrò il diavolo. A causa del suo stato d'ebbrezza, la sua anima era quasi nelle mani del demonio, ma astutamente Jack chiese al demonio di trasformarsi in una moneta, promettendogli la sua anima in cambio di un'ultima bevuta. Jack mise poi rapidamente il diavolo nel suo borsello, accanto ad una croce d'argento, cosicché il demonio non potesse ritrasformarsi. Per farsi liberare il diavolo gli promise che non si sarebbe preso la sua anima nei successivi dieci anni e Jack lo lasciò andare.
 
Dieci anni più tardi, il diavolo si presentò nuovamente e questa volta Jack gli chiese di raccogliere una mela da un albero prima di prendersi la sua anima. Al fine di impedire che il diavolo discendesse dal ramo, il furbo Jack incise una croce sul tronco. Soltanto dopo un lungo battibecco i due giunsero ad un compromesso: in cambio della libertà, il diavolo avrebbe dovuto risparmiare la dannazione eterna a Jack.
 
Durante la propria vita Jack commise però così tanti peccati che, quando morì, fu rifiutato dal Paradiso e presentatosi all'Inferno, venne scacciato dal diavolo che gli ricordò il patto, ben felice di lasciarlo errare come un'anima tormentata. All'osservazione che fosse freddo e buio, il diavolo gli tirò un tizzone ardente, che Jack posizionò all'interno di una rapa intagliata che aveva con sé. Cominciò, così, da quel momento a vagare senza tregua alla ricerca di un luogo in cui riposarsi.
 
Da allora, nella notte di Halloween, aguzzando bene la vista, potreste vedere una fiammella vagare nell'oscurità alla ricerca della strada di casa: la fiammella di Jack.
 
I costumi di Halloween
Durante la festività di Halloween è molto radicata nei paesi anglofoni (ma non solo) la tradizione di indossare abiti che in Italia potrebbero dirsi carnevaleschi, ma che da essi si distinguono per una spiccata propensione al macabro e al grottesco.
 
 
Un esempio di travestimento per Halloween
Nonostante la prima attestazione di indossare costumi la notte del 31 ottobre risalga al 1585 in Scozia, non è certo che essa sia ascrivibile alla festività che oggi chiamiamo Halloween. Indubbiamente, le prime referenze certe su tale pratica si attestano sul finire del 1700 in Scozia ed Irlanda.
 
La pratica di indossare costumi la notte di Halloween deriverebbe dalla credenza che, nella notte del 31 ottobre, molti esseri sovranaturali e le anime dei morti abbiano la capacità di girovagare per la Terra tra i viventi.
 
Negli Stati Uniti d'America tale pratica è documentata per la prima volta nel 1911, quando un giornale di Kingston (Ontario) pubblicò un articolo nel quale si parlava di alcuni bambini che avevano passeggiato travestiti per le vie della città. Tuttavia, nei primi anni del novecento, la pratica di travestirsi era presso che nulla tra gli adulti. I vestiti di questo periodo erano sempre realizzati in ambito casalingo, ed il trucco era in stile gotico.
 
A partire dagli anni '30 alcune aziende americane, in particolare la Ben Cooper Inc. di New York, cominciò a produrre su scala industriale abiti e costumi per Halloween, che iniziarono ad essere acquistati dai cittadini all'interno di supermarket e negozi per bambini. I personaggi più utilizzati erano (ma tutt'oggi sono) vampiri, zombie, lupi mannari, fantasmi, scheletri e streghe. Col passare dei decenni, a questi personaggi si sono poi aggiunti quelli dei super eroi e degli alieni.
 
Una volta diffusasi tra gli adulti, la pratica del travestimento di Halloween è a volte stata utilizzata come una "scusa" per indossare abiti succinti e sexy, che mostrano parti del corpo quotidianamente non accettate dal pensiero comune.
 
 
 


#182 Guest_deleted32173_*

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Inviato 09 novembre 2017 - 05:30

Raggi X
 
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William Crookes investigò sugli effetti di scariche di energia in gas nobili. Costruì quello che adesso è chiamato un tubo di Crookes, poi evolutosi in tubo radiogeno: un cilindro di vetro al cui interno è fatto il vuoto, contenente degli elettrodi per produrre correnti ad alta tensione. A pressione ambientale esso emetteva luce visibile, che variava di tipo col decrescere della pressione, fino ad affievolirsi sotto vuoto spinto, per poi spegnersi. Trovò che, disponendo delle pellicole fotografiche vicino al tubo, alcune venivano impressionate, ma non investigò questo aspetto. Difatti, in realtà l'emissione luminosa non si interrompeva come inizialmente aveva creduto, ma diventava invisibile solo all'occhio umano (dato che i raggi emessi lo attraversavano).
 
 
Schema della produzione di raggi X con un tubo radiogeno
Nel 1892, Heinrich Hertz dimostrò che i raggi catodici potevano passare attraverso fogli di metallo molto sottile (come l'alluminio). Philip Lenard, uno studente di Hertz, continuò ad investigare. Sviluppò una nuova versione del tubo catodico, e studiò la penetrazione dei raggi X attraverso vari metalli. Lenard, però, non si rese conto della natura della radiazione che stava producendo, che pensava invece fosse di tipo noto.
 
Nell'aprile 1887, Nikola Tesla iniziò a studiare i raggi X usando sia i propri apparecchi che i tubi di Crookes. Dai suoi resoconti tecnici, si vede che inventò e realizzò uno speciale tubo a raggi X con un singolo elettrodo. I tubi di Tesla differivano dagli altri per non avere un elettrodo bersaglio. Spiegò tutto questo nella sua lezione sui raggi X del 1897, all'Accademia delle Scienze di New York. Il termine moderno per questo processo è "bremsstrahlung", dove un'emissione secondaria di raggi X energetici viene prodotta quando particelle cariche (per esempio elettroni) passano attraverso la materia. Nel 1892 Tesla aveva compiuto numerosi esperimenti in tal senso, ma non rese pubblici i suoi risultati. I suoi esperimenti successivi lo portarono ad avvertire la comunità scientifica per primo dei rischi biologici connessi all'esposizione dei raggi X.
 
 
Lo spettro elettromagnetico
Hermann von Helmholtz formulò una descrizione matematica dei raggi X. Ipotizzò una teoria della dispersione prima che Röntgen facesse le sue scoperte e annunci. La sua formula era basata sulla teoria elettromagnetica della luce
 
L'8 novembre 1895 Wilhelm Röntgen, uno scienziato tedesco, iniziò a osservare raggi X mentre sperimentava con i tubi a vuoto, uno dei quali era il modello avanzato costruito in precedenza da Lenard[3]. Röntgen scrisse il 28 dicembre 1895 un rapporto preliminare "Su un nuovo tipo di raggi: una comunicazione preliminare". Lo spedì alla rivista della Physikalisch-Medizinische Gesellschaft di Würzburg. Fu il primo annuncio formale e pubblico dei raggi X. Röntgen chiamò la radiazione "X", per indicare che era ancora di tipo sconosciuto. Il nome rimase, anche se molti dei suoi colleghi suggerirono di chiamarli "raggi di Röntgen" (Röntgen stesso si oppose a questa denominazione). In alcune nazioni, quest'ultimo nome è ancora usato. Röntgen ricevette, nel 1901, il primo Premio Nobel per la fisica grazie a questa scoperta. Alcuni colleghi, tra i quali Lenard, contestarono questo riconoscimento, affermando di aver scoperto prima di Röntgen i raggi X.
 
L'uso dei raggi X per scopi medici fu iniziato da John Hall-Edwards a Birmingham, Inghilterra. Nel 1908 dovette farsi amputare il braccio sinistro a causa di una dermatite causata dai raggi X.
 
Reazioni alla scoperta[modifica | modifica wikitesto]
Appena pochi giorni dopo la consegna del rapporto preliminare scritto da Röntgen, la notizia della scoperta fece il giro del mondo e il 5 gennaio 1896 comparvero i primi articoli sulla stampa ("Press" di Vienna) e dieci giorni dopo se ne interessò anche l'autorevole New York Times. Il tenore degli articoli non fu gradito a Röntgen, che ravvisò sia un eccessivo tono sensazionalistico sia una marcata attenzione posta nei riguardi delle fotografie, a scapito di quello che secondo lo scienziato avrebbe dovuto essere il vero obiettivo delle inchieste e cioè la natura e le qualità dei raggi.[3]
Inoltre qualche suo eminente collega, come ad esempio Lord Kelvin, si mostrò inizialmente scettico e non mancarono neppure numerose vignette umoristiche che evidenziarono un alto grado di fraintendimento sul senso della scoperta, e infine un buon numero di ciarlatani, come una ditta londinese che pubblicizzò la messa in commercio di una "biancheria a prova di raggi X";[3] o dei religiosi francesi che si appropriarono del fenomeno, sostenendo addirittura di poter fotografare l'anima.
 
Raggi X e raggi gamma, come le radiazioni ionizzanti in genere, sono classificati dagli anni settanta secondo lo IARC come agenti cancerogeni noti[4][5], nell'impiego radiologico e tomografico, e al contempo uno dei metodi di indagine più utili. Prima di sottoporsi a esami controproducenti, occorre che un esperto valuti il rapporto rischi-benefici, evitando che l'eccesso diagnostico si trasformi in una concausa della malattia.
 
Gli studi degli epidemiologi Alice Stewart e George Kneale hanno documentato tra il 1953 e il 1956 il rischio di malformazioni e di cancro nei neonati, se questi o le donne in gravidanza vengono sottoposte ai raggi X.
 
