Vai al contenuto


Le cose più strane e curiose nel mondo

informazione cultura guinness scienza

  • Per cortesia connettiti per rispondere
187 risposte a questa discussione

#81 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 25 novembre 2015 - 08:19

Alba
 
tramontoanimato.gif
 
Alba sul mare
L'alba è il momento in cui il Sole appare all'orizzonte. Dal punto di vista astronomico, l'alba dura un solo istante, ed equivale al momento in cui il bordo superiore di un astro diviene visibile sopra l'orizzonte.
 
Alba sul canale di Corfù in Grecia.
La sua luminosità è di un colore biancastro che vira poi in una tonalità arancio-giallo oro. Generalmente, rispetto al tramonto, la differenza dei colori del cielo circostante il Sole dipendono in gran misura dalla minor quantità di particelle sospese nell'atmosfera mattutina, fatto dovuto alla minor temperatura dell'aria e alla minor presenza di venti durante la notte.
 
Alba in Québec vista dalla ISS.
Astronomicamente, il punto sull'orizzonte dal quale all'alba transita il Sole corrisponde esattamente alla direzione dell'est solo nelle date degli equinozi: esso si sposta infatti, nell'emisfero boreale, a nord-est nei mesi primaverili ed estivi (raggiungendo il punto più a nord al solstizio d'estate) e a sud-est nei mesi autunnali e invernali (analogamente, raggiungendo il punto più a sud al solstizio d'inverno). La zona dell'orizzonte compresa tra il punto più a nord e quello più a sud è detta zona ortiva.
 
Alba su altri pianeti
 
Un'ipotetica alba su Kepler-22b, un pianeta che orbita attorno a una stella simile al Sole.
L'alba esiste anche sugli altri pianeti, ma differisce a causa della distanza dal sole, o, nel caso di pianeti extrasolari, dalla stella madre e della composizione atmosferica del pianeta stesso.
 
 
Tramonto
 
tramonto1.gif
 
Un tramonto dietro le nuvole nei pressi dell'Altopiano Waterberg
Il tramonto è il momento in cui un astro scompare sotto l'orizzonte.
 
Dal punto di vista strettamente astronomico, il punto sull'orizzonte dal quale al tramonto transita il centro del disco solare corrisponde esattamente alla direzione dell'ovest solo nelle date degli equinozi: ad esempio, nell'emisfero boreale, esso si sposta rispettivamente a nord-ovest nei mesi primaverili ed estivi (raggiungendo il punto più a nord al solstizio d'estate) e a sud-ovest nei mesi autunnali e invernali (analogamente, raggiungendo il punto più a sud al solstizio d'inverno). La zona dell'orizzonte compresa tra il punto più a nord e quello più a sud è detta zona occasa.
 
Al tramonto o al sorgere del Sole è possibile, a volte, osservare un raggio verde.
 
Il tramonto marziano
Il tramonto esiste anche sugli altri pianeti, ma è differente a causa della distanza dal sole al pianeta e della composizione atmosferica.
 
Su Marte, dato che il pianeta è più distante dal sole che la terra, il sole appare solamente di una grandezza di 2/3 rispetto a quello terrestre; a causa della rarefatta atmosfera, inoltre, al tramonto il cielo si colora di blu, non di rosso.

 

 

Crepuscolo
 
izon03.jpg
 
Il crepuscolo è l'intervallo di tempo prima del sorgere del Sole, o dopo il tramonto, caratterizzato dalla permanenza dal chiarore dovuto alla diffusione da parte dell'atmosfera della luce del Sole.
 
Convenzionalmente vengono identificati tre tipi di crepuscolo: il crepuscolo civile, il crepuscolo nautico e il crepuscolo astronomico.
 
Crepuscolo civile
Il crepuscolo civile serale comprende il periodo che intercorre tra il tramonto del Sole e l'istante in cui esso raggiunge la distanza zenitale di 96° (-6° dall'orizzonte), momento nel quale inizia il crepuscolo nautico. Al mattino il crepuscolo civile comprende il periodo che intercorre tra l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 96° (-6° dall'orizzonte) e la sua levata. In questo intervallo è possibile distinguere chiaramente gli oggetti circostanti e condurre attività all'aperto senza utilizzare illuminazione supplementare. Durante il crepuscolo civile in cielo sono visibili solo alcune stelle e pianeti particolarmente luminose. L'inizio (il mattino) o il termine (la sera) del crepuscolo civile indicano idealmente il momento in cui rispettivamente si possono spegnere o è necessario accendere fonti di illuminazione artificiale per condurre attività all'aperto.
 
Crepuscolo nautico
Il crepuscolo nautico serale comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo civile (-6° dall'orizzonte) e l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 102° (-12° dall'orizzonte), momento nel quale inizia il crepuscolo astronomico. Al mattino il crepuscolo nautico comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo astronomico in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 102° (-12° dall'orizzonte) e l'inizio del crepuscolo civile (- 6° dall'orizzonte). L'importanza di tale convenzione risiede nel fatto che in questo lasso di tempo si distinguono contemporaneamente la linea dell'orizzonte e le stelle principali. In tali condizioni, utilizzando strumenti di misura nautici come il sestante, è possibile stabilire la propria collocazione geografica.
 
Crepuscolo astronomico
Il crepuscolo astronomico serale comprende il periodo che intercorre tra la fine del crepuscolo nautico (-12° dall'orizzonte) e l'istante in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 108° (-18° dall'orizzonte), momento nel quale inizia la notte astronomica. Al mattino il crepuscolo astronomico comprende il periodo che intercorre tra la fine della notte astronomica in cui il Sole raggiunge la distanza zenitale di 108° (-18° dall'orizzonte) e l'inizio del crepuscolo nautico (- 12° dall'orizzonte). Quando il Sole si trova al di sotto di -18° dall'orizzonte non dà più sostanziali contributi all'illuminazione del cielo ed è idealmente possibile distinguere ad occhio nudo tutte le stelle fino alla sesta magnitudine.
 
Durata
La durata del crepuscolo è determinata da due fattori: la latitudine geografica e la declinazione del Sole; stagione. A latitudini elevate corrispondono crepuscoli più lunghi, che nelle regioni polari possono durare anche diversi mesi e prendono il nome di notte polare. Inoltre negli equinozi il crepuscolo ha la durata minore dell'anno, mentre nei solstizi questa è massima. Solamente all'equatore la durata dei crepuscoli è quasi costante.
 
 


#82 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 02 dicembre 2015 - 06:24

Suono
 
suoni.jpg
 
Il suono (dal latino sonus) è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione. Tale vibrazione, che si propaga nell'aria o in un altro mezzo elastico, raggiunge l'apparato uditivo dell'orecchio che, tramite un complesso meccanismo interno, crea una sensazione "uditiva" correlata alla natura della vibrazione; in particolar modo la membrana timpanica subendo variazioni di pressione entra in vibrazione.
 
Descrizione
Le oscillazioni sono spostamenti delle particelle intorno alla posizione di riposo e lungo la direzione di propagazione dell'onda; gli spostamenti sono provocati da movimenti vibratori, provenienti da un determinato oggetto, chiamato sorgente del suono, il quale trasmette il proprio movimento alle particelle adiacenti grazie alle proprietà meccaniche del mezzo; le particelle a loro volta, iniziando ad oscillare, trasmettono il movimento alle altre particelle vicine e queste a loro volta ad altre ancora, provocando una variazione locale della pressione; in questo modo, un semplice movimento vibratorio si propaga meccanicamente originando un'onda sonora (o onda acustica), che è pertanto onda longitudinale. Si ha un'onda longitudinale quando le particelle del mezzo in cui si propaga l'onda, oscillano lungo la direzione di propagazione. Le onde meccaniche longitudinali sono anche denominate onde di pressione. Il suono è un'onda che gode delle seguenti proprietà: riflessione, rifrazione e diffrazione, ma non della polarizzazione (a differenza della luce che è un'onda elettromagnetica). Un'onda ha la frequenza e lunghezza d'onda che possono essere messe in relazione con la formula:
 
y(x,t) = y_0 \sin\Bigg( \omega \left(t-\frac{x}{c} \right) \Bigg)
dove:
 
y è lo spostamento di un punto lungo l'onda sonora;
x è la distanza dalla sorgente dell'onda del punto considerato;
t è il tempo trascorso;
y0 è l'ampiezza delle oscillazioni,
c è la velocità dell'onda;
ω è la velocitàangolare dell'onda.
La quantità x/c è il tempo necessario all'onda per percorrere la distanza x.
 
La frequenza f, in hertz, dell'onda è data da:
 
 f = \frac{\omega}{2 \pi}.
Per le onde sonore, l'ampiezza dell'onda è la differenza tra la pressione del mezzo non perturbato e la pressione massima causata dall'onda.
 
La velocità di propagazione delle onde sonore dipende dalla temperatura e pressione del mezzo attraverso il quale si propagano.
 
Come tutte le onde, anche quelle sonore sono caratterizzate da una frequenza (che nel caso del suono è in diretta, ma non esclusiva, relazione con la percezione dell'altezza) e un'intensità (che è in diretta, ma non esclusiva, relazione con il cosiddetto "volume" del suono). Inoltre, caratteristica saliente delle onde sonore è la forma d'onda stessa, che rende in gran parte ragione delle differenze cosiddette di timbro che si percepiscono tra diverse tipologie di suono.
 
Il campo uditivo dell'uomo si estende da una frequenza di circa 20 Hz fino a 20.000 Hz (ossia 20 kHz). La lunghezza d'onda rappresenta lo spazio percorso dall'onda sonora in un periodo completo di oscillazione. Le relazioni tra periodo T (tempo necessario perché si compia un'oscillazione completa), frequenza f, e lunghezza d'onda L sono date da:
 
f = c/L; f = 1 /T; c = L/T; c = Lf
 
dove c è la velocità del suono nell'aria (344 m/s; nell'aria, alla temperatura di 20 °C ed alla pressione atmosferica del livello del mare).
 
La velocità del suono dipende molto dalla densità del mezzo: è circa 1.500 m/s nell'acqua e circa 5.000 m/s nel ferro. Essendo un movimento di materia, nel vuoto non si trasmette, poiché non c'è materia da far oscillare.
 
Conoscendo la velocità e la frequenza di un suono, possiamo dunque calcolare la sua lunghezza d'onda; alla frequenza di 20 Hz, la lunghezza d'onda è pari a 17 metri, mentre a 20 kHz è pari a soltanto 17 mm.
 
La velocità di propagazione del suono dipende dalle caratteristiche del mezzo, in particolare l'elasticità e la densità. È direttamente proporzionale all'elasticità ed inversamente proporzionale alla densità, secondo la relazione dove:
 
c = velocità del suono nel mezzo considerato
k = costante
E = modulo di elasticità di Young (N/m2)
\rho = densità del mezzo (kg/m3)
Spesso materiali di elevata densità presentano anche moduli di elasticità elevati e questo ha contribuito al diffondersi della convinzione che la velocità del suono sia più elevata in un mezzo ad alta densità rispetto ad un altro di densità più ridotta.
 
Altezza
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Altezza (suono).
L'altezza è la qualità che fa distinguere un suono acuto da uno grave. Dipende in massima parte dalla frequenza ma anche dalla intensità. L'orecchio umano percepisce solo i suoni che vanno da 16 a 20.000 oscillazioni al secondo. Al di sotto abbiamo gli infrasuoni, al di sopra gli ultrasuoni. Il sonar, ma anche i delfini ed i pipistrelli percepiscono gli ultrasuoni mentre gli elefanti, i pesci ed i cetacei percepiscono gli infrasuoni.
 
La pratica musicale copre una gamma di suoni, le cui fondamentali vanno dal do grave che ha circa 65 oscillazioni semplici al secondo al do acuto che ha 8276 oscillazioni semplici. La voce umana ha un registro ancora più limitato. Per calcolare l'altezza dei suoni, è stato scelto come punto di riferimento il La4 (= ottava centrale del pianoforte) che chiamiamo diapason o corista. La frequenza del diapason, che fino al XIX secolo variava di Paese in Paese e anche a seconda del tipo di musica da eseguire (sacra, da camera ecc.) è stata determinata da diversi congressi: nel 1885, il governo austriaco stabilì che il La4 corrispondesse a 870 oscillazioni semplici che, a loro volta, corrispondevano a 435 oscillazioni doppie. Ora invece il valore di riferimento, stabilito dalla Conferenza di Londra del 1939, è 440 vibrazioni doppie, quindi 880 semplici.
 
Volume e pressione
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Volume (acustica) e Pressione acustica.
Il volume[1] che viene spesso anche chiamato - colloquialmente ed erroneamente - pressione, è la qualità sonora associata alla percezione della forza di un suono, ed è determinato dalla pressione[2] che l'onda sonora esercita sul timpano: quest'ultima è a sua volta determinata dall'ampiezza della vibrazione e dalla distanza del punto di percezione da quello di emissione del suono.[3] In particolare, la pressione di un'onda sonora sferica emessa da una sorgente puntiforme risulta essere proporzionale al reciproco della distanza:
 
 
\tilde{p} \sim \frac{1}{r}
 
\frac{\tilde{p}_1} {\tilde{p}_2} = \frac{r_2}{r_1}
 
\tilde{p}_1 = \tilde{p}_{2} \frac{r_2}{r_1}
p = pressione
 
Per misurare il volume percepito di un suono si fa spesso riferimento al livello sonoro, che viene calcolato in decibel,[4] come segue: 
L_\mathrm{p}=10\, \log_{10}\left(\frac{{p}^2}{{p_0}^2}\right) =20\, \log_{10}\left(\frac{p}{p_0}\right)\mbox{ dB}
 
nella formula, p indica la pressione quadratica media, mentre p0 è una pressione sonora di riferimento (soglia del silenzio o udibile. È la più piccola variazione di pressione che l'orecchio umano è in grado di percepire[5]) comunemente posta 20 µPa (2 10−5 N/m²) in aria e a 1 µPa in acqua. La misura in decibel risulta più appropriata per indicare il livello sonoro percepito, perché la risposta dell'orecchio umano è all'incirca logaritmica.
 
L'intensità di un'onda sonora è invece definita come la quantità di energia che passa attraverso l'unità di area nell'intervallo di tempo unitario. Quindi se l'energia E passa attraverso l'area A nel tempo t, l'intensità I dell'onda è I=E/At=P_{ac}/A, dove si è tenuto conto della definizione di potenza Pac come rapporto fra l'energia e il tempo in cui viene sviluppata (P_{ac}=E/t).
 
L'intensità si può esprimere anche a partire dalla pressione e dalla velocità dell'onda (indicando con T il periodo dell'onda): 
I = \frac{1}{T} \int_{0}^{T}p(t) \cdot v(t)\,dt
 
Nel caso di un'onda sferica (sorgente puntiforme), l'intensità, in funzione della distanza è data da
 
 
I_r = \frac{P_{ac}}{A} = \frac{P_{ac}}{4 \pi r^2} \,
.
Come si può vedere l'intensità decresce come il reciproco del quadrato della distanza:
I \sim {p^2} \sim \dfrac{1}{r^2} \,
 e quindi molto più rapidamente della pressione p \sim \frac{1}{r}
 
Anche per l'intensità si dà una definizione di livello in unità logaritmiche (decibel):
 
 
L_I = 10 \log_{10} \frac {I}{I_o} \,
In questo caso l'intensità di riferimento Io vale 10−12W/m².
 
Timbro
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Timbro (musica).
Il timbro, è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un altro. Il timbro dipende dalla forma dell'onda sonora, determinata dalla sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni fondamentali e dai loro armonici. Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è determinato dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e dalla maniera in cui questa viene posta in oscillazione.
 
La scomposizione di un suono nelle proprie componenti sinusoidali fondamentali è detta analisi in frequenza. Le frequenze vengono misurate in Hz, ovvero oscillazioni al secondo. Le armoniche di un suono sono suoni con frequenze che sono multipli interi del suono principale. Nella musica, tanto più un suono è composto da diverse componenti, tanto più esso risulta complesso: si va dal suono di un flauto dolce, composto dalla fondamentale e da pochissime armoniche, al suono degli strumenti ad arco, composto da moltissime frequenze armoniche secondarie.
 
Tanto più le frequenze secondarie che si sovrappongono alla principale non sono armoniche (ovvero hanno frequenze che non sono multipli interi della fondamentale), tanto più ci si avvicina al rumore.
 
Suoni e rumori
Si può distinguere il concetto di suono da quello di rumore. Il suono è in generale una sensazione che nasce nell'uomo quando una perturbazione meccanica si propaga in un mezzo elastico facendolo vibrare. Per questa ragione molto spesso abbiamo a che fare con suoni i cui stimoli acustici hanno le componenti in frequenza multipli della frequenza fondamentale. Il rumore è comunemente identificato come una sensazione uditiva sgradevole e fastidiosa o intollerabile. Tuttavia alcuni studiosi ritengono che la differenza di significato tra "suono" e "rumore" sia legata alla controllabilità dell'emissione acustica, e non alla sua gradevolezza. L'orecchio umano non è ugualmente sensibile a tutte le frequenze, ma è più sensibile nel campo compreso fra 2 kHz e 5 kHz, ed è molto meno sensibile alle frequenze estremamente elevate o estremamente basse. Questo fenomeno è molto più pronunciato ai bassi livelli di pressione sonora che non agli alti livelli. Ad esempio, un segnale a 50 Hz con un livello di pressione sonora di 85 dB dà luogo alla stessa intensità soggettiva di un segnale di 70 dB a 1.000 Hz. Pertanto affinché uno strumento per la misura del rumore reagisca nella stessa maniera dell'orecchio umano, si deve dotarlo di un filtro di ponderazione che ne simuli la risposta. Questo filtro, definito dalla norma CEI è denominato "A".
 
 


#83 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 09 dicembre 2015 - 08:17

Dente
 
dente.gif
 
Sebbene vi siano una bibliografia e/o dei collegamenti esterni, manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più precisamente.
 
1.Dente 2.Smalto 3.Dentina 4.Polpa dentaria 7.Cemento 8. Corona
 
Dente fossile di un pesce cartilagineo, lo squalo del Paleocene Palaeocarcharodon orientalis
I denti (lat. dentes) sono organi durissimi, che si trovano all'interno del cavo orale di molti animali. Spesso si indicano come denti quelli dei vertebrati. La funzione primaria dell'insieme dei denti (la dentatura) è quella della presa del cibo. In genere, nei mammiferi i denti assolvono anche alla funzione della masticazione del cibo. Oltre a queste basilari funzioni, possono assolvere alla difesa, ed accessoriamente alla fonetica ed estetica.
 
Nei mammiferi le radici dei denti sono coperte dalle gengive. Il processo di formazione dei denti è chiamato odontogenesi e inizia in fasi piuttosto precoci successive al concepimento.
 
Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
 
Sezione dentale umana
Durante la crescita, l'uomo sviluppa due dentizioni. La prima in ordine temporale è rappresentata dai denti di latte, o temporanei o caduchi o ancora decidui (lat. dentes decidui), che cominciano a spuntare in genere verso il sesto mese di vita. All'età di due anni, di solito, un bambino ha venti denti. La dentizione decidua è composta, per ogni arcata dentale, da 4 incisivi (2 mediali e 2 laterali), 2 canini (rispettivamente 1 nell'emiarcata di sinistra e 1 in quella di destra) e 4 molari (2 per ogni emiarcata e, rispettivamente denominati 1º e 2º molare). I molari sono assenti nella dentizione decidua o di latte. La seconda dentizione è composta dai denti permanenti (lat. dentes permanentes). Il germe dentario, da cui si sviluppano i denti permanenti, è presente all'interno dell'osso alveolare. Quando il bambino ha circa sei anni, i denti permanenti cominciano a svilupparsi e la radice del dente deciduo viene erosa dagli odontoblasti, non avendo supporto, il deciduo cade, venendo rimpiazzato dal permanente. Questo processo dura per sei anni (si continua fino circa ai vent'anni solo per i "denti del giudizio" (terzi molari) ed al suo termine l'uomo adulto è provvisto di trentadue denti.
 
Nella bocca esistono diversi gruppi di denti, variabili per forma, dimensione e funzione. Nei mammiferi e nell'uomo, si distinguono gli incisivi, i canini, i premolari e i molari
 
L'uomo possiede, per ogni semiarcata (metà di una arcata dentale): 2 incisivi (1 mediale e 1 laterale), 1 canino, 2 premolari (chiamati primo e secondo premolare) e 3 molari (chiamati rispettivamente primo, secondo e terzo molare, di cui il terzo è anche chiamato dente del giudizio). Moltiplicando per 4 ciascuno di questi numeri, poiché due sono le metà arcate e le arcate stesse sono 2 (una mascellare e una mandibolare), si avranno: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari. Sommando questi numeri, si ottengono in totale i 32 denti propri dell'uomo adulto. Nella dentizione permanente il terzo molare, il dente del giudizio, può essere assente, anche in tutte le semiarcate.
 
L'uomo, come la maggior parte dei Mammiferi, è difiodonte, cioè presenta due dentizioni successive, ed eterodonte, cioè presenta in ogni dentizione denti tra loro diversi, distinti per funzione: - dentizione decidua (alias "da latte"), presente nei bambini e composta da 20 denti. Essa è completamente presente all'età di 2 anni e mezzo; e fino all'età di sei anni: epoca in cui inizia l'eruzione dei denti permanenti (i denti di latte vengono persi tutti, gli ultimi verso gli 11/12 anni) - dentizione mista. Si ha compresenza dei denti decidui e degli erompenti denti permanenti. Va dai sei anni ai 12 anni, epoca in cui l'adolescente presenterà 28 denti permanenti e più nessun deciduo. - dentizione permanente (o "definitiva"), presente dai dodici anni. Mancano solo i terzi molari permanenti, che erompono tra i 18 e i 25 anni portando così la dentatura a 32 elementi.
 
Le malattie e lo sviluppo
Le malattie dei denti sono diverse e più o meno gravi. Tra le malattie congenite si può annoverare l'anodontia, a cui ci si riferisce anche come agenesia in caso di una serie di denti in particolare. Le più diffuse e dannose malattie acquisite sono la carie (malattia degenerativa dei tessuti duri del dente) e la malattia parodontale (perdita dei tessuti di sostegno: osso, legamento, gengiva) provocano se non intercettate in tempo la perdita del dente. Il bruxismo (digrignamento dei denti durante il sonno) può provocare tra l'altro danneggiamenti ai denti.
 
I denti si sviluppano bene in dipendenza di molti fattori. Poiché nella sostanza che compone i denti si ha un'alta percentuale di calcio, fosforo ed altri minerali, la dieta influisce notevolmente sul buono sviluppo e sulla conservazione dei denti. In questi processi, le vitamine A, B, D sono indispensabili, mentre il fluoro aiuta a mantenere sani e robusti i denti. Un'insufficiente produzione di ormoni, da parte di alcune ghiandole endocrine, come la tiroide e la paratiroide, impedisce lo sviluppo di denti robusti. Alcuni agenti chimici rendono solubili i sali di calcio presenti nello smalto e consentono alla carie di iniziare la sua azione distruttrice. La solubilizzazione dei sali di calcio è provocata dai batteri presenti nella bocca, i quali, digerendo i carboidrati, liberano acidi.
 
Deperimento dei denti
Il deperimento dei denti, detto anche carie dentaria, è una delle malattie più diffuse del genere umano. È causata direttamente dall'azione degli acidi che derivano dallo zucchero, dall'amido e dai germi, o batteri, che vivono sulla superficie dei denti. Più un individuo mangia zuccheri ed amidi, più acido si forma nella sua bocca. L'acido agisce sullo smalto dei denti, formando una cavità, o buco, ed in seguito il deperimento del dente. Se la cavità non viene pulita per tempo e otturata dal dentista, la dentina, simile all'avorio, o corpo del dente, comincia a cariarsi, permettendo alla cavità di raggiungere la polpa dentaria. Se la polpa esposta si infetta, si forma un ascesso. Un ascesso è una raccolta di pus che si forma alla fine della radice del dente. Da qui, l'infezione può propagarsi per tutto il corpo; pertanto, il dente infetto deve essere opportunamente curato (o al limite estratto) per proteggere la salute della persona interessata.
 
Ma la carie dei denti non è causata solo dallo zucchero e dall'amido. I denti di certe persone possono essere più o meno resistenti di quelli di un'altra. Un fattore importante è dato dalle condizioni dei denti: se lo smalto è in cattive condizioni, ciò ne facilita il deperimento. Un altro fattore è il grado di acidità della saliva.
 
Se il cibo rimane a lungo nelle fessure che dividono un dente da un altro, le sue piccole particelle risultano un ottimo terreno di coltura per i batteri che producono gli acidi. Naturalmente, i posti più pericolosi sono quelli che più difficilmente si possono pulire, e cioè la superficie interna dei denti e le parti dei denti che vengono fra loro in contatto. Non si è ancora del tutto in grado di prevenire la carie dei denti. Per ridurre la formazione di cavità, si consiglia di mangiare pochi alimenti dolci, specialmente fuori pasto. Si consiglia, inoltre, una sana e bene equilibrata alimentazione, una regolare ed appropriata pulizia e la visita dal dentista ad intervalli regolari e frequenti.
 
Un metodo per aiutare i denti a resistere alla carie è quello di applicare ai denti dei bambini una soluzione di fluoruro di sodio, in modo da rinforzare lo smalto. A questo scopo, in alcuni Paesi si usa aggiungere fluoruro all'acqua potabile.
 
Anatomia e Istologia comparata
Nella bocca di alcuni animali, al posto dei denti, sono presenti particolari formazioni ossee. I denti possono essere usati per lacerare o strappare il cibo, per tenere ferma la preda nella bocca e successivamente per triturare in pezzi gli alimenti. A volte, i denti hanno anche funzioni protettive ed offensive. Il tricheco usa, invece, i suoi denti, o zanne, per trascinarsi lungo le coste rocciose.
 
I castori fanno uso dei loro formidabili denti per abbattere gli alberi, tagliare i rami e costruirsi col legno le loro complicate dighe. Parecchi animali sono però privi di denti: esempio sono gli uccelli, le tartarughe, alcuni pesci, eccetera.
 
I denti variano per forma e dimensioni da essere vivente a essere vivente, nei mammiferi sono distinguibili tre parti. La corona che è la parte del dente che si sviluppa fuori dalla gengiva; è ricoperta dallo smalto dentale, il tessuto più duro dell'intero organismo, composto per il 98% da cristalli di idrossiapatite, 1% sostanze organiche e 1% acqua, al di sotto del quale troviamo la dentina, più scura dello smalto, che è composta dal 70% da cristalli di idrossiapatite e dal 30% sostanze organiche, tessuto molto simile a quello osseo, nel quale si irradiano le fibre sensoriali del thomes che conferiscono sensibilità al tessuto. Il colletto è un solco che divide la corona dalla radice. Radici che troviamo alla base di ogni dente, composte esternamente da un tessuto chiamato cemento , composto dal 40 % da cristalli di idrossiapatite e dal 60 % sostanza organica, di colore giallo, ricopre la dentina nelle zone sub gengivali, si nota all'apice un'apertura attraverso cui passano i vasi sanguigni ed i nervi che si immettono nella cavità interna della corona occupata dalla polpa dentaria. Infine ogni dente ha una camera pulpare dove trae nutrimento e sensibilità, dalla quale si espandono le terminazioni nervose che innervano anche la dentina.
 
Il tessuto di sostegno dei denti è chiamato parodonto ed è composto da: osso alveolare, cemento, ligamento periodontale e più esternamente da gengiva.
 
I denti iniziano il processo digestivo in diversi modi. Innanzi tutto essi masticano il cibo e lo rendono inghiottibile; la masticazione consente l'umidificazione dei cibi asciutti da parte della saliva e permette che la ptialina, contenuta nella saliva, si mescoli in abbondanza al cibo.
 
I denti si sono sviluppati nei diversi gruppi animali, sino dai più lontani stadi evolutivi. Tra gli invertebrati, l'anchilostoma possiede denti ad uncino che gli sono utili per attaccarsi alla parete dell'intestino che incide con le lamine faringee per succhiare il sangue; lo stesso dicasi delle sanguisughe. Le lumache hanno un particolare apparato (radula) per mezzo del quale brucano le foglie delle piante. Le aragoste hanno lo stomaco rivestito di cuticola provvista di denti che servono per triturare il cibo.
 