 
 


#183 Guest_deleted32173_*

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Inviato 18 novembre 2017 - 08:27

Vino
 
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Nel Valdarno Superiore sono stati ritrovati in depositi di lignite, reperti fossili di tralci di vite (Vitis vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Diversi ritrovamenti archeologici dimostrano che la Vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa. Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico; si pensa che la scoperta fu casuale e dovuta a fermentazione naturale avvenuta in contenitori dove gli uomini riponevano l'uva. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Nel 2010 in Sicilia presso i complessi sotterranei del monte Kronio (Sciacca) e nello scavo Sant’Ippolito di Caltagirone sono stati scoperti i residui legati del processo di vinificazione di vino in una giara dell'Età del Rame, collocate all’inizio del IV millennio a.C. e rappresentano le testimonianze più antiche d'Europa.
 
 
Siti archeologici di produzione del vino e dell'olio.
Nel corso del XX secolo gli archeologi si sono imbattuti casualmente nella più antica giara di vino mai rinvenuta. Nel 1996, infatti, una missione archeologica statunitense, proveniente dall'Università della Pennsylvania e diretta da Mary Voigt, ha scoperto nel villaggio neolitico di Hajji Firuz Tepe, nella parte settentrionale dell'Iran, una giara di terracotta, della capacità di 9 litri, contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d'uva. La notizia, riferita da Corriere Scienza del 15 ottobre 2002, aggiunge che i reperti rinvenuti risalgono al 5100 a.C., quindi a 7000 anni fa, ma gli specialisti affermano che il vino è stato prodotto per la prima volta, forse casualmente, tra 9 e 10000 anni fa nella zona del Caucaso. Sembra infatti che il primo vino sia stato prodotto del tutto per caso (come è avvenuto per il pane lievitato) per la fermentazione accidentale di uva dimenticata in un recipiente.
 
È comunque accertato che la produzione su larga scala di vino è iniziata tra il 4100 e il 4000 a.C. datazione inerente ai ritrovamenti della prima casa vinicola trovata nel complesso delle caverne del comune armeno di Areni[12].
 
I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è solo con la civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del vino.
 
La Bibbia (Genesi 9,20-27) attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè: successivamente al Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna con il cui frutto fece del vino che bevve fino ad ubriacarsi. Il cristianesimo vede nel vino un simbolo del sangue di Gesù Cristo, che nel corso dell'ultima Cena egli definì "per la nuova ed eterna alleanza, versato per molti in remissione dei peccati".[13] Il cattolicesimo, in particolare, considera il vino la specie sotto cui, nel sacramento dell'Eucaristia, sarebbe realmente presente il sangue di Gesù Cristo.
 
Sotto l'Impero romano ci fu un ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In questo periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio (in particolare in Italia, Gallia Narbonensis, Hispania, Acaia e Siria), e con l'aumentare della produzione crebbero anche i consumi.
 
Ad ogni modo il vino prodotto a quei tempi nell'area del Mediterraneo era molto differente dalla bevanda che conosciamo oggi: a causa delle tecniche di vinificazione e conservazione (soprattutto la bollitura), il vino risultava essere una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Era quindi necessario allungarlo con acqua e aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole.
 
Diversamente, i popoli celtici già prima del contatto con la romanità producevano vini leggeri e dissetanti[14] e li conservavano in botti di legno[15] invece che nelle giare.
 
Con il crollo dell'Impero Romano la viticoltura entra in una crisi dalla quale uscirà solo nel medioevo, grazie soprattutto all'impulso dato dai monaci benedettini e cistercensi. Nella stessa Regola, Benedetto afferma:
 
« Ben si legge che il vino ai monaci assolutamente non conviene; pure perché ai nostri tempi è difficile che i monaci ne siano persuasi, anche a ciò consentiamo, in modo però che non si beva fino alla sazietà. »
Gian Battista Vico intravide nella concezione medioevale del vino come genere di prima necessità un carattere della barbarie di quest'epoca.
 
 
Mescita di vino rosso, Tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo)
Proprio nel corso del medioevo nasceranno tutte quelle tecniche di coltivazione e produzione che arriveranno praticamente immutate fino al XVIII secolo, quando ormai la produzione ha carattere "moderno". Ciò grazie alla stabilizzazione della qualità e del gusto dei vini, nonché all'introduzione delle bottiglie di vetro e dei tappi di sughero.
 
Nel XIX secolo l'oidio e la fillossera, malattie della vite provenienti dall'America, distruggono enormi quantità di vigneti. I coltivatori sono costretti a innestare i vitigni sopravvissuti sopra viti di origine americana (Vitis labrusca), resistenti a questi parassiti, e ad utilizzare regolarmente prodotti fitosanitari come lo zolfo.
 
Nel Novecento invece si ha, inizialmente da parte della Francia, l'introduzione di normative che vanno a regolamentare la produzione (origine controllata, definizione dei territori di produzione, ecc.) che porteranno a un incremento qualitativo nella produzione del vino a scapito della quantità.
 
 
 


#184 Ramona

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Inviato 18 novembre 2017 - 11:25

 

Storia dei falli
 
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Se la storia dei dildo parte ufficialmente nel 500 a.C., nell'Antica Grecia, quella del vibratore è molto più recente: al 1734 risale l'utilizzo in Francia del primo oggetto vibrante per la stimolazione genitale femminile, il tremoussoir, funzionante tramite un meccanismo a molla ed inventato per curare l'isteria. Sin dall'antichità si pensava infatti che i disturbi come l'insonnia, la ritenzione idrica, il nervosismo e la mancanza di appetito fossero riconducibili ad un malfunzionamento dell'utero (in greco hysteron), da curare con un incremento dell'attività sessuale o con la pratica lunga ed estenuante dei massaggi pelvici.
 
La nascita ufficiale del vibratore è datata 1869, quando il fisico statunitense George Herbert Taylor inventa il manipulator, un lettino con una sfera centrale che vibra sulla zona pelvica grazie ad un meccanismo azionato da una macchina a vapore installata in un altro locale. La sua invenzione viene perfezionata nel 1880 da Joseph Mortimer Granville, che crea il primo vibratore elettromeccanico, cui segue nel 1899 il primo vibratore a batteria 
 
A cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta, con la loro introduzione nell’industria pornografica, i vibratori vengono relegati alla sola sfera ludico-sessuale per poi essere riabilitati dopo il 1968 come simbolo emblematico dell’emancipazione sessuale femminile. Dello stesso anno è il brevetto del primo vibratore senza fili, rimasto più o meno invariato fino al 1998, anno dell’invenzione del vibratore rabbit, reso celebre dalla serie tv Sex and the City.
 
Nel novembre 2005, secondo la rivista Harper's Magazine (che cita come fonte la Durex), il 46% delle donne statunitensi possedeva un vibratore.
 
Con la crescita costante del mercato e-commerce, che aiuta il mantenimento dell'anonimato, anche in Italia le vendite dei vibratori sono aumentate considerevolmente portando anche ad un'evoluzione dal punto di vista del costume della società.
 
I simulacri fallici sono comuni nell'arco di tutta la storia dell'uomo, come oggetto di venerazione o forme di espressione artistica. I dildo si distinguono da loro per l'uso sessuale.
 
I dildo accompagnano l'umanità da millenni, come confermano i ritrovamenti di alcuni manufatti in pietra e osso di forma fallica alle Gorges d'Enfer (Gole d'inferno), nel comune di Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil nella regione dell'Aquitania in Francia, che sono stati interpretati come dei dildo paleolitici, sebbene alcuni studiosi li ritengano semplici attrezzi da lavoro o rinforzi per le lance.
 
Un fallo verde in pietra di giada, risalente a 6.000 anni fa e secondo gli esperti con molta probabilità utilizzato come dildo, è esposto al Museo dell'Antica Cultura Sessuale Cinese nei pressi di Shanghai.
 
I dildo erano utilizzati anche nell'antica Grecia, intagliati nel cuoio dai calzolai, e chiamati olisboi (al singolare olisbos)[6]. Nel mimo dello scrittore greco Eroda (III a.C.) due amiche conversano sul “baubon” in cuoio fabbricato da un calzolaio.
 
I vibratori si dividono in: vibratori classici, vibratori rabbit, vibratori clitoridei, vibratori G-Spot, vibratori Strap On, vibratori per coppie, vibratori anali, vibratori mini e maxi, vibratori musicali, vibratori hi-tech e ovetti vibranti (in inglese Love Eggs). Anche se dotati di vibrazione, gli anelli vibranti sono da considerare sex toy per coppie appartenenti alla famiglia dei cockring.
 
Da un'indagine condotta nel 2013 dal sito italiano MySecretCase risulta che tra i sex toy più acquistati in Italia, subito dopo le Geisha Balls o palline vaginali, vi siano i vibratori per coppie seguiti dai vibratori rabbit e G-Spot, corrispondenti rispettivamente al 25% e al 20% delle vendite totali delle vendite online
 
Curiosità
Rachel Venning, cofondatrice di Babeland, il sexy shop più in voga di New York, ha inaugurato il Vintage Vibrator Museum, dedicato ai vibratori più antichi
A Tokyo esiste un locale interamente dedicato all'autoerotismo femminile, il Love Joule, dove sugli scaffali al posto delle bottiglie sono esposti vibratori di tutti i tipi
L'illustratore italiano di fama mondiale Milo Manara ha collaborato con il brand francese Love to Love alla realizzazione di un ovetto vibrante ispirato alla sua graphic novel Il gioco
Nel dicembre 2013, in Corso Como, a Milano, il sito e-commerce MySecretCase ha allestito un albero di Natale addobbato interamente con vibratori ed altri Sex Toys
La vendita di vibratori e oggetti simili è vietata in alcuni stati nella parte meridionale degli Stati Uniti d'America. Nello stato del Texas la vendita di articoli per la stimolazione sessuale (come vibratori e dildo) tecnicamente è illegale, ma molti negozi li vendono ugualmente a patto che l'acquirente firmi una liberatoria dove afferma di usare l'oggetto solo per scopi educativi. Acquistare un vibratore è illegale anche in Georgia, Alabama, Mississippi, Indiana, Virginia, Louisiana e Massachusetts.
 