Nei mammiferi si hanno due serie di denti, cioè due dentizioni successive, come nell'uomo. I denti dei roditori, che si consumano perché questi animali rodono di continuo, sono a crescita costante.
 
Nei maiali la maggior parte dei denti è presente sino dal momento della nascita. Il più grande dente conosciuto è quello appartenente ad un mammut, che è un animale estinto. Il dente, che in questo caso è detto zanna, misura 4,6 metri di lunghezza e pesa circa 130 chili.
 
 


#84 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 16 dicembre 2015 - 07:01

Occhiali
 
800px-Reading_glasses.jpg
 
L'apostolo degli occhiali di Conrad von Soest (1403)
Seneca pare indicare nelle sfere di vetro un mezzo per ingrandire le immagini. Plinio scrive che Neronem principem gladiatorum pugnas spectasse smaragdo, che da taluni è intesa come testimonianza dell'uso, da parte di Nerone, di uno smeraldo a fini ottici durante i giochi gladiatori. I primi documenti sicuramente veri e ancora esistenti intorno a questa invenzione sono localizzabili in Veneto, in particolare a Treviso all'interno della Sala del Capitolo del convento domenicano della chiesa di San Nicolò, a partire dal dipinto del cardinale Ugone di Provenza eseguito da Tommaso da Modena nel 1352. Questo affresco è una delle prime testimonianze dell'uso degli occhiali.
 
Già dal 1100 la Serenissima, cogliendo l'importanza di mantenere segreta l'arte della produzione del vetro, confinò le fornaci sull'isola di Murano con la scusa della pericolosità di queste nell'ambito di una città costruita prevalentemente con il legname del Cadore e della Carnia, e pertanto vietava espressamente ogni fonte di traffico a forestieri e veneziani sia interna che esterna. Si evidenzia perciò che la produzione di lenti a Venezia era oramai fortemente presente.
 
Nei Capitolari delle Arti Veneziane del 1284 si distinguono gli occhiali (roidi da ogli) dalle lenti d'ingrandimento (lapides ad legendum), e si prevedono pene per chi fabbrica occhiali in vetro: significa che l'arte di costruirli non è recente, poiché solo un'arte consolidata è remunerativa in maniera tale da giustificare una contraffazione.
 
È probabile che qualche cristalliere spinto dal basso prezzo del vetro e dalla maggior facilità di lavorazione commerciasse questo spacciandolo per cristallo. Particolarmente importante per la nostra ricostruzione risulta il Capitolare del 2 aprile 1300, dove al capitolo XL(40) vengono indicati una serie di oggetti tra i quali figurano le lenti d'ingrandimento e per la prima volta le lenti per occhiali (roidi de botacelis et da ogli e lapides ad legendum). Faranno seguito un nuovo capitolare nel 1301 e successivi fino al 1330, passando dal latino al volgare e assumendo la dizione: rodoli de vero per ogli per lezer.
 
 
Ritratto di Francisco De Quevedo y Villegas
Il 23 febbraio del 1305 si registra una predica presso la chiesa di Santa Maria Novella in Firenze (consultabile nei codici Riccardiani, Ashburnhamiano e Palatino), in cui il domenicano beato Giordano da Pisa o Rivalto comunica al popolo che non è ancora venti anni che si trovò l'arte di fare gli occhiali che fanno vedere bene, ch'è una delle migliori arti e delle più necessarie che 'l mondo abbia, ed è così poco che si trovò: arte novella che mai non fu... io vidi colui, che prima le trovò, e fece e favellaigli. Di qualche anno dopo è il documento della Cronaca del convento domenicano di Santa Caterina (Pisa), ove risiedeva il beato Giordano, in cui si ricorda frate Alessandro della Spina, morto nel 1313, modesto e buono, il quale quello che fatto vedeva sapeva egli rifare. Gli occhiali (ocularia) che altri per primo aveva fatto e non voleva comunicarne il segreto, fece egli ed a tutti comunicò lieto (ylari) e volonteroso.
 
Questi due documenti saranno il principio di un falso seicentesco ad opera di Ferdinando Leopoldo Del Migliore nel suo libro del 1684 Firenze città nobilissima illustrata per campanilismo attribuirà l'invenzione degli occhiali a un fiorentino, tale Salvino degli Armati. Il falso fu smascherato da Isidoro del Lungo (in Arch. Stor. It. LXXVIII, 1920 La vicenda di un'impostura erudita) e Alessandro Volpi, accademico della Crusca, nel 1909.
 
La probabile verità fu che Giordano da Rivalto, presi i voti nel 1280 presso il convento di Santa Caterina, si trasferì a Bologna per approfondire i suoi studi prima di raggiungere Parigi, dalla quale rientrò nel 1302. Durante il soggiorno a Bologna ebbe modo di conoscere i confratelli veneziani che avevano la loro sede nel cuore pulsante della città, presso la chiesa di San Giacometto a Rialto, ed ebbe modo di conoscere e parlare a colui che inventò l'occhiale ma non di conoscerne il segreto della produzione, in quanto vietatissimo dalla Serenissima. Al suo rientro a Pisa il beato Giordano aveva 40 anni (si apprestava pertanto all'età della presbiopia), e frate Alessandro, visto un paio di questi portato dal beato Giordano, fu capace di riprodurli, e perciò fu il primo a divulgare in Toscana l'arte della costruzione degli occhiali.
 
L'applicazione razionale di questo ausilio si deve a Franciscus Donders, oftalmologo olandese, che per primo prescrisse lenti con potere corrispondente alla correzione del difetto visivo.
 
La prima industrializzazione dell'occhiale, in Italia, avvenne nel 1878 per opera di Angelo Frescura che aprì la fabbrica a Calalzo di Cadore, dando inizio a quello che è diventato il distretto industriale dell'occhiale.
 
Immagine della città di Seattle attraverso lenti di rifrazione
Se dotati di lente abbrunata (più comunemente detta "filtro"), vengono chiamati "occhiali da sole". Quelli in commercio in Italia devono riportare obbligatoriamente il marchio CE seguito dall'indicazione della categoria di protezione (che va da zero a quattro, a volte indicata con degli asterischi) che indica il livello di attenuazione della luce indotto dal filtro nel campo del visibile. I filtri di categoria 4 non sono adatti alla guida. La dicitura "UV 400" sta ad indicare che la trasmittanza dei raggi UVA e UVB rispetta la normativa vigente.
 
Esistono in commercio numerosi casi di contraffazione dei marchi di garanzia, ed è bene ricordare che occhiali da sole di bassa qualità, specie se usati in condizioni estreme (come sui ghiacciai o in alta quota), possono generare gravi danni alla retina o portare alla cecità temporanea.
 
Alcuni occhiali forniti di lenti speciali (diversamente colorate o polarizzate, oppure a "LCD shutter") consentono una visione tridimensionale di immagini bidimensionali (stereoscopia).
 
La visione nitida si ha solo se l'occhio guarda nel centro della lente perché la periferia della stessa distorce le immagini: le comuni lenti negative rimpiccioliscono le immagini e il campo visivo è limitato dalla montatura. Il soggetto miope è costretto per vedere bene di lato a girare la testa, per cui i muscoli del collo molto più che i muscoli estrinseci dell'occhio intervengono sui movimenti.
 
Importanza dell'igiene
Se gli occhiali non sono puliti adeguatamente, possono formarsi nel tempo depositi che sono il terreno di coltura ideale, un "collante" per lo sviluppo di colonie di microrganismi patogeni, quali funghi e batteri, che si moltiplicano velocemente e quindi possono provocare infezioni oculari.
 
Esiste una flora batterica di funghi e batteri che normalmente vivono nell'occhio sano. I microrganismi patogeni, che crescono nell'occhiale o nella lente a contatto sporca, si propagano per via aerea e possono giungere a contatto della cornea, fino a provocare una cheratite.
 
 


#85 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 23 dicembre 2015 - 03:14

Fognatura
 
220px-S%C3%A3o_Cucufate_roman_canaliza%C
 
Le prime testimonianze storiche di fognature risalgono ad un periodo compreso tra il 2500 e il 2000 a.C. circa e sono state trovate a Mohenjo-daro, nell'attuale Pakistan. Dai resti si è potuta ricostruire la fisionomia della città che, sotto il livello stradale, presentava una vasta rete di canali in mattoni in grado di convogliare le acque reflue provenienti dalle abitazioni. Anche la città di Ninive, capitale del regno assiro tra l'VIII e il VI secolo a.C. era fornita di una rete fognaria.
 
Le fognature antiche più efficienti furono però quelle di Roma. La prima cloaca romana di cui sia abbia notizia risale al VII secolo a.C. e fu progettata per bonificare gli acquitrini che occupavano le vallate alla base dei colli dell'Urbe, e far defluire verso il Tevere i liquami del Foro Romano, di Campo Marzio e del Foro Boario.
 
La realizzazione più importante fu però la cloaca massima, la cui costruzione fu avviata nel VI secolo a.C. sotto il leggendario re di Roma di origine etrusca Tarquinio Prisco. Con la cloaca massima (inizialmente era un canale a cielo aperto ma successivamente fu coperto per consentire l'espansione del centro cittadino), di cui si possono vedere alcuni tratti e lo sbocco presso i resti del Ponte Rotto, i romani ci hanno tramandato uno dei più importanti esempi di ingegneria idraulico-sanitaria.
 
Con la caduta dell'impero, non vennero più costruite nuove fogne e spesso quelle esistenti furono abbandonate. Solo molto più tardi, nel XVII secolo, si sentì nuovamente l'esigenza di costruire fognature a seguito della forte urbanizzazione di città come Parigi e, dal XIX secolo, Londra.
 
 
 
 


#86 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 30 dicembre 2015 - 03:44

La chirurgia
 
Konstantinderafrikaner.jpg
 
Estrazione della pietra della follia, di Hieronymus Bosch
La chirurgia (dal greco, cheiros: mano e ergon: lavoro) è un ramo della medicina che manipola fisicamente la struttura del corpo a fine diagnostico, preventivo o curativo. Ambroise Paré, chirurgo francese del secolo XVI, le attribuì quattro funzioni:
 
* ridurre ciò che si è dislocato,
separare ciò che è stato unito,
riunire ciò che è stato separato,
riparare ai difetti della natura.
Da quando l'uomo produce ed usa utensili e strumenti ha anche utilizzato il proprio ingegno per sviluppare tecniche chirurgiche sempre più sofisticate. Sarà necessario però arrivare alla rivoluzione industriale per vincere i tre principali ostacoli con cui si scontrava questa specialità medica, ovvero: l'emorragia, il dolore e l'infezione. Gli avanzamenti in questi campi hanno trasformato la chirurgia da un'arte rischiosa (e quindi sottovalutata per questo), ad una capace dei risultati più sorprendenti.
 
Generalità
Le professioni del chirurgo e del medico hanno subito molti incontri e scontri nel corso della storia. In generale il chirurgo (barbiere, arruffone) è stato considerato il tecnico, mentre il medico (più relazionato storicamente con il sacerdote o lo sciamano) era un autentico terapeuta.
Durante lo sviluppo della medicina moderna, la conoscenza di ambo le discipline si raggruppò nella medesima formazione accademica la quale, nella maggior parte dei paesi sviluppati, permette l'ottenimento del titolo congiunto di laurea in medicina e chirurgia. Buona parte della sua storia è relazionata con la storia della medicina in generale.
Le nuove tecnologie applicate all'archeologia confermano che il suo sviluppo si rifà all'origine stessa dell'homo sapiens la cui vita in libertà era oggetto di numerosi incidenti, ferite ed emorragie suscettibili di trattamento chirurgico mediante tecniche rudimentali.
 
Origini della chirurgia
Le prime tecniche chirurgiche si utilizzarono per il trattamento delle ferite ed i traumi prodotti nel corso della vita. La combinazione di studi archeologici ed antropologici offre informazioni sui metodi rudimentali di sutura, amputazione, drenaggio e cauterizzazione di ferite, ottenuti con strumenti incandescenti.
 
Esistono numerosi esempi:
 
un misto di salnitro e di zolfo, posti sulla ferita, veniva incendiato, metodo usato da alcune tribù asiatiche;
la tecnica di drenaggio di alcune tribù dakota, mediante l'impiego dell'anima di una piuma connessa ad una vescica animale per succhiare il materiale purulento,
la ricerca di aghi dell'età della pietra che avrebbero potuto essere utilizzati in suture (i Masai utilizzavano aghi di acacia per lo stesso scopo),
l'ingegnoso metodo sviluppato da alcune tribù in India e in Sud America, che schiudevano le ferite minori, applicando termiti o coleotteri ai quali, dopo che hanno morso i bordi avvicinati della ferita, viene torto il collo, così da lasciare la testa rigidamente agganciata come graffe.
 
Cranio del Neolitico, 3500 a. C., conservato nel Museo di Storia Naturale di Lausanne, probabilmente trapanato con silice. Si pensa che, grazie all'operazione, il paziente sopravvisse.
Tra i trattamenti applicati dagli aztechi, secondo la descrizione dei testi spagnoli durante la conquista del Messico, si trovava questa raccomandazione per trattare le fratture: l'osso rotto deve essere steccato, esteso ed aggiustato, e se questo non sara sufficiente, si farà un'incisione nell'estremo dell'osso inserendo un ramo di abete, nella cavità midollare. .[2] La medicina contemporanea ha sviluppato questo metodo di fissazione ossea nel secolo XX chiamandola fissazione midollare. Esistono ritrovamenti archeologici di cranii con segni evidenti di trapanazione (perforazione delle ossa piatte della testa per accedere all'encefalo), datate intorno all'anno 3000 a.C., nel quale si postula la sopravvivenza del paziente dopo l'intervento. Le più antiche trapanazioni sono state fatte nella conca del Danubio, però esistono reperti simili negli scavi effettuati in Danimarca, Polonia, Regno Unito, Svezia e Spagna. Folke Henschen, medico e storico svedese, afferma che i ritrovamenti archeologici sovietici sulle rive del fiume Dniepr (negli anni sessanta), dimostrano l'esistenza di trapanature nei crani datati nel mesolitico, all'incirca 12.000 anni prima di Cristo.
 
La teoria della sopravvivenza alla trapanazione del cranio poggia sull'evidenza della formazione di nuovo tessuto osseo o di callo osseo attorno all'orifizio prodotto dalla trapanazione.
In alcuni studi il tasso di sopravvivenza supera il 50%.
Un'altra disciplina correlata alla chirurgia della quale esistono evidenze da migliaia di anni è l'anestesiologia. L'alcool (arabo al-khwl الكحول, o al-ghawl الغول) è probabilmente uno degli anestetici più antichi, e il suo impiego è stato constatato varie migliaia di anni prima della nostra epoca.[5] Inoltre si conosce l'impiego dell'oppio da migliaia di anni (alcuni cilindri babilonesi e bassorilievi mesopotamici mostrano delle teste di papavero da oppio) per uso anestetico oltre che ricreativo.[6] Altre piante utilizzate nell'antichità con lo stesso fine furono l'estratto di Cannabis sativa, il ginepro comune, la pianta di coca o la mandragora.
 
 
Hirudo medicinalis. Sansuisuga per salassi.
Altra tecnica antica è il salasso o flebotomia, attestata da numerose società nel corso della storia inca peruviani, India (ayurveda), Greci (Ippocrate), effettuato mediante strumenti taglienti o l'utilizzo di sanguisughe. Nei papiri di Kahun si menziona la tecnica del salasso, utilizzata da alcuni veterinari egizi. Questa tecnica si estese con una grande diffusione in occidente, a modo che nel rinascimento si potevano vedere Calendari dei salassi che raccomandavano il suo utilizzo in momenti particolari dell'anno. Esso era usato per la cura di dolori disparati come l'infiammazione, l'infezione, l'ictus, la fase maniacale delle psicosi bipolari, ed anche come metodo preventivo di molte altre infermità.
 
Mesopotamia
Beroso, filosofo caldeo del III secolo a.C. riportò molte tradizioni scritte su Babilonia (principalmente negli archivi di Borsippa), ed arrivò ad affermare che da quando il dio Oannes insegnò al popolo sumero tutto lo scibile riguardo alla civiltà, nulla di nuovo era stato inventato. Questa affermazione sorprendente sembra meno iperbolica quando si analizzano le tavole sumere e si evidenzia tutto ciò che la civiltà sumera sviluppò ed inventò varie migliaia di anni prima della nostra era.
 
 
Nel codice di Hammurabi esistono alcune leggi che si riferiscono in modo specifico alla chirurgia.
Circa nel 4000 a.C. si stabilisce in Mesopotamia (tra il Tigri e l'Eufrate) la civiltà Sumera, che ha sviluppato la forma di scrittura più antica che si sia mai conosciuta. Tra le 30.000 tavolette cuneiformi scoperte, circa 800 trattano temi medici (ed in una di queste c'è la prima ricetta medica conosciuta). Il nome del primo chirurgo conosciuto è Urlugaledin, del 4000 a.C., il cui simbolo personale mostra due coltelli circondanti una pianta medicinale. Questo timbro si trova nel museo del Louvre a Parigi.
 
Il modello di salute e malattia tra i sumeri si basava su una concezione sovrannaturale della malattia: questa era un castigo divino imposto da differenti dèmoni in seguito alla rottura di alcuni tabù. Così la prima cosa che il medico doveva fare era identificare quale dei circa 6000 possibili dèmoni aveva causato il problema. Per farlo utilizzavano tecniche divinatore basate sullo studio del volo degli uccelli, della posizione degli astri o del fegato di alcuni animali. In questo modo la medicina era profondamente legata al sacerdozio, e la chirurgia restava relegata a specialità medica di seconda categoria.[8]
 
Ciò nonostante lo sviluppo delle tecniche chirurgiche è notevole: a Ninive sono stati ritrovati strumenti di bronzo e ossidiana di elegante fattura, come bisturi, seghe, trapani ecc.
 
Il codice di Hammurabi (ritrovato a Susa, Iran, e conservato nel museo del Louvre), d'altra parte, protegge la chirurgia con la sua abbondante legislazione. Alcuni frammenti di questo codice trattano specificamente gli interventi chirurgici:
 
« Se un medico ha curato un uomo per una grave infermità e lo cura, o apre con un coltello un'infezione e salva l'occhio del paziente, deve ricevere dieci sicli d'oro. Se il paziente è un uomo libero, l'onorario sarà di cinque sicli. Se è uno schiavo, il padrone pagherà due sicli. »
« Se un medico con il bisturi causa una grave ferita allo schiavo di un uomo libero e lo uccide, il medico deve sostituire lo schiavo con un altro. Se cura un uomo libero e gli causa una ferita mortale, o se ha aperto un ascesso e l'uomo libero resta cieco, gli si taglieranno le mani »
Egitto[modifica | modifica wikitesto]
Intorno al 3100 a.C. comincia il periodo di splendore della civiltà egizia, quando Narmer, il primo faraone, stabilisce la capitale a Menfi. Come accade con la civiltà sumera e la scrittura cuneiforme, si conserva un gran numero di documenti su questa civiltà grazie all'uso della scrittura geroglifica.
 
Il primo trattato di chirurgia data alla prima epoca monarchica (2700 a.C.); è stato scritto da Imhotep, visir del faraone Djoser, sacerdote, astronomo, medico e primo architetto di cui si abbia notizia. La sua fama di guaritore fu tale che venne deificato e considerato il dio egizio della medicina.[10] Altri famosi medici dell'Antico Impero (dal 2500 al 2100 a.C.) furono Sachmet, medico del faraone Nebkhau, o Nesmenau, una sorta di primario dell'epoca. Su uno degli stipiti all'entrata del tempio di Menfi si trova il bassorilievo più antico relativo a un intervento chirurgico: una circoncisione. Tra i vari papiri conservati se ne conoscono nove relativi a materie mediche; tra essi il più famoso e importante è quello denominato dal suo scopritore: Georg Ebers.
 
Il papiro Ebers
 
Affresco rappresentante una circoncisione, in una tomba di Saqqara, vicino a Menfi, Egitto.
Il papiro Ebers, conservato all'Università di Lipsia, è considerato uno dei più antichi trattati di medicina conosciuti. La sua composizione è datata intorno all'anno 1550 a.C., ed è lungo circa 20 metri. Vi sono scritte ricette, una farmacopea e la descrizione di numerose malattie, nonché alcuni trattamenti cosmetici. Riguardo alla chirurgia, si fa menzione dei morsi di coccodrillo e delle ustioni. Raccomandava il drenaggio dei gonfiori, anche se avvisava che determinate patologie della pelle non dovevano essere toccate.
 
 
Strumenti chirurgici in un bassorilievo del tempio di Kom Ombo, Egitto.
« Se incontri il grande gonfiore del Dio Xensus ad una estremità, considera quanto sia molto fastidiosa e che può produrre molto pus; si forma un qualcosa come il vento e provoca irritazione. Il gonfiore ti dice con voce forte: La piaga purulenta non è la più repulsiva tra tutte? Macchia la pelle e lascia dei segni,. Tutte le membra arrivano ad assomigliarsi a quello che fu affetta per prima. Quindi si deve affermare: È il gonfiore del dio Xensus, non la toccare! »
Il papiro Edwin Smith
Il papiro Edwin Smith è un documento di soli 5 metri, meno conosciuto, datato 1600 a.C., ed è un manuale di chirurgia traumatica di sorprendente qualità per quell'epoca. Come esempio, ecco un'approssimazione diagnostica interessante, dopo un traumatismo cranio-encefalico:
 
« Se visiti un uomo con una ferita profonda nella testa devi toccarla, anche se il paziente trema fortemente. Chiedigli di alzare la testa e osserva se gli fa male aprendo la bocca e se il cuore batte debolmente. Osserva se presenta saliva vicino alla bocca e se gocciola o no, e se sanguina dalle narici o dalle orecchie, e se ha il collo rigido, o non riesce a muovere la testa di lato. »
Nella parte finale di questo manoscritto viene descritto in dettaglio come trattare una dislocazione della mandibola; le esaustive descrizioni anatomiche, la cui possibile origine sta nella tecnica dell'imbalsamazione, non saranno superate fino a molti secoli dopo.
 
Cina e India
Dopo la seconda metà del XX secolo la medicina occidentale (la cui corrente principale è di forte tendenza biologicista), accetta comunque la coesistenza di un modello di salute-malattia basato su un paradigma ambientalista o integrale: la malattia è il risultato della scomparsa dell'equilibrio naturale tra l'essere vivente e l'ambiente che lo circonda. Questo squilibrio o mancanza d'armonia tra l'individuo e l'ambiente costituisce l'asse principale del millenario modello orientale.[11] La medicina cinese tradizionale descrive l'equilibrio di cinque elementi che considera fondamentali: acqua, terra, fuoco, legno e metallo. A sua volta l'equilibrio è il risultato della presenza di due forze: Yin e Yang, che operano simultaneamente.
 
 
Mappa dei punti di applicazione dell'agopuntura. Dinastia Ming.
Il manuale medico cinese più antico conosciuto è datato intorno all'anno 2600 a.C., ed è noto con il nome di Nei Ching. Questo testo viene attribuito all'imperatore giallo, Huang Di (anche se gli storici moderni considerano che fu compilato da fonti antiche da uno studioso tra le dinastie Zhou e Han, oltre 2000 anni dopo) e sviluppa molti concetti medici interessanti per l'epoca. Tuttavia, il tabù di rispettare i cadaveri umani sembra avere frenato conoscenze di anatomia chirurgica, essendo i suoi principali trattamenti di natura chirurgica superficiale o di minore importanza (disinfezione delle ferite, massaggi in patologie traumatologiche, etc.).
 
La medicina cinese si sviluppò a favore di una disciplina a cavallo tra la medicina e la chirurgia denominata agopuntura: secondo questa disciplina l'applicazione di aghi in alcuni dei 365 punti di inserzione (o fino a 600, a seconda delle scuole) restaurerebbe l'equilibrio perso tra Yin e Yang.
 
La civiltà indú, da parte sua, descrive nel Atharvaveda alcuni procedimenti medici ampliati parzialmente nel Ayurveda, due libri sacri. Quest'ultimo, datato all'800 a.C., è il precursore di un trattato di chirurgia indù conosciuto come Susruta Samhita. Susruta è il supposto autore (anche se non si sa niente di questo individuo od insieme di individui), e la datazione di questa compilazione è dubbia, oscillando, a seconda degli autori, tra l'800 a.C. e il 400 d.C. In questo trattato si descrivono tecniche chirurgiche ingegnose, successivamente reinventate dalla medicina contemporanea: la riduzione delle fratture mediante ferula, sutura delle ferite, cauterizzazione delle fistole, o drenaggio degli ascessi. Questo manuale contiene un allegato che elenca e rappresenta graficamente 121 diversi strumenti chirurgici.
 
La medicina indù fu la prima a sviluppare tecniche specifiche di chirurgia plastica: dalla riparazione delle deformità del padiglione auricolare dopo la perforazione per mettere orecchini, fino ad una complessa tecnica di rinoplastica (presumibilmente sviluppato da ladri, dopo che gli era stata applicata la pena dell'amputazione del naso prevista per il loro crimine).
 
Inoltre si descrivono metodi chirurgici di eliminazione di calcoli renali, calcoli biliari, ed anche un metodo per intervenire sulla cataratta:
 
« Il medico sceglie una mattina luminosa e si siede su uno sgabello della altezza delle ginocchia. Di fronte a lui si trova il paziente il quale, una volta lavato e mangiato, si siede fisso al suolo. Il medico palpa la impurezza dell'occhio, il paziente guarda la sua narice , mentre un aiutante gli tiene con forza la testa. Il chirurgo prende una lancetta che tiene con le dita indice, medio e pollice, la dirige al bordo della pupilla, il dito medio verso la parte nera ed il quarto dito all'angolo esterno dell'occhio e si sposta vero l'alto. Taglia l'occhio sinistro con la mano destra e l'occhio destro con la mano sinistra. Se taglia bene si sente un rumore ed esce una goccia d'acqua. »
America precolombiana
 
Coltello tumi peruviano
Esistono numerose scoperte archeologiche che dimostrano che la pratica della trapanazione del cranio era conosciuta in tutto il continente americano (includendo in ciò anche le tribù nordamericane). È però necessario segnalare che il maggior sviluppo della chirurgia si raggiunse nelle due principali civiltà del centro-sud: Aztechi ed Inca .Comunque in generale la concezione della salute-infermità era di tipo animista o spirituale, e la profonda conoscenza delle erbe o dei principi attivi naturali dotò queste culture di un importante arsenale: ad esempio emergono l'uso della coca (erytroxilon coca), del yagé (banisteriopsis caapi), del yopo (piptadenia peregrina), del pericá (virola colophila), del tabacco (nicotiana tabacum), del yoco (paulinia yoco), e del curaro e di alcune datura come agente anestetico.
 
È degno di nota trovare la prima scuola medica nel Monte Alban, accanto a Oaxaca, datato intorno all'anno 250 d.C., nel cui sito si sono trovate alcune incisioni anatomiche, tra le quali paiono esservi interventi di parto cesareo ed una descrizione di diversi interventi minori, come l'estrazione di denti, la riduzione delle fratture o drenaggio di ascessi.
 
Tra gli aztechi esisteva una differenza tra il medico empirico, o "Tepatl" (simile per certi aspetti al "chirurgo-barbiere" del tardo Medioevo europeo), ed il medico sciamano (Ticitl), più versato nelle procedure magiche. Anche alcuni guaritori si potevano specializzare in aree operative, di cui si trovano esempi nel Codice Magliabechiano, come fisioterapisti, ostetriche o chirurghi propriamente detti.
 
Il traumatologo era conosciuto come Teomiquetzan, esperto principalmente in ferite e traumatismi prodotti in combattimento. La Tlamatlquiticitl od ostetrica seguiva la gravidanza, e poteva anche eseguire una embriotomia in caso di aborto. È degno di nota l'uso della Ossitocina (stimolante della contrazione uterina) presente nella pianta Cihuapatl.
 