Non esiste una definizione univoca di dildo. Generalmente si ritiene che un oggetto simile a un fallo per forma, misura e aspetto complessivo, che però "non vibra", se destinato a un uso sessuale, sia un dildo. Per alcuni, anche i cosiddetti vibratori vanno considerati per estensione un tipo di dildo. Per ulteriore estensione alcuni chiamano dildo anche oggetti che non assomigliano a un pene, ma sono progettati e destinati alla penetrazione vaginale, fino a includere nei dildo i manufatti per la penetrazione anale.
 
Materiali
 
Un dildo doppio di lattice
I dildo più antichi erano fatti di pietra, legno, cuoio, cera o porcellana, e a partire dal Rinascimento anche in vetro (riempibili con acqua calda). Tra questi sono rimasti molto popolari quelli di cuoio, riempiti di cotone o stracci. I dildo di gomma, irrigiditi solitamente da un'anima di metallo, furono commercializzati dagli anni quaranta: la presenza della barra di metallo e la facile deteriorabilità della gomma esponevano l'utilizzatore al rischio di lesioni anche gravi.
 
In seguito, si sono diffusi dildo in PVC, un materiale ancora molto usato, soprattutto per la produzione di quelli più economici, insieme alla gelatina. Entrambi i materiali contengono ftalato, un ammorbidente dei materiali plastici, utilizzato anche per le custodie dei CD, i contenitori alimentari e altri giocattoli morbidi di plastica. Lo ftalato può entrare nella circolazione sanguigna attraverso la mucose della bocca, della vagina e dell'ano: alcuni studi lo collegherebbero a forme tumorali e patologie prenatali. I prodotti in PVC e gelatina, inoltre, non possono essere sterilizzati.
 
Sono stati realizzati dildo di metallo cromato, che hanno riscosso un certo successo, soprattutto nei circoli BDSM. Non sono particolarmente comodi perché non sono flessibili.
 
Gli anni novanta hanno visto il boom dei dildo di silicone, facili da sterilizzare anche con semplice acqua bollente e privi del caratteristico odore di plastica del PVC. Costosi al loro ingresso sul mercato, il loro prezzo è andato calando in parallelo alla loro diffusione. Il silicone assorbe bene il calore corporeo e la sua elasticità lo rende un eccellente conduttore delle vibrazioni. Il silicone inoltre è un materiale di alta qualità,
 
Un passo successivo è stata la messa in commercio di dildo in vetro borosilicato (pyrex). Sono costosi e rigidi, ma riscuotono successo, anche perché possono essere portati alla temperatura corporea con semplice acqua calda e sono sterilizzabili mediante bollitura. Con il cyberskin, simile alla vista e al tatto alla pelle umana, che garantisce un particolare "realismo", si è tornati a un materiale poroso, che non può essere sterilizzato, che diventa appiccicoso dopo il lavaggio (inconveniente al quale si può rimediare con farina di grano) ed è molto più delicato e deteriorabile del silicone.
 
Forma
 
Jigsaw Squirting
I dildo più comuni in commercio riprendono la forma del membro maschile in stato di erezione, ma ne sono prodotti di svariate forme alternative. Ce ne sono di artistici, modellati sulle figure di dee, o di più semplici e più funzionali alla stimolazione genitale o all'uso come "dilatatori vaginali" nella terapia sessuologica del vaginismo o della dispareunia.
 
In Giappone molti dildo rappresentano animali o personaggi dei cartoni animati, di modo che possano essere venduti come semplici giocattoli, eludendo le rigide leggi contro l'oscenità.
 
Esistono dildo dotati di meccanismi a manovella che permettono movimenti atti ad aumentare le sensazioni erotiche.
 
Variazioni
 
Esempi di Butt-plugs
Ci sono dildo a doppia punta di diverse forme e taglie.
 
Un dildo inserito e mantenuto per un certo tempo all'interno dell'ano viene generalmente denominato butt-plug. Quelli usati per ripetute penetrazioni anali, così come quelli a spinta, sono chiamati semplicemente dildo. Esistono anche dildo doppi, di differenti dimensioni e orientati verso lo stesso lato, per una simultanea penetrazione anale e vaginale.
 
I dildo dotati di un'imbracatura che consente di "indossarli" sono chiamati strap-on dildo. Anche gli strap-on dildo possono avere una doppia estremità ed essere usati da donne che vogliano provare la penetrazione vaginale penetrando al tempo stesso il proprio partner: si prestano quindi all'uso sia in rapporti omosessuali, sia in rapporti eterosessuali a ruoli invertiti (pegging).
 
Esistono inoltre dildo progettati per essere fissati al viso, gonfiabili, o dotati di ventosa alla base, nonché dildo che, anziché essere assicurati al corpo da un'imbracatura intorno alla vita (gli anzidetti strap-on), sono fissati con un butt-plug da infilare nel retto (e sono quindi strapless, cioè privi di imbracatura): in quest'ultimo caso, la donna che indossa il dildo può penetrare con esso nell'ano o nella vagina il partner maschile (pegging) o femminile (rapporto lesbico) mentre nel contempo viene penetrata analmente dal butt-plug che sostiene il dildo
 
Uso
La penetrazione vaginale è l'uso più comune. I dildo hanno anche un uso feticistico e alcune coppie li usano, per esempio, passandoli sulla pelle durante i preliminari. Se le dimensioni lo permettono, possono essere usati come mordacchia, per penetrazioni orali (una sorta di fellatio artificiale), o per penetrazioni anali. Alcuni particolari dildo sono appositamente conformati per stimolare il punto G.
 
Aspetti igienico-sanitari
La condivisione di un dildo tra varie persone è un comportamento a rischio dal punto di vista igienico e sanitario, sia nel caso di dildo realizzati in materiali porosi o micro-porosi, sia nel caso di quelli realizzati in materiali non porosi e facili da sterilizzare, come il Pyrex e il silicone. L'uso del profilattico consente di ridurre il rischio.
 
I dildo di silicone e i lubrificanti a base di silicone non sono compatibili. Tali lubrificanti tendono a liquefare la superficie del dildo di silicone, rendendola pericolosamente appiccicosa. I profilattici pre-lubrificati potrebbero contenere sostanze a base di silicone: quindi prima di coprire un dildo con un profilattico pre-lubrificato è meglio accertarsi della composizione della sostanza lubrificante.
 
I dildo privi di una base allargata o di altri meccanismi di controllo per inserimenti profondi non dovrebbero essere utilizzati per le penetrazioni anali. Il rischiò è che le contrazioni antiperistaltiche involontarie del retto (le stesse che consentono l'assunzione delle supposte) "risucchino" il dildo fino a renderne impossibile l'estrazione senza assistenza medica.
 
 

 

IN SOSTANA HAI DETTO DI TECNICO...MAH...LE DONNE E ENKE GLI UOMINI....QUANDO SONO PRESI....EH...CIAU CLIK...BACIO



#185 Guest_deleted32173_*

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Inviato 25 novembre 2017 - 04:03

Calcolo matematico
 
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Grazie a dei ritrovamenti abbiamo appreso che l'uomo ha iniziato a contare circa 30.000 anni fa[2], tra il Paleolitico e il Neolitico. L'uomo viveva in gruppo e di conseguenza aveva la necessità di ripartire il cibo o contare dei capi di bestiame che non sono altro che calcoli effettuati rispettivamente con l'ausilio della divisione e dell'addizione. Non a caso la parola "contare" deriva dal latino computare cioè calcolare per l'appunto.[3] Anche un bambino impara presto a contare e lo fa verso i tre anni, ancora prima di saper scrivere e parlare.[4] Questa capacità innata nel bambino[5], analogamente, la troviamo nell'uomo primitivo che ha inventato i numeri ancor prima della scrittura. La testimonianza più antica risale al 35.000 a.C, sulle montagne dello Swaziland dove è stato ritrovato un perone di babbuino, l'osso di Lebombo. Probabilmente veniva usato come arma, ma presenta 29 tacche che si presuppone rappresentino le prede uccise da un cacciatore.
 
I primi a fare i calcoli come li conosciamo oggi sono stati i babilonesi, a partire dal 2000 a.C. Questi utilizzavano un sistema di numerazione sessagesimale (base 60) e furono i primi ad introdurre la notazione posizionale. I babilonesi riuscivano a fare molti dei calcoli che facciamo oggi col sistema decimale. Sapevano calcolare l'addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, la divisione, la potenza di un numero, l'area del cerchio, ecc.[6] Inoltre svilupparono un avanzato sistema aritmetico con il quale furono in grado di fare calcoli in modo algoritmico. I babilonesi svilupparono delle formule per risolvere problemi tipici di oggi, utilizzando le equazioni lineari, le equazioni di secondo grado, ed equazioni lineari indeterminate.
 
Possiamo anche affermare che l'evoluzione dell'uomo è strettamente connessa alle sue capacità e velocità di calcolo,[8] infatti i popoli antichi più evoluti in tecnologia erano quelli che conoscevano bene la matematica e la geometria.
 
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Algebra.
Il primo metodo di calcolo è quello manuale (con carta e penna) appreso durante la carriera scolastica. Se pur banale, per effettuare un calcolo manuale più o meno complesso c'è la necessità di conoscere: i numeri arabi, le operazioni aritmetiche e relative proprietà, la tavola pitagorica (a memoria) e vari algoritmi e teoremi.
 
Calcolo numerico
Avvalendosi di operazioni aritmetiche e relative proprietà, teoremi ed algoritmi è possibile eseguire un semplice calcolo, come può essere un'addizione, fino a risolvere un'espressione matematica. Il calcolo in quest'ultimo caso può richiedere molto tempo, soprattutto quando si devono risolvere delle radici quadrate. Spesso per agevolare il lavoro si utilizzavano apposite tavole numeriche.
 