La conoscenza dell'anatomia (basata sulle esperienze dei combattimenti in guerra e sui sacrifici rituali), permise una tecnica chirurgica e traumatologica estremamente avanzata, essendo di utilizzo comune le ferule ed uno strumentario chirurgico variato. Questi utensili chirurgici erano molto variabili tra le diverse tribù americane, da piccole punte di osso ad autentici bisturi con manici come attestato tra i Karimé, od il tumi, di manifattura Moche e simbolo della medicina peruviana.
 
Francisco López de Gómara nella sua Historia de Indias descrive le differenti pratiche mediche che incontrarono i conquistadores spagnoli:
 
« succhiano dove c'è dolore, per togliere il cattivo umore che lo provoca; non sputano ciò dove sta il paziente, ma al di fuori della casa. Se il dolore cresce, o la febbre ed il dolore del malato, dicono gli scongiuri che tengono lo spirito e passano la mano sul corpo. Dicono parole di conforto, alcuni leccano le giunture, succhiano forte e spesso, dando ad intendere che chiamano e tolgono lo spirito »
Il Codice de la Cruz-Badiano, contiene buona parte delle tecniche conosciute dagli indigeni, compresa una curiosa lista di sintomi che presentano gli individui che stanno per morire.
 
La chirurgia nell'antichità
Grecia
 
Vaso greco del 480-470 a.C. che rappresenta un intervento chirurgico.
Nel Mar Egeo si sviluppò tra l'anno 2500 e 1500 a.C. la civiltà Minoica, precorritrice della civiltà greca. Nel 1971 durante scavi archeologici a Nauplia, si ritrovarono in una tomba micenea vari strumenti medici, datati circa 1500 anni prima della nostra era (coltelli, forbici, pinze, sonde), attribuiti da alcuni autori al mitico (tra i greci) medico Palamidas.
 
La più antica opera greca scritta che includa conoscenze riguardanti la medicina sono i poemi omerici: l'Iliade e l'Odissea. Nel primo si descrive ad esempio il trattamento che riceve il re Menelao dopo essere stato colpito nel polso da una freccia, durante l'assedio di Troia: il chirurgo risulta essere Asclepio, il dio della medicina greca educato nella scienza medica dal centauro Chirone. Dal suo nome deriva Esculapio, un antico sinonimo del medico, e dal nome della figlia Hygieia, derivò il nome attribuito all'attuale ramo della medicina preventiva denominata Igiene. Ad Asclepio si attribuisce anche l'origine del bastone di Asclepio, considerato un simbolo medico universale anche oggi.
 
Tuttavia la figura medica per eccellenza nella cultura della Grecia classica è Ippocrate. Questo medico, nato a Kos nel 460 a.C., è considerato il padre della medicina moderna, e la sua vita coincise con l'età dell'oro della civiltà ellenica e della sua moderna visione cosmica della Ragione in contrapposizione al Mito. Fondò una Scuola medica basata sui principi del cosiddetto giuramento ippocratico, che ancora oggi viene recitato (in modo rituale, non letterale) dai neolaureati in Medicina e Chirurgia di molti paesi occidentali. I campi medici abbracciati da Ippocrate includono la medicina interna, l'igiene, l'etica medica e la dietetica. Sulla chirurgia esistono numerose annotazioni nei suoi scritti.
 
Riportiamo a mo' di esempio di cosa e come debba esercitare un chirurgo secondo Ippocrate:
 
« La chirurgia tratta il paziente, il chirurgo, gli aiutanti e gli strumenti; il tipo di orientamento della luce; la collocazione idonea del paziente e degli strumenti; l'ora, la metodica ed il luogo. Il chirurgo deve posizionarsi in un luogo ben illuminato e confortevole, sia per lui che per il paziente. Le unghie devono essere tagliate corte. Il chirurgo deve imparare ad utilizzare le sue dita mediante una pratica continua, essendo di particolare importanza l'indice ed il pollice. Devono muoversi bene, con eleganza, in modo rapido, con agilità, accuratezza ed a comando »
Nei trattati di chirurgia del corpus ippocratico si evidenzia una notevole esattezza anatomica, e sorprendono alcune proposte terapeutiche ancora oggi pienamente in uso, come il drenaggio dell'empiema pleurico, o i trattamenti suggeriti per i traumi cranici.Le proposte per la riduzione delle fratture includono l'utilizzo di diversi supporti fisici (come il "banco ippocratico" o la "scala ippocratica", supporti di riduzione della frattura dell'omero e sistemi di trazione) di fattura ingegnosa e di provata efficacia.
 
Disegni di dispositivi Ippocratici per la riduzione delle fratture
HippocraticBench.png GreekGravityTraction.png
Banco ippocratico da utilizzarsi per le fratture vertebrali.
Scala di trazione ippocratica.
Dopo Ippocrate, la successiva figura medica greca di spicco fu Aristotele. Questo pensatore poliedrico apprese la medicina da suo padre, ma non risulta che la esercitò assiduamente. Tuttavia la sua scuola peripatetica fu la culla di vari medici e chirurghi insigni dell'epoca: Diocle di Caristo, Prassagora di Cos e Teofrasto di Ereso sono alcuni esempi. Questa scuola non apportò novità essenziali in materia di chirurgia. Intorno all'anno 300 a.C. Alessandro Magno conquistò Alessandria d'Egitto, città che in poco tempo si trasformerà nel centro culturale del Mediterraneo e del vicino Oriente. La "Scuola Alessandrina" raccolse e sviluppò tutte le conoscenze sulla medicina (e su molte altre discipline) conosciute in quell'epoca, contribuendo a formare alcuni chirurghi di primo piano. Si cita il nome di Erofilo di Calcedonia, come il primo ad eseguire dissezioni in pubblico; alcune fonti informano anche della possibilità che la Tolomeo abbia messo a sua disposizione condannati a morte per praticare la vivisezione. Questo clinico si interessò per lo più allo studio del sistema nervoso e di quello digestivo.
 
Altro medico importante della scuola alessandrina fu Erasistrato di Chio, scopritore della colecisti (condotto che trasporta la bile nell'intestino tenue), e del sistema di circolazione portale (un sistema di vene che attraversa il fegato, con sangue proveniente dal tratto digestivo).
 
Parallelamente si sviluppò la scuola empirista, il cui principale esponente medico fu Glauco di Tarentio (secolo I a.C.). Glauco può essere considerato come il precursore della medicina basata sulle evidenze, dato che per lui esisteva solo una base affidabile: ovvero i risultati fondati sulla propria esperienza e su quella degli altri medici, o nella logica analogica quando non esistano dati preliminari da confrontare. Sotto questo paradigma filosofico si svilupparono tecniche chirurgiche come gli interventi alle cataratte e la litotomia (estrazione di calcoli renali mediante un'incisione della vescica o dell'uretra).
 
Roma
 
Iapice che estrae una freccia da Enea; affresco di Pompei.
La civiltà etrusca, prima di importare le conoscenze della cultura greca, aveva a malapena sviluppato un corpus medico di interesse, ad eccezione di una notevole capacità nel campo dell'odontoiatria: tra gli Etruschi sono state trovate protesi fisse, mobili, con filo d'oro, con denti naturali ed artificiali, e anche alcune corone d'oro fuso
 
Uno dei pochi chirurghi romani conosciuti dell'era precristiana fu Arcagato. Fu citato da Plinio nella sua Naturalis Historia, in cui si fa anche riferimento al suo soprannome, che era inizialmente Vulnarius (curaferite); ma per i suoi metodi ed i successivi fallimenti si guadagnò il soprannome di Carnifex.
 
Tra gli anni 25 a.C. e 50 a.C. della nostra era visse un'altra figura medica di grande importanza: Aulo Cornelio Celso. In realtà non si ha la certezza che abbia esercitato la medicina, certo è che ci ha lasciato un trattato di medicina (De Re Medica Libri Octo) che descrive per la prima volta la tecnica chirurgica della legatura che propone l'uso per le fratture, a modo di ferula, di materiali semirigidi o malleabili come la cera. Descrive fino a 50 tipi di strumenti chirurgici. Si tratta di una vasta opera che include trattamento per le ferite, emorragie, ferite da freccia, varici, ed attribuisce alla chirurgia un'importanza fondamentale tra le specialità mediche.Celso descrive così il chirurgo ideale:
 
« Il chirurgo deve essere non lontano dalla giovinezza, avere la mano ferma e rapida, non esitante, e rapida la destra come la sinistra; vista acuta e chiara, aspetto tranquillo e rassicurante, il cui desiderio sia quello di curare il paziente e, a sua volta, non lasciare che le sue grida lo facciano esitare più di quanto non richiedano le circostanze, né tagliare meno del necessario e agire come se fosse indifferente alle urla del paziente »
 
Cateteri romani. I secolo a.C.
A Roma la casta medica si divideva in gruppi che ricordano le specialità attuali, in medici generali (medici), in chirurghi (medici vulnerum, chirurgi), oculisti (medici ab oculis), dentisti e gli specialisti nelle malattie dell'udito.
Le Legioni romane disponevano di un chirurgo e di un'équipe capace di installare un ospedale in pieno campo di battaglia, per curare i feriti durante il combattimento. Uno di questi medici legionari fu Dioscoride, l'autore del manuale farmacologico più utilizzato e conosciuto fino al secolo XV. I suoi viaggi con l'esercito romano gli permisero di collezionare un gran campionario di erbe e sostanze medicinali e scrivere la sua grande opera: De Materia Medica.
 
La figura medica romana per eccellenza fu Galeno, la cui influenza (e conseguentemente i suoi errori anatomici e fisiologici) perdurò fino al secolo XVI (il primo a correggerli fu Vesalio. Galeno di Pergamo nasce nell'anno 130 d.C., sotto l'influenza greca e sotto uno dei maggiori templi dedicati a Esculapio (Asclepio). Studiò medicina con due discepoli di Ippocrate: Estraconio e Satiro, e successivamente visitò le scuole di Smirne, Corinto e Alessandria. Alla fine si recò a Roma ove la sua fama crebbe fino a diventare il medico personale dell'imperatore Marco Aurelio.
Senza dubbio a Roma le autopsie erano proibite, per cui le sue conoscenze di anatomia si fondavano sulle dissezioni di animali, la qual cosa lo portò a commettere alcuni errori.
Nel campo della chirurgia descrisse il nervo laringeo ricorrente, il cui taglio accidentale nel corso di intervento per gozzo, poteva provocare la perdita della voce; la sua dedizione nel trattamento delle ferite dei gladiatori gli diede una gran fama come chirurgo e traumatologo; furono da lui eseguiti vari interventi nuovi e di buon esito, tra cui il trattamento per il labbro leporino, o l'estirpazione dei polipi nasali.
Morì intorno all'anno 200 della nostra era, con un lascito non sempre benefico per il progresso della medicina, però di indubitabile valore. Il suo nome, al pari di quella di Esculapio, diventò sinonimo di medico.
 
« La chirurgia è il movimento incessante di mani ferme ed esperienza. »
(Galenvs, Definitiones Medicae XXXV.)
Areteo di Cappadocia non ottenne la fama ed il riconoscimento pubblico di Galeno, però lo scarso materiale scritto che di lui fu conservato dimostra una grande conoscenza ed un ancora maggiore buon senso. Non si conoscono molti dati di questo modesto medico romano, salvo la sua provenienza turca e che visse nel primo secolo d.C. Si formò verosimilmente in Alessandria (ove erano permesse le autopsie) visto che le sue conoscenze di anatomia viscerale erano molto complete. Le sue opere contengono poche riflessioni teoriche, ed almeno uno dei suoi libri parla di chirurgia (anche di questo non si ha nessun esemplare, si sa solo della sua esistenza grazie a riferimenti indiretti). È il primo medico a descrivere il quadro clinico del tetano, ed a lui si deve il nome attuale dell'epilessia e del diabete.
 
Importante è la serie di strumenti chirurgici ritrovati a Rimini nella Domus del chirurgo.
 
Bisanzio
L'impero Romano d'Oriente fu, dopo la divisione per la morte di Teodosio, l'erede della cultura e della medicina greca.
La cultura bizantina, nel suo sforzo finalizzato a non perdere gli insegnamenti classici, esercitò una funzione fondamentale ricompilando e catalogando il meglio della tradizione greca e romana. Il medico personale di Giuliano, di nome Oribasio, riportò in 70 volumi (Las Sinagogas médicas) tutto il sapere medico noto fino ad allora.
Con lo stesso spirito compilatore, anche se meno innovatore, troviamo Alessandro di Tralles (fratello dell'architetto di Hagia Sophia), o Aezio di Amida, del secolo VI, quest'ultimo specificatamente dedito alla chirurgia. Tra le sue opere vi è un trattato sugli aneurismi (De vasorum dilatatione) e molti capitoli di chirurgia ginecologica. L'ultimo grande chirurgo dell'Impero Bizantino fu Paolo di Egina (607-690), il quale sviluppò alcune tecniche per la chirurgia del gozzo.
 
La chirurgia nel Medioevo
La medicina conventuale dell'alto medioevo
Il cristianesimo interpreta la guarigione come un intervento divino. Si formerà quindi una medicina chiamata conventuale. Con il concetto di carità nacquero gli ospedali, in un primo tempo intesi come luogo di accoglienza per deboli (poveri, pellegrini, ammalati, vecchi, neonati od infanzia abbandonata), poi successivamente come strutture dedicate alle cure delle malattie. La Medicina conventuale ha la caratteristica di dare asilo a viandanti e curare gli ammalati. Nel 529 viene fondato da San Benedetto da Norcia il Monastero di Montecassino. In contemporaneo fiorisce una medicina laica, in particolare la scuola di Salerno.
 
Il ruolo della chiesa nel basso medioevo
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Chirurgia, anatomia e Chiesa Cattolica nel medioevo.
La storiografia moderna, in particolare gli autori Darrel W. Amundsen, e Walsh, ritengono che il ruolo della Chiesa vada rivalutato da fondamentale nemico della medicina (in particolare la chirurgia) a ruolo più attivo nel promuovere la medicina ed a non ostacolare la chirurgia.
 
Nel Concilio di Clermont-Ferrand del 1130 si proibì a tutto il clero la pratica della medicina a scopo di lucro,
Nei concili regionali di Clermont (1130) e di Reims (1131), fu approvato il seguente canone, in seguito interamente accolto anche nel concilio ecumenico Lateranense II (1139)
« Una prava e detestabile consuetudine, a quanto sappiamo, è cresciuta al punto che monaci e canonici regolari, dopo aver ricevuto l'abito e fatta la professione di fede, in spregio alla regola di Benedetto e di Agostino, studiano giurisprudenza e medicina al fine di ricavarne un guadagno temporale. [...] Inoltre, trascurata la cura delle anime e messi da parte gli obblighi del loro ordine, loro stessi promettono salute in cambio di vile denaro, diventando così medici dei corpi umani. [...] Pertanto, affinché i monaci ed i canonici siano piacenti a Dio preservati nei loro sacri doveri, proibiamo, in virtù della nostra Autorità Apostolica, che questa pratica continui ulteriormente. [...]. »
Esso non vieta la medicina in sé stessa, bensì fa' divieto di fatto ai regolari di lasciare i loro luoghi e doveri religiosi per altri scopi.
 
e nel concilio lateranense IV del (1215) si vieta la chirurgia soltanto a sacerdoti, diaconi e suddiaconi, ovvero agli ordini maggiori. Una larga parte del clero non è toccata da questo divieto ecumenico Lateranense (1215), successivamente incluso anche nei Decretales di Papa Gregorio IX.
« Nessun chierico sottoscriva o pronunci una sentenza di morte, né esegua una pena capitale né vi assista. Chi contro questa prescrizione, intendesse recar danno alle chiese o alle persone ecclesiastiche, sia colpito con la censura ecclesiastica. Nessun chierico scriva o detti lettere implicanti una pena di morte; e quindi nelle corti dei principi questo incarico venga affidato non a chierici, ma a laici. Similmente nessun chierico venga messo a capo di predoni o di balestrieri, o, in genere, di uomini che spargono sangue; i suddiaconi, i diaconi, i sacerdoti non esercitino neppure l'arte della chirurgia che comporta ustioni e incisioni; nessuno, finalmente, accompagni con benedizioni le pene inflitte con acqua bollente o gelata, o col ferro ardente, salve, naturalmente le proibizioni che riguardano le monomachie, cioè i duelli, già promulgate. »
Di fatto, la separazione tra internisti e chirurghi, già presente dall'antichità, non fu risolta.
 
Ecclesia abhorret a sanguine
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Chirurgia, anatomia e Chiesa Cattolica nel medioevo.
Esistono molti dati discordanti su questo famosa massima. Secondo una moderma storiografia, la seguente frase non è riscontrabile in nessun atto ufficiale della chiesa. Si può trovare solo in François Quesnay, storico della Facoltà di Chirurgia di Parigi, che nel 1774, cita un passo dalle Recherches de la France di Étienne Pasquier ("et comme l'eglise n'abhorre rien tant que le sang") e lo tradusse in latino. Di questa frase pare non trovarsi alcuna fonte precedente.
 
Ospedali
Nell'alto medioevo l'ospedale è soprattutto uno xenodochio (dal greco xenos = "ospite, straniero" e dokeion = "ospizio"). Nel basso medioevo è soprattutto un ospedale nel senso più moderno. Infatti svolge un'azione prevalentemente di riparo, ma sempre più indirizzata a malati, vecchi e bambini, quindi brefotrofi (dal greco brefos = "neonato" e trefo = "nutrire"), orfanotrofi (dal greco orfanos = "privo di") e gerontocomi (dal greco geron = "vecchio")
 
Nell'occidente medioevale, fino ad almeno il 1280, non esistono casi di apprendistato od insegnamento medico in ambito ospedaliero. Quimdi gli ospedali furono dotati molto lentamente di medici.
 
Tra il XII ed il XIII secolo la lebbra ebbe la sua massima espansione; si ebbe quindi una crescita numerica dei lebbrosari. Alla fine del XIV secolo compare in Europa la peste con la sua carica di morti. Ma il lebbrosario è una struttura per cronici, inguaribili, strutturata come una piccola città, nata per isolare, non per guarire. Il lazzaretto nasce per gli acuti, a pericolosità altissima, ma con la possibilità di recupero. Con il lazzaretto inizia la storia dell'ospedale moderno
 
Il maggior ospedale conosciuto dell'epoca si trovava al Cairo: l'ospedale di Al-Mansur, fondato nel 1283, era strutturato con una divisione per reparti specialistici, secondo una logica attuale; prevedeva anche una sezione di dietetica coordinata con la cucina dell'ospedale, un reparto per i pazienti esterni, sale di conferenze e biblioteca.
 
Figure mediche nel medioevo[modifica | modifica wikitesto]
È necessario, per indagare la famosa separazione della medicina dalla chirurgia, indagare le principali figure sanitarie del medioevo:
 
medicus colui che esercitava la medicina in pratica
physicus che possedeva una grande conoscenza teorica della medicina
cyrurgicus o pratico
barbiere-chirurgo, colui che eseguiva salassi, piccola chirurgia, suture.
re taumaturghi
donne delle erbe e dei parti
ciarlatani, cavadenti e saltinbanchi.
Arabi
 
Strumentario chirurgico, rappresentato in una copia del Manoscritto di Abulcasis del XV secolo.
Seguendo gli insegnamenti di Maometto: Cercate il sapere, anche se dovete andare in Cina o Chi lascia la sua casa per dedicarsi alla scienza, segue i passi di Allah, il mondo arabo seppe raccogliere gli insegnamenti delle culture con cui venne in contatto. Tra i musulmani Al Hakim (il medico) era sinonimo di maestro erudito. I medici arabi avevano l'obbligo di specializzarsi in alcuni campi della medicina, ed esistevano classi all'interno della professione. Dalla categoria più elevata alla inferiore troviamo Al Hakim (il medico dell'ospedale), Tahib, Mutabbib (medico pratico) e Mudawi (medico la cui sapienza era meramente empirica). In tutti i manuali medici arabi si trovano importanti capitoli o sezioni dedicate alla chirurgia, ispirandosi alla tradizione alessandrina, che originariamente non fu appresa in Alessandria, bensì a Gundishapur (Persia), ove gli esiliati nestoriani si impiegavano nel compito di tradurre le principali opere dal greco all'arabo. Lì si formò la prima tornata di medici arabi, sotto l'insegnamento di Hunayn ibn Ishaq (808-873), che arrivò ad essere il medico personale del califfo Al-Mamum. Da qui fondò la prima scuola medica dell'Islam.
 
 
Copertina del Kitab-el-Mansuri, opera medica di Rhazes.
Successivamente primeggerà Abu Bakr Muhammed ibn Zakkariya, di soprannome Al-Razi o Rhazes. Medico del califfo e direttor fondatore dell'ospedale di Bagdad, si racconta che per decidere ove ubicarlo, fece porre i cadaveri degli animali nei 4 punti cardinali della città, optando per la direzione nella quale la decomposizione era meno rapida.[30] Non ebbe un particolare interesse per la chirurgia, eccetto qualche proposta di estrazione dei molari cariati, inclusa nella sua opera medica (Kitab-el-Mansuri).
 
Malgrado la sua trascendenza come figura medica dell'Islam, Ali ibn Sina (Avicenna) (980-1037), non incluse nel Canone alcun trattamento chirurgico di interesse, raccomandando la cauterizzazione come metodo generale chirurgico. Nell'opera Il poema della medicina, Avicenna segnala invece, nella sezione dedicata alla pratica, l'utilizzo della chirurgia con: salassi, le incisioni ed asportazioni, le riparazioni di lussazioni e fratture In modo simile, i filosofi e medici ispanici Avempace (h. 1080 - 1138) e Averroè (1126-1198) accennarono appena alla materia chirurgica nelle proprie opere mediche, dedicandosi principalmente alle piante medicinali.
 
Abulcasis (Abul Qasim Al Zaharawi) è il primo chirurgo specialista conosciuto del mondo islamico. Nacque a Madinat al-Zahra nell'anno 936 e visse nella corte di Abd al-Rahman III (e Al-Hakam II ?). La sua principale opera compilatoria fu Kitàb al-Tasrìf ("La pratica" ed "Il metodo") il cui volume XXX contiene un esteso trattato di chirurgia. I campi che affronta questo volume dedicato alla chirurgia includono l'oftalmologia, l'odontoiatria, il trattamento delle ernie e l'estrazione dei calcoli, l'ostetricia ed un'ampia trattazione della traumatologia. La sua opera è una traduzione ampliata di quella di Paolo di Egina, a cui aggiunse una dettagliata descrizione dello strumentario chirurgico dell'epoca.
 
 
Pazienti mostrano la loro urina a Constantino l'Africano
È interessante la sua descrizione del trattamento delle emorragie arteriose:
 
« colloca rapidamente il dito indice nel punto dell'emorragia e premi fino a che il sangue smetta di uscire. Scalda un cauterio fino a farlo divenire caldissimo, di grandezza appropriata ed applicalo al vaso che sanguina. Stai attento di non bruciare i nervi circostanti, visto che sono questi a provocare molto dolore al paziente. E ricorda che esistono solo quattro modi di fermare una emorragia arteriosa, soprattutto se si tratta di un vaso grosso: cauterizzalo come ti ho insegnato; dividilo se non ha perso perché i vasi divisi si sigillano e bloccano l'emorragia; mediante una legatura forte; applicando farmaci che blocchino il sangue combinato con una fasciatura compressiva »
Europa continentale
Scuola Medica Salernitana
Tra l'XI ed il XIII secolo si sviluppò a Salerno, nell'Italia meridionale, una scuola medica di grande celebrità: la Scuola medica salernitana. Per l'ottenimento del titolo di Medico e del conseguente diritto ad esercitare la professione, Ruggero II di Sicilia stabilì l'obbligo di superamento di un esame di abilitazione, che prevedeva la dimostrazione di competenze sia di medicina che di chirurgia; questo "riabilitava" la specialità chirurgica dal rifiuto nei suoi confronti operato dalla Chiesa Cattolica e da parte del mondo arabo.
 
Alcuni anni dopo (nel 1224) Federico II riformò l'esame, affinché fosse realizzato in forma pubblica da un gruppo di maestri di Salerno, e stabilendo per l'esercizio della medicina un periodo di formazione teorica (che includeva cinque anni di studio di medicina e chirurgia) ed un periodo pratico di un anno[33].
 
Una figura di rilevanza di questa scuola fu il monaco Costantino l'Africano (1010-1087), medico cartaginese che raccolse numerose opere mediche nel corso dei suoi viaggi, e che contribuì alla medicina europea con la traduzione dall'arabo di vari testi classici.
 
Il primo trattato europeo medioevale di chirurgia ha la sua origine in questa scuola: la "Practica chirurgiae" di Ruggero Frugardi (1170), opera che si occupa del trattamento delle ferite e dei traumatismi. A titolo di curiosità, e come sostituzione per il fatto che non era possibile praticare la dissezione di cadaveri umani, Cofon il giovane scrive intorno all'anno 1150 la sua Anatomia Porci, guida pratica alla dissezione del maiale, utilizzata dagli studenti.
 
 
Illustrazione di Mondino dei Luzzi (1275, Bolonia-1326), mentre osserva un'autopsia
Chirurgia in Europa
In Europa si continua a sviluppare questa attività, a cominciare dalle recenti Università inaugurate. Quella di Bologna possedeva una propria facoltà di medicina fondata da Ugo de' Borgognoni, il cui figlio Teodorico de' Borgognoni (1205-1296), era un autore del testo Chirurgia, un trattato dedicato esclusivamente alla chirurgia. In esso mette in discussione la pratica, ereditata da Galeno, di lasciar che le ferite si carichino di pus, come misura più efficace per la guarigione. Per le suture utilizzava filo realizzato con intestino di animali, (autentico precursore del catcut (ovvero un tipo di filo di sutura utilizzata in chirurgia prima dello sviluppo dei materiali sintetici, fatto a partire dall'intesino del cavallo o della capra, ed utilizzato per suture interne, in modo da poter essere riassorbita, con il tempo).
 
Guglielmo da Saliceto fu un altro professore della scuola di Bologna, ed autore del testo Chirurgia, scritto con l'intenzione di portare le sue conoscenze in questo campo a suo figlio, successivamente convertito in un manuale di riferimento per le facoltà di medicina del Medio Evo. In questa opera annota alcune riflessioni sorprendenti sul cancro, eccezionali se si tiene conto delle scarse conoscenze di fisiologia dell'epoca:
 
« si deve trattare la malattia estirpando l'organo, giacché la sua radice origina dalle vene che lo circondano, piene di sangue melancolico. E' necessario tagliare queste vene ed estirpare le radici »
Lanfranco da Milano, alunno di Guglielmo da Saliceto è considerato come il padre della chirurgia francese. Dopo la fuga dall'Italia a causa degli scontri tra Guelfi e Ghibellini, si insedia a Lione 1290 e subito dopo viaggia a Parigi, dove finisce di formarsi nella scuola indipendente di Saint-Come. Il suo spirito eclettico lo portò ad affermare che nessuno può essere un buon internista, senza avere conoscenza della chirurgia e, al contrario, nessun chirurgo sarà un buon professionista se non ha un'adeguata conoscenza di medicina interna. Il suo principale campo di studio chirurgico furono le lesioni cerebrali, quantunque sviluppò alcuni aspetti di etica medica. Concluse la sua carriera professionale come chirurgo personale di Filippo il Bello, successivamente lo sarà un altro grande chirurgo francese: Henry de Mondeville.
 
Nel secolo XII fiorisce la scuola di Montpellier. Uno dei suoi professori di anatomia fu il già menzionato Henry de Mondeville (1260-1320), anche se quello che più si distinse fu Guy de Chauliac (1290-1368), autore de La grande chirurgia. Questo chirurgo fu il primo a fare osservazioni sulle ferite da arma da fuoco, utilizzate per la prima volta dagli inglesi nel 1346 nella battaglia di Crecy.[37] Tra le note di questo chirurgo si trova ciò che deve trovarsi dentro la borsa del perfetto chirurgo:
 
« cinque unguenti: di basilico, per far maturare il pus, dei dodici apostoli[38] per purificare, dorato, per aumentare l'accrescimento dei tessuti, bianco per curare, e di pasta di altea per sudare. Così come cinque ferri: pinzette, sonda, coltello, lancette e aghi »
A Guadalupe (Cáceres) si costruì una rete di ospedali (secoli XIV-XVI) per la cura di pellegrini ed infermi. In questi locali si praticò, per la prima volta in Spagna, e sotto indulto apostolico, la chirurgia e la dissezione da parte di medici illustri del regno dei re cattolici, Carlo I e Filippo II.
 