Calcolo simbolico
Nel caso in cui sostituiamo i numeri con dei simboli o delle lettere parliamo di calcolo simbolico (o algebra). Tale calcolo si è reso necessario per generalizzare alcune espressioni creando così delle formule matematiche da applicare nel campo della Geometria, della Fisica, ecc. Il calcolo simbolico permette di calcolare un semplice quadrato di un binomio fino ad arrivare alla risoluzione di equazioni differenziali.
 
Calcolo analogico
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Calcolatore analogico.
Dalla fine del XVI secolo, in Europa, si iniziarono a produrre strumenti in grado di eseguire calcoli più complessi sfruttando proprietà geometriche o "analogie" con fenomeni fisici. Tra i primo esempi ricordiamo il compasso geometrico militare di Galileo, seguito dal regolo calcolatore di Edmund Gunter. Lo sviluppo di questi strumenti continuò nei secoli seguenti con lo sviluppo di strumenti come i planimetri, la macchina delle maree di Lord Kelvin fino ad arrivare all'analizzatore differenziale di H. W. Nieman e Vannevar Bush nel 1927. Verranno poi costruiti dei computer analogici elettronici capaci di risolvere problemi molto complessi ma spesso molto costosi ed ingombranti.
 
Tutti gli strumenti di questo tipo compensano con una velocità di calcolo quasi istantanea la quasi impossibilità di fornire una stima dell'errore di approssimazione e la necessità di costruire strumenti ad hoc per ogni specifico problema.
 
Calcolo meccanico
Il calcolo meccanico viene eseguito con l'ausilio di strumenti meccanici. Nel corso della storia l'uomo a seconda delle esigenze ha utilizzato e inventato strumenti per facilitare i calcoli. Almeno dal 2000 a.C. in Cina veniva usato l'abaco come aiuto per effettuare operazioni matematiche.
 
UN ESEMPIO DI CALCOLATORE ANALOGICO MECCANICO
 
Integratore a disco-ruota di Kelvin
Un'analogia con un sistema meccanico la possiamo vedere con l'integratore a disco-ruota di Kelvin. Nella foto a sinistra si vede un disco rotante e una piccola ruota, la quale a contatto con il disco gira sopra di esso. La velocità angolare della piccola ruota dipende dalla velocità angolare del disco e dalla distanza 'p', che rappresenta la distanza tra il centro del disco e il punto in cui il disco tocca la ruota. Se la distanza 'p' viene modificata in funzione del tempo, p = p (t), allora l'angolo della ruota in un determinato istante rappresenta l'integrale di p (t). L'angolo del volante può essere trasferito ulteriormente in un cilindro sul quale possiamo facilmente leggere i risultati. Per far funzionare questo integratore bisognava far scorrere manualmente la ruota sopra il disco, ad una velocità specifica che corrisponde, alla funzione 'p'.
 
UN ESEMPIO DI CALCOLO ANALOGICO ELETTRONICO
 
Integratore a resistenza-capacità
Un'analogia con un sistema elettrico la troviamo con l'integratore a resistenza-capacità, un circuito a elementi passivi (detto anche filtro passa basso). L'illustrazione a sinistra mostra il circuito elettrico che agisce come un integratore. Applicando un ingresso Vi(t), se la resistenza R mostrato nel diagramma schematico è molto grande rispetto alla reattanza capacitiva XC del condensatore C, la corrente sarà quasi in fase con la tensione di ingresso Vi(t), ma la tensione di uscita Vu(t) ritarderà la fase della tensione di ingresso di circa 90°. Quindi la tensione di uscita Vu(t) sarà l'integrale della tensione di ingresso Vi(t), così come il prodotto della corrente e la reattanza capacitiva, XC.
 
Calcolo digitale
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Elettronica digitale.
Parallelamente vennero sviluppati strumenti che, come l'abaco, forniscono un risultato a cifra esatta per le operazioni aritmetiche elementari. Partendo dall'orologio calcolatore di Wilhelm Schickard del 1623, vennero costruite delle calcolatrici meccaniche sempre più complesse, affidabili e ricche di funzioni. Fino alla prima metà del secolo scorso si trattava di strumenti puramente meccanici. Gradualmente, con gli esperimenti di Konrad Zuse, vennero introdotte le prime macchine digitali che sfruttavano le proprietà delle correnti elettriche tramite dei relé, non solo come forza motrice. Infine, a partire dagli anni quaranta, cominciarono ad apparire i precursori degli attuali computer.
 
 
 


#186 Guest_deleted32173_*

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Inviato 03 dicembre 2017 - 08:14

Il Natale
 
260px-Giorgione_-_Adoration_of_the_Sheph
 
Il Natale nella tradizione cristiana
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Tempo di Natale.
 
Adorazione del Bambino (1439-43), Beato Angelico.
Nella tradizione cristiana, il Natale celebra la nascita di Gesù a Betlemme da Maria. Il racconto ci è pervenuto attraverso i vangeli secondo Luca e Matteo, che narrano l'annuncio dell'angelo Gabriele, la deposizione nella mangiatoia, l'adorazione dei pastori, la visita dei magi. Alcuni aspetti devozionali (la grotta, il bue e l'asino, i nomi dei Magi) risalgono invece a tradizioni successive e a racconti presenti in vangeli apocrifi.
 
Il significato cristiano della festa risiede nella celebrazione della presenza di Dio. Con la nascita di Gesù, Dio per i cristiani non è più infatti un Dio distante, che si può solo intuire da lontano, ma è un Dio che si rivela ed entra nel mondo per rimanervi fino alla fine dei tempi.[2]
 
Per quanto riguarda la liturgia, nella Chiesa latina il giorno di Natale è caratterizzato da quattro messe:
 
la vespertina della vigilia;
ad noctem (cioè la messa della notte);
in aurora;
in die (nel giorno).
Come tutte le solennità, il Natale ha una durata maggiore rispetto agli altri giorni del calendario liturgico e inizia infatti con i vespri della vigilia: il tempo liturgico del Natale si conta a partire dai primi vespri del 24 dicembre, per terminare con la domenica del Battesimo di Gesù, mentre il periodo precedente al Natale comprende le domeniche di Avvento.
 
Il Natale al di fuori del cristianesimo
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Villaggio di Babbo Natale (Korvatunturi).
 
Babbo Natale.
Nel corso dell'ultimo secolo, con il progressivo secolarizzarsi dell'Occidente, e in particolar modo dell'Europa Settentrionale, il Natale ha continuato a rappresentare un giorno di festa anche per i non cristiani, assumendo significati diversi da quello religioso. In questo ambito, il Natale è generalmente vissuto come festa legata alla famiglia, alla solidarietà, allo scambio di regali e alla figura di Babbo Natale.
 
Al tempo stesso la festa del Natale, con connotazioni di tipo secolare-culturale, ha conosciuto una crescente diffusione in molte aree del mondo, estendendosi anche in Paesi dove i cristiani sono piccole minoranze, come in India, Pakistan, Cina, Taiwan, Giappone e Malesia.
 
Al di fuori del suo significato religioso, il Natale ha inoltre assunto nell'ultimo secolo una significativa rilevanza in termini commerciali ed economici, legata all'usanza dello scambio di doni. A titolo di esempio, negli Stati Uniti è stato stimato che circa un quarto di tutta la spesa personale venga effettuata nel periodo natalizio.[3]
 
Tradizioni natalizie
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Natale nel folklore.
 
Un albero di Natale.
Il Natale è una festa accompagnata da diverse tradizioni, sociali e religiose, spesso variabili da paese a paese.
 
Tra i costumi, le pratiche e i simboli familiari del Natale sono presenti il presepe, l'albero natalizio, la figura di Babbo Natale, il calendario dell'Avvento, lo scambio di auguri e di doni.
 
Il presepe, derivato da rappresentazioni medievali che la tradizione fa risalire a san Francesco d'Assisi, è una ricostruzione figurativa della natività di Gesù ed è una tradizione particolarmente radicata in Italia.
 
L'albero di Natale, altro simbolo del Natale, è un abete (o altra conifera sempreverde) addobbato con piccoli oggetti colorati (soprattutto palle di diversi colori), luci, festoni, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro. Le origini vengono in genere fatte risalire al mondo tedesco nel XVI secolo, sulla base di preesistenti tradizioni cristiane e pagane. Verso il secolo XI si diffuse nell'Europa del Nord l'uso di allestire rappresentazioni (sacre rappresentazioni o misteri) che riproponevano episodi tratti dalla Bibbia. Nel periodo d'Avvento, una rappresentazione molto richiesta era legata al brano della Genesi sulla creazione. Per simboleggiare l'albero «della conoscenza del bene e del male» del giardino dell'Eden si ricorreva, data la regione (Nord Europa) e la stagione, ad un abete sul quale si appendevano dei frutti.
 
Da quell'antica tradizione si giunse via via all'albero di Natale dei giorni nostri, di cui si ha una prima documentazione certa risalente al 1512 in Alsazia.
 
Babbo Natale, presente in molte culture, è un anziano dalla barba bianca che distribuisce i doni ai bambini, di solito la sera della vigilia di Natale. Deriva dalla figura storica di san Nicola di Bari, ma nella sua forma moderna si è diffuso a partire dal XIX secolo negli Stati Uniti: un ruolo importante nella definizione della sua figura ebbe la poesia A Visit from Saint Nicholas, pubblicata nel 1823 e attribuita allo scrittore neyorkese Clement Clarke Moore, nella quale Babbo Natale venne proposto ai lettori con le fattezze che oggi conosciamo.
 