Inghilterra
 
Strumenti chirurgici illustrati nel libro di John de Arderne, Mirror of Phlebotomy & Practice of Surgery.
La figura determinante dell'impulso scientifico in Inghilterra fu Ruggero Bacone (1214-1294), che pose le basi della sperimentazione empirica al posto della speculazione. La sua massima fu "dubita di tutto quello che non puoi dimostrare", cosa che all'epoca includeva le principali fonti mediche classiche. Nel suo Tractatus de erroribus medicorum ('Trattato degli errori medici') descrive fino a 36 errori fondamentali delle fonti mediche classiche, sebbene non apporti nulla di specifico al campo della chirurgia.
 
Nel XV secolo, verso la fine del Medioevo, troviamo in Inghilterra John di Arderne, chirurgo attivo durante la Guerra dei Cento Anni agli ordini dei Duchi di Lancaster. Dopo i suoi servizi nella campagna si stabilì a Londra, dove si autoproclamò chirurgo tra i medici, in un periodo in cui il titolo ufficiale dei medici era dottore, mentre i chirurghi venivano chiamati solo signore. Tra le altre leggende nate intorno alla sua figura, si racconta di un intervento per una fistola anale (delle quali era specialista), per la quale chiese 100 scellini per l'intervento, ed altri cento per ogni anno per cui sarebbe vissuto il paziente. Questa predilezione per la patologia ano-rettale gli ha guadagnato il titolo di "padre della proctologia".
 
Nel 1368 viene fondato l'Ordine dei chirurghi di Londra, nel tentativo di separare i barbieri (incaricati soprattutto di radere e tagliare i capelli) dai medici specializzati in trattamenti chirurgici. Nell'ambiguo campo invece della chirurgia minore (drenaggio di ascessi, estirpazioni di verruche), inizia invece una disputa sull'attribuzione professionale che durerà molti anni. Nel frattempo, le condizioni sociali, economiche e politiche spingevano l'Europa verso lo sviluppo di una nuova concezione di società. Sono gli albori del Rinascimento.
 
La chirurgia nel Rinascimento
 
Studio anatomico del braccio, di Leonardo da Vinci
Il Quattrocento ed il Cinquecento vedono in Italia la nascita di una filosofia della scienza e della società basata sulla tradizione romana dell'Umanesimo. Lo sviluppo delle Università in Italia, grazie alla protezione delle nuove classi mercantili, funzionò da motore intellettuale dal quale derivò il progresso scientifico che caratterizzò questo periodo. Questa nuova era avvicina con speciale intensità le scienze naturali e la medicina, sotto il principio generale del revisionismo critico. Le nuove conoscenze in ambito anatomico permettono il decollo definitivo di discipline come la chirurgia o l'anatomia patologica. L'ansia di conoscenza attraversa simultaneamente tutte le corporazioni, fino al punto di far esclamare a Vesalio, il principale anatomista del secolo XVI:
 
« Non mi preoccupano i pittori e scultori che si accalcano alle mie dissezioni né, nonostante le loro aria di superiorità, mi sento meno importante di questi »
Lo spirito scientifico impregna ogni ramo del sapere: Antonio Benivieni, chirurgo italiano della seconda metà del secolo XV, annota minuziosamente tutte le sue scoperte ed autopsie che realizza successivamente sui pazienti che erano sopravvissuti. Queste note furono pubblicate nel 1507 col titolo: de abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis (Sulle cause occulte delle infermità), con un immaginabile interesse in tutto il corpo medico. Nella sua opera sono presenti le prime descrizioni documentate di cancro dello stomaco e dell'intestino, così come delle estese e dettagliate descrizioni dei vari tipi di ernie allora conosciute.
 
Il miglior anatomista di questo periodo, anche se non il primo, fu Andrea Vesalio, autore di uno dei manuali di anatomia più estesi ed influenti durante i successivi due secoli: De humani corporis fabrica. Questo medico si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme, secondo quanto riportato da un documento del 1563, per ottenere che gli venisse commutata dal Re la sua pena di morte, in virtù della penitenza. Il motivo della condanna era relativo all'autopsia che aveva effettuato su un giovane nobile spagnolo dopo la sua morte, e la scoperta, all'apertura del petto, che il cuore gli batteva ancora.
 
Vesalio si laureò all'università di Padova, dopo aver studiato a Parigi, e fu nominato "Explicator Chirurgiae" (Professore di Chirurgia) di quella università italiana. Durante i suoi anni come professore scriverà la sua grande opera, e terminerà la sua carriera come medico personale di Carlo I di Spagna e successivamente di Filippo II di Spagna. Di questa medesima epoca (1511-1553) è lo spagnolo Miguel Servet, altro pioniere nel campo dell'Anatomia. Praticando la dissezione insieme ad Hans Gunther, osservò e pubblicò nella sua opera Christianismi restitutioche il sangue si ossigenava nei polmoni e non nel cuore come invece credeva Galeno, e che in questo organo esisteva una circolazione, attraverso la quale il sangue giungeva al ventricolo sinistro. Questa scoperta era già stata fatta in precedenza, e senza dubbio, da Ibn Nafis, medico arabo, le cui osservazioni non erano mai giunte in occidente.
 
I Barbieri-Chirurghi
A partire dal secolo XIII la categoria dei chirurghi francesi, si faceva più numerosa ed aumentava la sua visibilità, mediante l'utilizzo della toga per effettuare la chirurgia maggiore. Nel corso dei secoli successivi comincia a utilizzare il termine "barbiere" per fare riferimento a una gilda di "praticanti", non medici, non conoscitori del latino, ed il cui campo di azione si limitava ad interventi minori, come la flebotomia, estrazioni dentarie, cura di piccole ferite. In Francia, durante il Rinascimento, il successo della chirurgia portò alla scomparsa della differenziazione di classe tra medici e chirurghi.
 
Senza dubbio i barbieri continuarono ad esercitare la propria funzione sociale liberamente per molto tempo, ovvero fino alla fondazione della Académie Royale de Chirurgie nel 1731, diretta all'inizio dal chirurgo Jean-Louis Petit, che perfezionò il tourniquet, e la promulgazione della ordinanza di Luigi XV che proibì ai barbieri l'esercizio della chirurgia.
 
In Inghilterra, senza dubbio, nel corso del secolo XV gli internisti andarono rafforzandosi, riuscendo a fondare il Collegio Reale dei Medici, con l'effetto di equiparare i chirurghi ai barbieri. Nel 1540 il parlamento autorizzò la formazione della Compagnia dei Barbieri-Chirurghi; sarà però Thomas Vicary, chirurgo incaricato di curare una ferita nella gamba di Enrico VIII, a consegnare nelle mani del re la carta dei diritti della Gilda dei Chirurghi.
 
I Barbieri-Chirurghi nell'arte rinascimentale
Gerrit Ludens Schulteroperation.jpg Johann Liss 002.jpg Teniers school Foot operation 1663.jpg
Sutura di una ferita minore presso un barbiere,
Gerrit Ludens, (1622-1683)
Estrazione dentaria, Johann Liss, 1616.
Intervento podologico,
David Teniers, 1663
 
Ambroise Paré a 55 anni, André Wechel, 1573.
 
I differenti tipi di gemelli siamesi, secondo uno studio realizzato da Paré.
Nella ultima decade del secolo XVI, alla fine del periodo rinascimentale, fa la sua comparsa il principale chirurgo di questa epoca, e padre della chirurgia francese Ambroise Paré (1510-1590). Poco prima, lo svizzero Paracelso, figura medica controversa, considerato da alcuni un semplice barbiere, un alchimista per i più e chirurgo per i meno, aveva tentato (con scarso esito) di elevare la chirurgia al medesimo rango della medicina interna. Sarà però il francese Paré ad eliminare le ultime riserve. Questo chirurgo fu medico personale di cinque re, in un'epoca in cui era consuetudine sostituire tutta la corte ad ogni nuovo insediamento reale.
 
La sua formazione inizia nella corporazione dei barbieri e ciarlatani, frequentando però nel contempo anche l'Hôtel-Dieu di Parigi (il principale ospedale del luogo). Il suo lavoro come chirurgo comincia tra le file dell'esercito francese, dove si specializzo in ferite da proiettili. Fu colpito da un certo ostracismo dalla comunità medica; per via della sua umile estrazione e per l'ignoranza del greco e del latino scrisse tutte le sue opere in francese. Fin dal suo inizio si considerò un rinnovatore, la qual cosa non gli fu sempre di beneficio, quantunque il suo principale alleato fosse la propria reputazione.
 
La seguente citazione evidenzia il suo spirito innovatore, in quanto viene considerato il primo chirurgo ad effettuare la legatura routinaria dei vasi nelle amputazioni:
 
« dici che il legare i vasi sanguigni, dopo l'amputazione è un metodo nuovo e quindi non dovrebbe applicarsi. Cattivo argomento per un medico »
La sua inventiva lo portò a progettare alcuni strumenti chirurgici, tra cui alcune protesi, per i suoi pazienti amputati. Degno di nota è il suo studio sui gemelli siamesi, od il suo rifiuto all'utilizzo delle pietre bezoar come antidoti universali. Buona parte della sua opera è un compendio in cui analizza e refuta i costumi, le tradizioni o le superstizioni mediche, senza fondamento scientifico né utilità reale.
 
Nelle corsie degli ospedali entra il chirurgo, dotato ora di una nuova dignità. Viene rappresentata a questo modo la dotazione di un grande ospedale del secolo XVI:
 
« quatro phisici, uno per brecio de la crociera, et altri tanti chirurghi, similmente distribuiti, alli quali la necessitatede la egritudinede brosole(ovvero la malattie de le brossole o mal franzese o sifilide) ... perché ad epsa pochi sano dare remedio,ha facto agiongere el quinto phisico et chirurgo perito de simile curatione....Apreso sono agionte tre altre qualità de medice, l'uno de taglio, in quelli i quali hanno el male de preda (ovvero il mal de la pietra o calcolosi vescicale), essendo per questo conducto un singulare medico il norcino), ... et poi per medicare el mal de capine li puti (parassitosi dei bambini), et aiutare gli allargati (i portatori di ernie) »
 
Lorenz Heister, Institutiones chirurgicae, in quibus quicquid ad rem chirurgicam pertinet optima et novissima ratione pertractatur.
Il decollo della fisica e della biologia, che avviene a partire da questo periodo, permette il definitivo sviluppo della chirurgia nel divenire una disciplina medica autonoma. Cominciano a proliferare moltitudini di medici e chirurghi di valore, molti dei quali esperti in campi specifici. Nell'Europa Centrale si distribuisce con successo un libro intitolato Surgery. Il suo autore è Lorenz Heister (1683-1758), chirurgo tedesco che esercitò sia in Olanda che in Inghilterra. Durante un'autopsia realizzata a Altdorf, descrive così un morto per appendicite, effettuando la prima descrizione di questa patologia:
 
« quando era sul punto di sezionare l'appendice, osservò che era oltremodo scura e presentava aderenze non usuali alla parete addominale. Cominciò a staccarla con attenzione, però le pareti esplosero ed uscirono alcune cucchiaiate di pus. Questo dimostra la possibilità di infiammazione e formazione di pus in appendice. »
Appare la specialità della traumatologia, denominata all'origine algebra, con la quale si fa riferimento alla manipolazione di fratture e lussazioni. Fernando de Mena, chirurgo spagnolo e medico personale di Filippo II, propose che:
 
« ...no se admitiese a examen a ningun cirujano, que no diese cuenta del álgebra, para que usándola los mismos cirujanos y examinándose della, excuriessen y acabasen los concertadores que por ay andan sin entender la anatomía de los huesos.[45] »
 
Dominique-Jean Larrey.
William Cheselden, John Hunter o Percival Pott in Inghilterra, Jean-Andre Venel in Svizzera, Pedro Virgili o Antonio de Gimbernat in Spagna sono alcuni dei nomi di una lista interminabile di chirurghi rilevanti del secolo XVIII.[46] Tra tutti si distinsero Dominique-Jean Larrey (1766-1842), chirurgo di Napoleone ed inventore del trasporto in ambulanza, utilizzata per la prima volta durante le guerre napoleoniche. Lavorò sulla Fregata Vigilante, a Terranova; per la difficoltà di abituarsi alla vita di mare aperto ritornò a Parigi, e fu nominato aiuto chirurgo presso l'Hôtel des Invalides. Nel 1792 elaborò un progetto per la campagna di Napoleone in Italia, che prevedeva 3 gruppi di quindici chirurghi e dodici carrozze a cavallo, ognuna dedicato a trasportare e trattare i feriti. Così poteva operare 24 ore su 24. Ne risulta un tale successo che nel 1793 si trasferisce a Parigi, con il compito di organizzare un sistema di ambulanze volanti per l'intero esercito francese. Successivamente serve in Spagna ed in Egitto, perfezionando le competenze e, in particolare, le tecniche chirurgiche di amputazione.
 