Molte tradizioni natalizie sono infine legate alla musica (canti natalizi come Adeste fideles, Tu scendi dalle stelle, Quanno nascette Ninno, Jingle Bells, Les anges dans nos campagnes, Astro del Ciel, O Tannenbaum), a particolari piante (l'agrifoglio, il vischio, la stella di Natale) e pietanze sia dolci (panettone, pandoro e altri dolci natalizi) che salate (zampone, cotechino).
 
Il Natale nell'arte
 
La Natività (Giotto)
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Natale nell'arte e nei media.
Il Natale, e in particolare la scena della Natività di Gesù, è uno dei maggiori temi dell'arte cristiana fin dalle sue origini. Nell'ultimo secolo la festività ha continuato a ispirare numerose opere che comprendono, oltre alle tradizionali pitture e sculture, anche film, musiche sacre e romanzi.
 
Alcune tra le opere più famose sono:
 
in letteratura, il racconto Canto di Natale di Dickens (1843);
in pittura, l'affresco sulla Natività di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (1303-1305);
nella musica, i motivi Adeste fideles trascritto da John Francis Wade (1743), Stille Nacht di Joseph Mohr e Franz Xaver Gruber (1816), Jingle Bells di James Pierpont (1857), e in Italia Tu scendi dalle stelle di Alfonso Maria de' Liguori (1754);
nella cinematografia, i film La vita è meravigliosa di Frank Capra (1946), e Il miracolo della 34ª strada di George Seaton (1947).
Origine della festività
 
Cristo rappresentato come Sol Invictus, mosaico rinvenuto presso la Necropoli vaticana. Relativamente a questa immagine, Robin M. Jensen suggerisce, nel I volume della Cambridge History of Christianity,[4] come tale immagine indichi un modo dei convertiti al Cristianesimo di esprimere la loro fede per mezzo di un simbolismo religioso già conosciuto[5].
Alcuni riferimenti poco certi sulla festività del Natale risalgono al IV secolo.[6] La prima menzione certa della Natività di Cristo con la data del 25 dicembre risale invece al 336[7][8][9], e la si riscontra nel Chronographus, redatto intorno alla metà del IV secolo[10] dal letterato romano Furio Dionisio Filocalo.[11]
 
Le origini storiche della festa non sono note[12] e sono state spiegate con varie ipotesi[13]. Probabilmente la sua data venne fissata al 25 dicembre per sostituire la festa del Natalis Solis Invicti con la celebrazione della nascita di Cristo, indicato nel Libro di Malachia come nuovo "sole di Giustizia" (cfr. Malachia III,20)[14][15][16]. Sono state proposte anche soluzioni diverse, sia in relazione ad influenze ebraiche[6] che a tradizioni interne al cristianesimo.[17] Le diverse ipotesi possono coesistere[18].
 
La tradizione cristiana si intreccia con quella popolare e contadina, dal momento che nello stesso periodo si celebravano una serie di ricorrenze e riti legati al mondo rurale: infatti nell'antica Roma dal 17 al 24 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura, durante i quali avvenivano scambi di doni e sontuosi banchetti.
 
Festività solari
Il solstizio invernale e il culto del "Sol Invictus" nel tardo impero romano hanno avuto un ruolo nell'istituzione e nello sviluppo del Natale, e le prove a sostegno di ciò sono state riscontrate da ricerche approfondite di carattere storico.[19]
 
La festa si sovrappone approssimativamente alle celebrazioni per il solstizio d'inverno e alle feste dei saturnali romani (dal 17 al 23 dicembre)[20] Inoltre già nel calendario romano il termine Natalis veniva impiegato per molte festività, come il Natalis Romae (21 aprile), che commemorava la nascita dell'Urbe, e il Dies Natalis Solis Invicti, la festa dedicata alla nascita del Sole (Mitra), introdotta a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la prima volta da Aureliano nel 274 d.C. con la data del 25 dicembre[21][22].
 
È soprattutto quest'ultima festa a polarizzare l'attenzione degli studiosi. Se già verso il 200 era ampiamente diffusa nelle comunità cristiane dell'oriente greco la celebrazione del 6 gennaio come giorno della nascita di Gesù,[23] successivamente si registra il prevalere della data del 25 dicembre, e questo pare spiegarsi con la grande popolarità, al tempo, della devozione al Sole Invitto.[24] Alcune coincidenze storiche sono infatti particolarmente significative, tra le quali:[25]
 
la corrispondenza delle date[26],
il fatto che il periodo nel quale prende probabilmente forma la festività cristiana corrisponde approssimativamente con il picco dei culti solari sostenuti dallo Stato romano,
la diffusione di analogie solari con il Cristo negli scritti patristici di quei secoli. Queste sono state ispirate direttamente dal cantico di Zaccaria nel Vangelo di Luca, che descrive la missione di Giovanni Battista come una preparazione alla venuta del Signore, descritto come "un sole che sorge dall'alto": vedi Lc 1,68-79 e in particolare il v. 78.
Il Natale costituisce probabilmente l'esempio più significativo di come una tradizione pagana sia stata assorbita dal Cristianesimo e abbia assunto un nuovo significato.[27]
 
Nonostante l'introduzione del Natale cristiano, i culti pagani collegati alla celebrazione del sole perdurarono per molti anni, tant'è che ancora nel Natale del 460 tale circostanza portò papa Leone I ad affermare:
 
« È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei. »
(Papa Leone I, 7° sermone tenuto nel Natale del 460 - XXVII - 4)
Quando i missionari iniziarono la conversione dei popoli germanici, adattarono alla tradizione cristiana molte feste pagane. Le celebrazioni pagane vennero così ricondotte alle celebrazioni del Natale, mantenendo però alcune delle tradizioni e dei simboli originari (fu lo stesso papa Gregorio Magno, tra gli altri, a suggerire apertamente questo approccio alle gerarchie ecclesiastiche). Fra i simboli moderni del Natale che appaiono derivare dalle tradizioni germaniche e celtiche pagane compare, fra l'altro, l'uso decorativo del vischio e dell'agrifoglio e l'albero di Natale.
 
In Islanda i festeggiamenti del solstizio d'inverno continuarono ad essere celebrati per tutto il Medioevo, fino all'epoca della Riforma.
 
Anche in altre regioni la sovrapposizione fra gli antichi culti pagani del sole e la celebrazione del Natale cristiano perseverò almeno fino alla fine del XII secolo; tale circostanza risulta testimoniata dal vescovo siriano Jacob Bar-Salibi[28]:
 
« Era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani prendevano parte a queste solennità. Quando i dotti della Chiesa notarono che i Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che la "vera" Natività doveva essere proclamata in quel giorno. »
(Jacob Bar-Salibi)
Sebbene la tesi dominante tra gli studiosi sia proprio che il Natale derivi da festività pagane, una corrente minoritaria di studiosi la pensa diversamente. Secondo Thomas Talley mancherebbero le sufficienti prove di tale tesi.[29] Per Susan Roll non ha importanza quanto possa avere perfettamente senso una sorta di relazione, i testi esistenti non hanno ancora dimostrato con chiarezza il collegamento tra il Natale e le festività pagane precedenti.[30]
 
Data di nascita di Gesù
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Data di nascita di Gesù.
 
Adorazione dei pastori, (Guido Reni).
La data di nascita di Gesù è sconosciuta[31]: il giorno non è indicato nei Vangeli né in altri scritti contemporanei. Fin dai primi secoli, i cristiani svilupparono comunque diverse tradizioni, basate anche su ragionamenti teologici. Questi fissavano il giorno della nascita in date diverse, tanto che il filosofo Clemente Alessandrino (150 - 215 d.c.) annotava in un suo scritto: "Non si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con curiosità troppo spinta vanno a cercarne anche il giorno" (Stromata, I,21,146)[32].
 
Il testo di Clemente registra comunque l'esistenza di una tradizione antica relativa a una nascita di Gesù in una data di mezzo inverno. Tale tradizione viene infatti fatta risalire ai seguaci di Basilide, attivo ad Alessandria prima del 150, che celebravano il 6 o il 10 gennaio, con il battesimo di Gesù, la sua nascita come Figlio di Dio[33].
 
Il dibattito sulla data di nascita di Gesù, rilanciato nel Novecento[34], consente di offrire una prospettiva alternativa o complementare all'ipotesi dell'istituzione del Natale in sostituzione alla festa pagana del Sol Invictus[35]. Un primo riferimento, per quanto controverso,[36] al 25 dicembre come giorno di nascita di Gesù è presente in Ippolito di Roma nel 204[37][38], circa 70 anni prima di Aureliano, e lo studioso Paul de Lagarde ha evidenziato come la data del 25 dicembre era presumibilmente calcolata in Occidente già nel 221, nella Cronografia di Sesto Giulio Africano.[39] In generale, diversi studiosi hanno tentato una ricostruzione plausibile della nascita di Gesù, arrivando a ritenere verosimile il 25 dicembre[40][41][42]. Tuttavia è stato grazie alle ricerche di Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme[43] che furono compiuti concreti passi avanti in questo senso. Talmon è stato infatti in grado di ricostruire le turnazioni sacerdotali degli ebrei e applicarle al calendario gregoriano sulla base dello studio del Libro dei Giubilei recentemente scoperto a Qumran. Lo studioso israeliano riuscì a stabilire che la data di nascita di Gesù potrebbe quindi essere il 25 dicembre[44][45][46].
 
Di rilievo anche una possibile lettura simbolica della data di nascita. Dato che la data della morte di Gesù nei Vangeli si colloca tra il 25 marzo e il 6 aprile del nostro calendario, per calcolare la data di nascita di Gesù secondo alcuni studiosi si sarebbe seguita la credenza che la morte sia avvenuta nell'anniversario della sua venuta al mondo. Secondo questa ipotesi, per la festività del Natale si calcolò che Gesù fosse morto nell'anniversario della sua Incarnazione o concezione (non della sua nascita), e così si pensò che la sua data di nascita dovesse cadere nove mesi dopo la data del Venerdì Santo, tra il 25 dicembre e il 6 gennaio[47].
 
Tradizioni ebraiche
Alcuni studiosi hanno inoltre suggerito una possibile relazione con la festa ebraica della Ridedicazione del Tempio, la Hanukkah, che cade il venticinquesimo giorno di Kislev, un mese lunare che corrisponde approssimativamente a novembre o dicembre. La festa ha però un significato diverso, dura otto giorni e non pare avere comunque inciso in modo significativo sulla scelta della data del Natale.[6]
 
Il Natale nei primi secoli del cristianesimo
La celebrazione del Natale non è presente nei primi elenchi delle festività cristiane, per esempio in quello di Ireneo e in quello di Tertulliano, e Origene ricorda che nella Scrittura solo i peccatori festeggiavano la data del compleanno[48].
 
Celebrazioni in Alessandria d'Egitto
Le prime evidenze di una celebrazione provengono da Alessandria d'Egitto, circa 200 d.C., quando Clemente di Alessandria[49] disse che certi teologi egiziani, "molto curiosi", definirono non solo l'anno, ma anche il giorno della nascita di Gesù il 25 Pachon, corrispondente al 20 maggio del ventottesimo anno di Augusto ma fecero questo non perché ritenessero che il Cristo fosse nato quel giorno ma solo perché quel mese era il nono del loro calendario.[50] Altri scelsero le date del 24 o 25 Pharmuthi (19 o 20 aprile).[48]
 
Un testo del 243, De paschae computus, attribuito a Cipriano ma probabilmente apocrifo,[51] dichiara che la nascita di Cristo fu il 28 marzo perché fu in quel giorno che il sole fu creato.[48]
 
Clemente dichiara anche che i Balisilidiani celebravano l'Epifania e con essa, probabilmente, anche la nascita di Gesù, il 15 l'11 Tybi (10 o 6 gennaio)[48].
 
In un qualche momento la doppia commemorazione di Epifania e Natività deve essere diventata comune, sia perché l'apparizione dei pastori era considerata una delle manifestazioni della gloria di Cristo, sia forse a causa di una discrepanza del vangelo di Luca 3,22 presente in vari codici, tra cui il codice Bezae, in cui le parole di Dio sono rese houios mou ho agapetos, ego semeron gegenneka se ("tu sei il mio figlio prediletto, in questo giorno ti ho generato") al posto di en soi eudokesa ("in te mi sono compiaciuto").
 
Abraham Ecchelensis (1600-1664)[52] riferisce della presenza di un dies Nativitatis et Epiphaniae da una costituzione della chiesa di Alessandria al tempo del Concilio di Nicea.
 
Epifanio riferisce di una cerimonia dai tratti gnostici ad Alessandria in cui, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, un disco solare inquartato (oggi noto come "croce celtica") detto Korê era portato in processione attorno a una cripta, al canto Oggi a quest'ora Korê ha dato vita all'Eterno.[53]
 
Giovanni Cassiano (360-435) scrive tra il 418 e il 427 che i monasteri egiziani ancora osservano gli antichi costumi.[54]
 
Il 29 Choiak (11 agosto) e 1º gennaio 433 Paolo di Emesa predica presso Cirillo di Alessandria, e i suoi sermoni[55] mostrano che la celebrazione del Natale il mese di dicembre era già fermamente stabilita, e i calendari provano la sua permanenza; per cui la festa si era diffusa in Egitto tra il 427 e il 433.[48]
 
Celebrazioni a Cipro, Armenia e Anatolia
A Cipro, alla fine del IV secolo, Epifanio dichiara contro gli Alogi[56] che Cristo era nato il 6 gennaio ed era stato battezzato l'8 novembre.
 
Efrem il Siro (i cui inni si riferiscono all'Epifania e non al Natale) prova che la Mesopotamia ancora festeggiava la nascita tredici giorni dopo il solstizio d'inverno, ovvero il 6 gennaio.
 
Contemporaneamente in Armenia la data di dicembre era ignorata, e tuttora gli Armeni celebrano il Natale il 6 gennaio.[57]
 
In Anatolia, i sermoni di Gregorio di Nissa su Basilio Magno (morto prima del 1º gennaio 379) e i due seguenti durante la festa di santo Stefano,[58] provano che nel 380 il Natale era già celebrato il 25 dicembre.[59]
 
Nel V secolo Asterio di Amaseia e Anfilochio di Iconio, contemporanei di Basile e Gregorio, mostrano che nelle loro diocesi le feste dell'Epifania e del Natale erano separate.[60]
 
Celebrazioni a Gerusalemme
Nel 385 Egeria scrive di essere rimasta profondamente impressionata dalla festa della Natività di Gerusalemme, che aveva aspetti prettamente natalizi; il vescovo si recava di notte a Betlemme, tornando a Gerusalemme il giorno della celebrazione. La presentazione di Gesù al tempio era celebrata quattordici giorni dopo. Ma questo calcolo inizia dal 6 gennaio, e la festa continuava per gli otto giorni dopo quella data[61] successivamente menziona solo le due feste maggiori dell'Epifania e della Pasqua. Per cui il 25 dicembre nel 385 non era osservato a Gerusalemme.
 
Giovanni di Nikiu per convincere gli armeni a osservare la data del 25 dicembre fa notizia di una corrispondenza tra Cirillo di Gerusalemme e papa Giulio I[62] in cui Cirillo dichiara che il suo clero non può, nella singola festa della nascita e del battesimo, effettuare una doppia processione tra Betlemme e il Giordano e chiede a Giulio di stabilire la vera data della Natività dai documenti del censimento portati a Roma da Tito; Giulio stabilisce il 25 dicembre.
 
In un altro documento[63] si riferisce che Giulio scrisse a Giovenale di Gerusalemme (circa 425-458), aggiungendo che Gregorio Nazianzeno a Costantinopoli era stato criticato per aver dimezzato le festività, ma Giulio morì nel 352 e la testimonianza di Egeria rende questi ultimi due documenti di origine dubbia.[48]
 
Sofronio Eusebio Girolamo, scrivendo nel 411,[64] rimprovera ai palestinesi di mantenere la celebrazione della nascita di Cristo nella festa della Manifestazione.
 
Cosma Indicopleuste suggerisce[65] che anche alla metà del VI secolo la chiesa di Gerusalemme riteneva, basandosi sul passo evangelico di Luca, che il giorno del battesimo fosse il giorno della nascita di Gesù in quanto essere divino. La commemorazione di Davide e Giacomo l'Apostolo si svolgeva il 25 dicembre.
 
Il 25 dicembre 432 Paolo di Emesa pronunciava a Cirillo di Alessandria un discorso sul Natale.
 
Celebrazioni ad Antiochia
Ad Antiochia, dopo una lunga resistenza, la festa del 25 dicembre venne accolta nel 386 grazie all'opera di san Giovanni Crisostomo.
 
Durante la festa di san Filogonio del 386[66] San Giovanni Crisostomo predicò un importante sermone: in reazione ad alcuni riti e feste ebraiche invitò la chiesa di Antiochia a celebrare la nascita di Cristo il 25 dicembre quando già parte della comunità la celebrava in quel giorno da almeno dieci anni; dichiarò che in occidente la festa era già celebrata e che egli desiderava introdurla, che questa era osservata dalla Tracia a Cadice e che la sua miracolosamente rapida diffusione era un segno della sua genuinità.
 
Per giustificare la decisione interpretò gli episodi evangelici dicendo che il sacerdote Zaccaria entrò nel Tempio ricevendo l'annuncio del concepimento di Giovanni Battista in settembre; il vangelo data quindi il concepimento di Gesù dopo sei mesi, ovvero in marzo, per cui la nascita sarebbe avvenuta in dicembre.
 
Infine il Crisostomo dichiarò di sapere che i rapporti del censimento della Sacra Famiglia erano ancora a Roma e quindi Roma doveva aver celebrato il Natale il 25 dicembre per un tempo abbastanza lungo da consentire al Crisostomo di riportare con certezza la tradizione romana.[67] Il riferimento agli archivi romani è antico almeno quanto Giustino[68] e Tertulliano.[69] Papa Giulio I, nella falsificazione cirillina citata in precedenza, afferma di aver calcolato la data basandosi su Flavio Giuseppe, sulla base della stessa considerazione non provata riguardante Zaccaria.[48]
 
Celebrazioni a Costantinopoli
Nel 379/380 Gregorio Nazianzeno si fa iniziatore (in lingua greca: exarchos) presso la Chiesa di Costantinopoli della nuova festa, proposta in tre sue omelie[70] predicate in tre giorni successivi[71] nella cappella privata chiamata Anastasia; dopo il suo esilio nel 381, la festa scomparve.[48]
 
Secondo Giovanni di Nikiu, Onorio, presente durante una delle sue visite, si accordò con Arcadio perché fosse osservata la festa nella stessa data di Roma. Kellner colloca questa visita nel 395; Baumstark[72] tra il 398 e il 402; l'ultima data si basa su una lettera di Giacomo di Edessa citata da George di Beeltân, che dichiara che il Natale fu portato a Costantinopoli da Arcadio e Crisostomo dall'Italia dove secondo la tradizione si era tenuta fin dai tempi apostolici. Crisostomo fu vescovo tra il 398 e il 402, e quindi la festa sarebbe stata introdotta in questo periodo da Crisostomo vescovo allo stesso modo in cui era stata introdotta ad Antiochia da Crisostomo presbitero; però Lübeck[73] prova che le evidenze su cui si basa la tesi di Baumstark non sono valide.
 
Secondo Erbes'[74] la festa è stata introdotta da Costantino I tra il 330 e il 335; esattamente nel 330[48] secondo l'opinione di alcuni storici [senza fonte], e probabilmente consigliato della madre Elena e dai vescovi del Concilio di Nicea [senza fonte].
 
Celebrazioni a Roma
La prima celebrazione del Natale a Roma avvenne nel 336, fino ad allora era definita come celebrazione pagana dedicata al Sole, fino al 354 quando papa Liberio decise di fissare la data come nascita di Cristo.
 
Riguardo alla Chiesa di Roma, la più antica[48] fonte sulla celebrazione del Natale come cattolica è il Cronografo del 354[75] compilato nel 354, che contiene importanti tre date:
 
Nel calendario civile il 25 dicembre è indicato come Natalis Invicti.
Nella Depositio Martyrum, una lista di martiri romani o di altra origine universalmente venerati, il 25 dicembre è indicato come VIII kal. ian. natus Christus in Betleem Iudeae.
In corrispondenza del 22 febbraio, VIII kal. mart. è menzionata la cattedra di San Pietro.
Nella lista dei consoli sono indicati i giorni di nascita e di morte di Cristo e le date di ingresso a Roma e di martirio dei santi Pietro e Paolo.
 
Una citazione significativa è:
 
(LA)
« Chr. Caesare et Paulo sat. XIII. hoc. cons. Dns. ihs. XPC natus est VIII Kal. ian. d. ven. luna XV »
(IT)
« durante il consolato di Cesare (Augusto) e Paolo, nostro signore Gesù Cristo nacque otto giorni prima delle calende di Gennaio [ovvero il 25 dicembre ] un venerdì, il quattordicesimo giorno della Luna »
Queste indicazioni però sembrano scorrette e possono essere delle successive aggiunte al testo, per cui anche se la Depositio Martyrum è datata al 336 è probabile che questa indicazione debba essere datata al 354,[senza fonte] anche se la presenza in un calendario ufficiale lascia supporre che siano esistite delle celebrazioni popolari precedenti.
 
Diffusione della celebrazione del Natale in Italia[modifica | modifica wikitesto]
Sul finire del IV secolo la festa passò a Milano e per poi diffondersi nelle altre diocesi dell'Italia settentrionale.
 
 
 


#187 Guest_deleted32173_*

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Inviato 10 dicembre 2017 - 07:35

Torrone
 
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Origini
A Benevento, la tradizione del torrone risale all'epoca sannita.[3][4]: apprezzato e consumato dalle classi agiate, come da quelle più povere, il torrone era conosciuto già al tempo dei Romani come dimostrano alcuni scritti di Tito Livio[senza fonte]. A Siena il torrone locale è venduto in dischi, denominati "copate" tutt'oggi. Tale specialità restò sempre in uso nel corso dei secoli sia a livelli domestici che artigianali finché subì radicali modifiche ed evoluzioni alla metà dell'Ottocento poiché nel 1871 si avviò la produzione dei torroni in carta e in astucci e grande impulso al settore diedero le numerose ditte molte delle quali, nel 1908, consorziate nelle Fabbriche Riunite del Torrone di Benevento.
 
Nacquero nel XIX secolo celebri tipologie di torroni come Il perfetto amore, il Torrone del Papa, il Regina, l'Alicante, l'Ingranito.[senza fonte] Sempre nel Novecento anche la ditta Alberti avviò la produzione di torrone, mentre dal 1891 a San Marco dei Cavoti il cavalier Innocenzo Borrillo con la produzione dei Torroni Bacii fondò una propria azienda alla quale, nel corso del secolo, se ne affiancarono altre otto contribuendo a trasformare i piccolo centro della provincia nel "Paese del Torrone" dove ogni anno, dal 2000, si svolge la Festa del Torrone. Al noto imprenditore nato nel 1871 e scomparso nel 1970, nonché alla storia del torrone nel Sannio è dedicato il volume Innocenzo Borrillo e i Maestri del Torrone di Andrea Jelardi e Marco Borrillo, edito nel 2013.
 
Evoluzione
Nell'XI secolo gli Arabi contribuirono alla diffusione di questo dolce lungo le coste del Mar Mediterraneo, nel Nordafrica e con maggior successo nell'antica Corona d'Aragona. La prima testimonianza scritta del torrone in Catalogna è del 1221[5]; lo si trova anche in ricettari e documenti del XIV secolo. Era prodotto in Catalogna e nel Regno di Valencia: la città è oggi il maggiore produttore della Spagna (in particolare a Jijona dove se ne fa risalire la presenza a partire dal XV secolo). In seguito, il torrone si è diffuso nella Corona di Castiglia: la prima documentazione scritta in spagnolo della sua presenza si trova ne "La generosa paliza" di Lope de Rueda, dell'anno 1570.
 
Nella versione della tradizione cremonese, il primo torrone sarebbe stato servito il 25 ottobre 1441 al banchetto per le nozze, celebrate a Cremona, fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Il dolce, sempre secondo la tradizione, venne modellato riproducendo la forma del Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui avrebbe preso il nome. Questo episodio viene rievocato ogni anno con una Festa del Torrone[6]. Tuttavia la prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il comune di Cremona acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto milanesi.
 
Il torrone in Sardegna
Quando e chi portò il torrone in Sardegna resta tuttora un mistero. L'archivio di Stato di Cagliari conserva un contratto per la fornitura di torrone da parte di due torronai sassaresi a un bottegaio Cagliaritano, che certifica che la produzione del torrone risale almeno al 1614[7]. Sembra inoltre che sul condaghes di Santa Maria di Bonarcado, secondo la Carta Raspi, il miele dell'attività apistica veniva utilizzato in prevalenza per fare torrone[senza fonte]. Comunque siano andate le cose, testimonianze storiche ci dicono che ad Aritzo il torrone si produceva già a metà ‘800 anche se il tutto lascia pensare ad una data antecedente. Un registro dei primi del ‘900 annota ben 89 licenze di venditori ambulanti, su gran parte di esse compare la voce torrone. I torronai facevano parte della categoria dei “Biajantes” meglio definiti col nome di “Carrattoneris” perché per il trasporto delle mercanzie si servivano di carri trainati da buoi o cavalli. Essi vendevano ma per lo più barattavano ogni genere di prodotto che la montagna offriva; difficilmente la vendita di un solo prodotto infatti, avrebbe garantito il sostentamento. La produzione del torrone in Barbagia, è dovuta all'esigenza di valorizzare e sfruttare i prodotti originali della natura: il miele saporito e gustoso della montagna, le noci e le nocciole delle nostre profonde e verdi vallate. centri produzione più rinomati erano Aritzo e Tonara, ma vi erano anche altri paesi minori. Gli Aritzesi portavano i loro prodotti nel Campidano, mentre i Tonaresi, che da sempre si contendono con gli Aritzesi il primato della produzione del torrone in Sardegna, si occupavano del commercio nel Sassarese. Questo scambio commerciale permise uno scambio culturale umano che consentì ad Aritzo un'apertura tale all'innovazione per quei tempi che era proprio impensabile per altri paesi della Barbagia. Ne derivò il trasferimento di numerose famiglie Aritzesi a Cagliari, Quartu, Pirri, Villasor, Monastir, Tuili etc. con i loro laboratori per produrre il torrone direttamente nel mercato di sbocco, il Campidano. Nei documenti dei primi del ‘900 Tonara è sede di un laboratorio artigianale, che soddisfa le richieste degli ambulanti. La famiglia Carta aveva adibito a laboratorio un locale all'interno della propria abitazione. Vi erano due caldaie a mano e il fuoco era alimentato a lenta combustione. L'attività produttiva iniziava a metà marzo per terminare a settembre. Ma la nascita della produzione industriale del torrone è legata alla famiglia Pruneddu che nel 1963 acquista le prime caldaie elettriche, e diventerà alla fine degli anni '70 l'azienda leader per la produzione del torrone per gli ambulanti, promuovendo il marchio “torrone di Tonara”. Sempre a Tonara, un'altra azienda che merita di essere menzionata è l'azienda Pili, questa ha introdotto il torrone nella grande distribuzione e da tre generazioni produce torrone.
 
Ad Aritzo nei primi del ‘900 esistevano parecchi laboratori di produzione del torrone. Ricordiamo la famiglia Meloni, Calledda, Muggironi, ed in particolare la famiglia Atzori che con le sue caldaie riusciva a produrre un quantitativo notevole di torrone per venderlo nelle sagre paesane, successivamente le famiglie Maxia, Pranteddu, Manca, Fois. Nella casa del torronaio, il profumo delle mandorle e delle nocciole abbrustolite aleggiava mescolandosi con quello del miele che cuoceva in un grosso pentolone in rame. Il torrone veniva lavorato con una grossa pala in legno che fungeva da miscelatore, questo comportava un lavoro faticosissimo che durava anche 5-6 ore poiché non bisognava mai smettere di mescolare o si sarebbe compromesso tutto il lavoro fatto. Quando il miele era ben caldo, si aggiungeva l'albume d'uovo montato a neve che fungeva da lievitante; si proseguiva poi con la lavorazione sino a che il torrone non raggiungeva la giusta consistenza e il tipico colore candido. Infine si versavano le mandorle, nocciole o noci e lo si travasava nelle apposite cassette il legno. In Sardegna il torrone è genuino, senza aggiunta di zucchero, sciroppo di glucosio, amido di mais zucchero invertito o altro: si scioglie in bocca senza attaccarsi ai denti e non è gommoso. È fatto di solo miele! Ad Aritzo la “produzione industriale” inizia nel 1962 quando Sebastiano rientrato dall'America fondò assieme a Francesco Pranteddu la società Fratelli Pranteddu acquistando la prima macchina elettrica dalla società Carle&Montanari di Milano. Iniziarono a produrre il torrone con un moderno packaging così come viene inteso oggi. L'onerosità di questa lavorazione era tuttavia un ostacolo alla produzione, in quanto il torrone veniva laminato, tagliato, e confezionato manualmente.
 
Etimologia
Il termine "torrone" è d'etimologia discussa. Per alcuni, deriverebbe dalla voce verbale latina torrere, presente attivo infinitivo di "torreo"[8] (presente attivo torreō, presente infinitivo torrēre, perfetto attivo torruī, supino tostum), col significato di "tostare", "abbrustolire", con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle[9][10][11][12]. Il termine è sicuramente derivato dalla radice proto-indo-europeo, a riprova del fatto che essa è riscontrabile nel moderno inglese thirst, nel greco τέρσομαι (térsomai), nel sanscrito तृष्यति (tṛṣyati).
 
Joan Corominas[13] crede che il termino deriva dal latino "terra" per essere simile a un grumo di terra. Finalmente, alcune correnti di studiosi attribuiscono al torrone, invece, origini arabe; a supporto di questa tesi vi sarebbe, fra l'altro, il De medicinis et cibis semplicibus, trattato dell'XI secolo scritto da un medico arabo, in cui è citato il turun.
 
 
 


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Inviato 17 dicembre 2017 - 07:56

Befana
 
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L'origine fu probabilmente connessa a un insieme di riti propiziatori pagani[4], risalenti al X-VI secolo a.C., in merito ai cicli stagionali legati all'agricoltura, ovvero relativi al raccolto dell'anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo, diffuso nell'Italia settentrionale, nell'Italia Centrale e meridionale, attraverso un antico Mitraismo e altri culti affini come quello celtico[5], legati all'inverno boreale.
 
Gli antichi Romani ereditarono tali riti, associandoli quindi al calendario romano, e celebrando, appunto, l'interregno temporale tra la fine dell'anno solare, fondamentalmente il solstizio invernale e la ricorrenza del Sol Invictus[6]. La dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura attraverso Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato sia i dodici mesi dell'innovativo calendario romano nel suo passaggio da prettamente lunare a lunisolare[7], ma probabilmente associati anche ad altri numeri e simboli mitologici[8]) delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti[9], da cui il mito della figura "volante". Secondo alcuni, tale figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell'abbondanza).
Un'altra ipotesi collegherebbe la Befana con un'antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine "strenna") e durante la quale ci si scambiavano regali.
La Befana si richiamerebbe anche ad alcune figure importate della stessa mitologia germanica, come ad esempio Holda e Berchta, sempre come una personificazione al femminile della stessa natura invernale.
 
Già a partire dal IV secolo d.C., l'allora Chiesa di Roma cominciò a condannare tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell'attuale figura ripulita da contaminazioni favolistiche o pagane, anche se il suo aspetto, benevolo e non negativo, è stato ed è tuttora, per influenza della festa di Halloween, erroneamente associato a quello di una strega. In realtà non è una strega, ma una vecchina affettuosa, rappresentata su una scopa volante, antico simbolo che, da rappresentazione della purificazione delle case (e delle anime), in previsione della rinascita della stagione.
 
Condannata quindi dalla Chiesa, l'antica figura pagana femminile fu accettata gradualmente nel Cattolicesimo, come una sorta di dualismo tra il bene e il male. Già nel periodo del teologo Epifanio di Salamina, la stessa ricorrenza dell'Epifania fu proposta alla data della dodicesima notte dopo il Natale, assorbendo così l'antica simbologia numerica pagana.
 
 
La Befana a Gubbio
Nel 1928, il regime fascista introdusse la festività della Befana fascista, dove venivano distribuiti regali ai bambini delle classi meno abbienti. Dopo la caduta di Mussolini, la Befana fascista continuò a essere celebrata nella sola Repubblica Sociale Italiana.
 
Nel periodo più recente, innumerevoli e largamente diffuse sono le rappresentazioni italiane della Befana e le feste a lei dedicate; spesso si tratta di un figurante che si cala dal campanile della piazza di un paese, oppure di vecchiettine travestite per distribuire dolci e doni ai bambini. La tradizione la vuole "vecchia" ad indicare il finire di un ciclo: con il solstizio d'inverno si passa infatti dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all'allungarsi del periodo di luce; inoltre, a livello di calendario legale, con la fine dell'anno si entra nel nuovo anno gregoriano; anche a livello liturgico si conclude il Tempo Liturgico forte, natalizio, e comincia quello Ordinario. Proprio per questo il giorno dell'Epifania, quando si festeggia anche la Befana, viene recitato "Epifania, tutte le feste porta via".
 
Caratteristiche "tipo" della Befana
IL NOME
Il nome "Befana", inteso come il fantoccio femminile esposto la notte dell'Epifania, era già diffuso nel dialettale popolare del XIV secolo, specialmente in Toscana e nel Lazio settentrionale, quindi utilizzato per la prima volta in italiano da Francesco Berni nel 1535, quindi da Agnolo Firenzuola nel 1541.[10] Poiché, per tradizione, la Befana lascia i doni in una calza appesa al camino, a Dovadola nell'Appennino forlivese, si prepara la calza definita "la più lunga del mondo". Vi sono ancora taluni rari luoghi in cui è rimasto, nel linguaggio popolare, il termine "Pefana" come, per esempio, nel paese di Montignoso, nel resto della Provincia di Massa-Carrara, in quella della Spezia nonché in Garfagnana e Versilia, con tradizioni non in linea con le consuete celebrazioni dell'Epifania[11].
Esiste una specie di befana Americana (Mamma Natale o Befana in italiano) che però aiuta solo il marito e non ha né una sua storia né un suo giorno. Una leggenda religiosa invece racconta che i Re Magi in viaggio per Betlemme avessero chiesto informazioni sulla strada ad una vecchia, e che avessero insistito perché lei andasse con loro a portare i doni al salvatore. La vecchia rifiutò, ma poco dopo, pentita, preparò un cestino di dolci e si mise in cerca dei Magi e del bambino Gesù. Non trovandoli bussò ad ogni porta e consegnò dolci ai bambini sperando di potersi così far perdonare la mancanza.Tuttora la vecchina pentita si è trasformata più in una strega con il gatto che vola sopra la scopa.
 
IL CARATTERE
La Befana richiama la tradizione religiosa di Santa Lucia, che dispensava doni ai bambini prima di lei, come faceva San Nicola prima dell'avvento di Babbo Natale. Non è dunque cattiva, è solo scocciata con gli adulti e scorbutica con chi non le aggrada perché tenta di fare il furbo; ma con i bambini si mostra indulgente e comprensiva, una nonnina piena di attenzioni e dolcetti.
 
L'ASPETTO FISICO E LA SIMBOLOGIA DELLA VECCHINA
Non si tratta di una bella donna, giovane e accattivante, ma, al contrario, di una vecchina rattrappita dagli acciacchi dell'età e dal freddo, con pochi denti, il volto grinzoso e talvolta, ma non sempre, un naso molto prominente per enfatizzarne la vecchiaia e la poca beltà dovuta all'età anagrafica. L'aspetto da vecchia deriva da una raffigurazione simbolica dell'anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare, così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare dei fantocci vestiti di abiti logori, all'inizio dell'anno (vedi, ad esempio, la Giubiana e il Panevin o Pignarûl, Casera, Seima o Brusa la vecia, il Falò del vecchione che si svolge a Bologna a capodanno così come lo "sparo del Pupo" a Gallipoli, oppure il rogo della Veggia Pasquetta che ogni anno il 6 gennaio apre il carnevale a Varallo in Piemonte). In molte parti d'Italia, l'uso di bruciare o di segare in pezzi di legno un fantoccio a forma di vecchia (in questo caso pieno di dolciumi), rientrava invece tra i riti di fine Quaresima. In quest'ottica, anche l'uso dei doni assumerebbe, nuovamente, un valore propiziatorio per l'anno nuovo.
 
La Befana a Montepulciano Stazione
GLI ABITI E LE SCARPE
Per ripararsi adeguatamente la Befana indossa gonnoni lunghi, lisi e rattoppati in maniera allegra; spesso indossa il grembiule. Usa inoltre calzettoni pesanti antifreddo e scarpe comode, ma non stivali alla guascone molto più adatti alle streghe delle fiabe. Sulle spalle a volte ingobbite ha sempre uno scialle di lana pesante e colorata e non un mantello svolazzante come capita di trovare in alcune immagini nella rete.
 
IL FAZZOLETTONE
Non bisogna confondere la Befana con le streghe, di matrice prettamente Halloweeniana. Una Befana vera, infatti, non ha il cappello a punta, come spesso appare su molti siti, blog, e persino in alcune pubblicità televisive. Usa invece esclusivamente un fazzolettone di stoffa pesante o uno sciarpone di lana annodato in modo vistoso sotto il mento.
 
LA SCOPA O IL BASTONE
Ha una scopa, usata spesso per appoggiarsi o per volare brevemente. Talvolta può servirsi anche di un bastone al posto della scopa di saggina, Nell'immaginario, la Befana cavalca la scopa al contrario delle raffigurazioni di streghe, e cioè tenendo le ramaglie davanti a sé. Anche in questo, dunque, l'iconografia specifica della Befana non è assimilabile a quella delle streghe.
 
LA CALZA
Altro frequente errore di "immagine" della Befana è quello relativo al sacco dei doni: in realtà la vera Befana porta i suoi regali o il suo carbone in sacchi di iuta sfatti e slabbrati che assumono la forma di calzettoni enormi, o nelle gerle di vimini, dipende dalla territorialità e dalla tradizione del luogo dove si festeggia.
 
IL CARBONE
Secondo la tradizione orale, la Befana consegna dolciumi ai bambini buoni o carbone e cipolla ai bambini biricchini. Il carbone - o anche la cenere - da antico simbolo rituale dei falò, inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale, ma anche dei fantocci bruciati. Nell'ottica morale cattolica dei secoli successivi, nella calze e nelle scarpe veniva inserito solo il carbone e/o le cipolle come punizione per i soli bambini che si erano comportati male durante l'anno precedente.
 
 
 






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