Di ritorno in Francia, Napoleone lo nomina barone e chirurgo onorario delle Chaseurs de Garde (la guardia personale dell'Imperatore) e qui servirà compiendo il suo compito di chirurgo di guerra, anche a Waterloo dove fu catturato dai prussiani, e da cui fu successivamente liberato nell'essere riconosciuto da un medico chirurgo suo antico allievo. Nel testamento di Napoleone si può leggere una nota nella quale lascia "100.000 franchi a Larrey, l'uomo più valoroso che avessi mai conosciuto":
 
Scrisse vari trattati di chirurgia (Mémoires de chirurgie militaire, Recueil de mémoires de chirurgie o Clinique chirurgicale) e tuttora si conservano nella nomenclatura medica vari eponimi in suo onore: “Malattia di Larrey” (una variante del tetano), “Segno di Larrey”, “Operazione di Larrey” ed “Amputazione di Larrey”.[47]
 
Tra i secoli XVIII e XIX emerge in Scozia la saga dei Bell. Benjamin Bell (1749-1806) riassunse le conoscenze chirurgiche note fino a quel momento in un'enciclopedia denominata System of Surgery, e fu il primo ad effettuare una mastectomia radicale per trattare il tumore della mammella. I suoi figli, Charles e John Bell continuarono la tradizione paterna. Altro membro di questa dinastia fu Joseph Bell, chirurgo ispiratore della figura di Sherlock Holmes, e del quale Sir Arthur Conan Doyle arrivò ad affermare:
 
« ... è l'uomo più straordinario che abbia mai incontrato. È un personaggio unico, sia nell'aspetto che nello spirito. Sottile e dalla pelle scura, con il viso affilato e naso adunco, occhi grigi, penetranti, le spalle alte e movimenti bruschi[48] »
La chirurgia a partire dal XIX secolo
 
Cassetta chirurgica del XIX secolo
Durante il secolo XIX, avviene l'integrazione tra la chirurgia e la medicina nel medesimo corpo di conoscenza ed insegnamento, che comporta il riconoscimento definitivo delle specialità chirurgiche, con l'incorporazione della traumatologia aggiunta al suo campo d'azione. La sconfitta dei tre avversari classici della chirurgia: l'emorragia, l'infezione ed il dolore, è la vittoria di questa disciplina; la formulazione della teoria microbica delle malattie infettive (Semmelweis, Pasteur, Lister.), l'evoluzione della tecnica anestesiologiche, la scoperta dei raggi X, sono elementi fondamentali per la sua crescita.
 
Il chirurgo può quindi lavorare con il paziente sedato, e senza la necessaria rapidità che era richiesta fino a quel momento, con molta maggiore conoscenza di quello che può trovare, e con armi adeguate per combattere le possibili complicanze. Il tasso di mortalità comincia quindi a scendere; tutto ciò avviene nell'arco di pochi decenni. In questo secolo si distinguono chirurghi come Abraham Colles (1773-1843) (medico irlandese che diede il suo nome alla caratteristica frattura per caduta dell'estremità distale del radio), Sir Benjamin Collins Brodie (1786-1862) (ascesso di Brodie), William John Little (Infermità di Little) o Sir James Paget (1814-1899) (malattia ossea di Paget). In realtà la lista sarebbe interminabile e si estende per le diverse specialità chirurgiche (ginecologia, urologia, traumatologia, chirurgia digestiva, neurochirurgia.).
 
Protagonisti e sviluppi tecnici più rilevanti
Philippe Ricord sviluppò diverse tecniche chirurgiche per il trattamento delle patologie dell'apparato genitale maschile (1840)
Crawford Williamson Long, medico di Thomas Jefferson, fu il primo chirurgo ad utilizzare l'etere come anestetico (1842)
William Bowman sviluppò la specialità chirurgica dell'oftalmologia (1842)
Ignác Fülöp Semmelweis, fu il primo ad utilizzare tecniche per il controllo della sepsi (1846)
Manuel Vicente García, cantante d'opera spagnolo, inventò il laringoscopio (1854)
Rudolf Virchow elaborò la sua Teoria Cellulare (1858)
Joseph Lister, scoprì gli antisettici (acido fenico) (1865)
Jules-Émile Pean sviluppò le pinze chirurgiche che portano il suo nome, e propone la tecnica della laparotomia (1868)
Emil Theodor Kocher realizzò la prima resezione della tiroide in pazienti affetti da gozzo (1878)
Theodor Billroth sviluppò la tecnica chirurgica di gastrectomia che porta il suo nome (Billroth I / Billroth II) (1881)
Friedrich Trendelenburg, sviluppò la tecnica dell'intubazione endotracheale, e la posizione chirurgica di Trendenlenburg (1881)
Ernst von Bergmann, sviluppò la tecnica di sterilizzazione tramite vapore (1886)
Johann von Mikulicz-Radecki, stabilì l'uso della cuffia, della maschera e dei guanti di cotone durante le operazioni chirurgiche (1887)
Paul Broca sviluppò la specialità della neurochirurgia
William Stewart Halsted, fu il primo ad impiegare i guanti di gomma in sala operatoria (1890)
Wilhelm Röntgen scoprì i Raggi X (1895)
Ludwig Rehn realizzò il primo intervento di cardiochirurgia (1896)
Diffusione delle tecniche di coagulazione e fibrinolisi.
Karl Landsteiner scoprì i gruppi sanguigni (1901)
Diffusione delle tecniche di trasfusione del sangue.
Fidel Pagés scoprì l'anestesia epidurale (1920)
Alexander Fleming scoprì la penicillina (1928)
Lars Leksell sviluppò la radiochirurgia per trattare i tumori cerebrali per mezzo di radiazioni ionizzanti, evitando la chirurgia invasiva (1952)
C. Walton Lillehei sviluppò la tecnica della circolazione crociata per realizzare interventi a cuore aperto (1953)
 
Una sala chirurgica nel 2007
Lo sviluppo tecnologico ha permesso avanzamenti importanti nel campo della chirurgia, fin dalle ultime decadi del secolo XX. Principalmente la chirurgia minimamente invasiva ha permesso di diminuire i tempi di recupero e le complicanze post-chirurgiche. La telemedicina e la robotica hanno dotato di nuovi mezzi i chirurghi, permettendogli di intervenire a distanza o con un livello di precisione non possibile per l'occhio umano. D'altra parte l'apparire di nuove tecniche di diagnostica per immagini, quali ad esempio l'Ecografia, l'Endoscopia, la RMN o la PET hanno permesso lo sviluppo di interventi più selettivi, molto meno aggressivi e più sicuri.
 
La nanotecnologia e lo sviluppo di sistemi chirurgici automatizzati saranno probabilmente le evoluzioni scientifiche e tecnologiche successive, che articoleranno nei prossimi decenni lo sviluppo di questa disciplina.
 
 


#87 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 06 gennaio 2016 - 10:39

Le banconote
 
Billets_de_5000.jpg
 
Banconota Jiaozi della dinastia Song, la prima banconota conosciuta del mondo.
Il termine deriva dall'espressione nota del banco, e risale al XIV secolo; in origine essa riconosceva il diritto del possessore della nota di ritirare il metallo prezioso (solitamente oro e argento) depositato presso un orafo-banchiere (si trattava cioè di moneta cartacea rappresentativa).
 
Il primo a introdurre l'uso di banconote di carta fu l'Imperatore cinese Hien Tsung nell'806 d.C.
 
Chi possedeva metallo prezioso aveva interesse a depositarlo presso operatori specializzati nella sua conservazione e protezione dai ladri. Inoltre aveva interesse a rivolgersi agli orafi-banchieri per trasferire i metalli preziosi senza doversi sobbarcare il costoso e rischioso trasporto. Bastava trasferire il documento e incassare il metallo presso un secondo orafo-banchiere, collegato al primo da legami di affari.
 
Tali documenti, già impiegati in Cina ai tempi di Marco Polo, erano più facili da trasportare del metallo prezioso e inoltre potevano essere emessi anche per valori nominali superiori al valore del metallo prezioso custodito dagli orafi banchieri.
 
Ciò era possibile perché le esigenze di cassa degli orafi-banchieri consentivano loro di tenere sotto forma di riserva solo una parte del metallo prezioso depositato, usando la restante parte per concedere prestiti o effettuare pagamenti per conto di terzi; inoltre le effettive richieste di conversione delle riserve metalliche depositate divennero sempre minori, dato che la fiducia degli operatori aveva determinato l'affermazione delle banconote stesse come circolante; infine l'emissione di moneta sotto forma di banconote, costituendo una forma di credito, aveva effetti espansivi sull'economia (oltre che sui profitti dei banchieri), che pertanto era beneficiata dalla scelta di detenere solo una parte del metallo prezioso sotto forma di riserve.
 
Nell'era contemporanea
Dopo l'esperienza degli assegnati, furono i funzionari francesi di Napoleone a imporre in tutta Europa l'uso di carta moneta. Nel XIX secolo però, la moneta cartacea poteva ancora essere sentita come un sostituto della vera moneta metallica, essendo sempre possibile la riconversione in oro. Si arrivò, nei momenti di crisi, a stabilire il corso forzoso, cioè la sospensione ex lege della convertibilità.
 
In Europa poi, nel periodo di relativo benessere dell'inizio del XX secolo, si assistette addirittura ad una situazione in cui il corso delle banconote faceva aggio sull'oro: nella libera fluttuazione tra moneta cartacea fiduciaria e moneta aurea, ci furono momenti in cui i cittadini preferivano la comodità della cartamoneta rispetto alla poca praticità della moneta metallica.
 
Lo scoppio della Prima guerra mondiale portò ben presto alla svalutazione della moneta cartacea, addirittura rovinosa per il marco tedesco: il finanziamento delle spese belliche era avvenuto infatti attraverso l'emissione di moneta cartacea.
 
La libera convertibilità rimase una prerogativa degli Stati Uniti d'America, che anche per questo divennero il centro dell'economia monetaria mondiale fino alla grande depressione del 1929, per affrontare la quale il presidente Roosevelt effettuò una svalutazione a freddo, accompagnata da altre drastiche misure.
 
Con questi provvedimenti Roosevelt stabilì che le monete d'oro non avevano più corso legale negli Stati Uniti, e la gente dovette convertire le proprie monete d'oro in altre forme di valuta; questa legge portò gli Stati Uniti fuori dal cosiddetto gold standard, e inoltre implicò anche la fine della regola per cui la valuta cartacea degli Stati Uniti poteva essere scambiata con oro in tutte le banche della nazione. La centralità dell'oro venne comunque ribadita nel sistema di Bretton Woods.
 
Il passaggio alla moneta cartacea avvenne a partire dal 1971, quando gli Stati Uniti dichiararono la fine di ogni rapporto di conversione tra banconote e oro (passando definitivamente alla moneta cartacea convenzionale). Ciononostante su alcune banconote è rimasta per lungo tempo una scritta che ricordava l'antico diritto del portatore di ricevere metallo prezioso presentando la banconota posseduta.
 
Nell'era contemporanea la moneta cartacea ha subito un'altra modifica, essa viene sempre più sostituita dalla moneta elettronica, costituita da carte di credito normalmente in plastica e da una banda magnetica (emesse da società finanziarie, banche o istituti di credito dell'e-payment o del credito al consumo all'uopo autorizzate), che consente la memorizzazione di dati sia dell'utente (titolare intestatario della carta) che di eventuali altri dati (quali: codice PIN serie numerica di cifre diverse o uguali, alfabetica insieme di vocali e/o consonanti, oppure alfanumerica composta da numeri e lettere, onde reprimere frodi), oppure altri dati riferiti a operazioni e transazioni effettuate tra le società emittenti la carta e l'utente.
 
 


#88 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 13 gennaio 2016 - 07:06

Storia di Internet
 
800px-Internet2.jpg
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Internet.
L'origine di Internet risale agli anni sessanta, su iniziativa degli Stati Uniti, che misero a punto durante la guerra fredda un nuovo sistema di difesa e di controspionaggio.
 
La prima pubblicazione scientifica in cui si teorizza una rete di computer mondiale ad accesso pubblico è On-line man computer communication dell'agosto 1962, pubblicazione scientifica degli statunitensi Joseph C.R. Licklider e Welden E. Clark. Nella pubblicazione Licklider e Clark, ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, danno anche un nome alla rete da loro teorizzata: "Intergalactic Computer Network".
 
Prima che tutto ciò cominci a diventare una realtà pubblica occorrerà attendere il 1991 quando il governo degli Stati Uniti d'America emana la High performance computing act, la legge con cui per la prima volta viene prevista la possibilità di ampliare, per opera dell'iniziativa privata e con finalità di sfruttamento commerciale, una rete Internet fino a quel momento rete di computer mondiale di proprietà statale e destinata al mondo scientifico. Questo sfruttamento commerciale viene subito messo in atto anche dagli altri Paesi.
 
ARPANET (1969)
Il progenitore e precursore della rete Internet è considerato il progetto ARPANET, finanziato dalla Defence Advanced Research Projects Agency (inglese: DARPA, Agenzia per i Progetti di ricerca avanzata per la Difesa), una agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense (Department of Defense o DoD degli Stati Uniti d'America). In una nota del 25 aprile 1963, Licklider aveva espresso l'intenzione di collegare tutti i computer e i sistemi di time-sharing in una rete continentale. Avendo lasciato l'ARPA per un posto all'IBM l'anno seguente, furono i suoi successori che si dedicarono al progetto ARPANET.
 
Il contratto fu assegnato all'azienda da cui proveniva Licklider, la Bolt, Beranek and Newman (BBN) che utilizzò i minicomputer di Honeywell come supporto. La rete venne fisicamente costruita nel 1969 collegando quattro nodi: l'Università della California di Los Angeles, l'SRI di Stanford, l'Università della California di Santa Barbara, e l'Università dello Utah. L'ampiezza di banda era di 50 Kbps. Negli incontri per definire le caratteristiche della rete, vennero introdotti i fondamentali Request for Comments, tuttora i documenti fondamentali per tutto ciò che riguarda i protocolli informatici della rete e i loro sviluppi. La super-rete dei giorni nostri è risultata dall'estensione di questa prima rete, creata sotto il nome di ARPANET.
 
I primi nodi si basavano su un'architettura client/server, e non supportavano quindi connessioni dirette (host-to-host). Le applicazioni eseguite erano fondamentalmente Telnet e i programmi di File Transfer Protocol (FTP). Il servizio di posta elettronica fu inventata da Ray Tomlinson della BBN nel 1971, derivando il programma da altri due: il SENDMSG per messaggi interni e CPYNET, un programma per il trasferimento dei file. L'anno seguente Arpanet venne presentata al pubblico, e Tomlinson adattò il suo programma per funzionarvi: divenne subito popolare, grazie anche al contributo di Larry Roberts che aveva sviluppato il primo programma per la gestione della posta elettronica, RD.
 
Da Arpanet a Internet (anni settanta e ottanta)
 
Rete Internet nel 1982
In pochi anni, ARPANET allargò i suoi nodi oltreoceano, contemporaneamente all'avvento del primo servizio di invio pacchetti a pagamento: Telenet della BBN. In Francia inizia la costruzione della rete CYCLADES sotto la direzione di Louis Pouzin, mentre la rete norvegese NORSAR permette il collegamento di Arpanet con lo University College di Londra. L'espansione proseguì sempre più rapidamente, tanto che il 26 marzo del 1976 la regina Elisabetta II spedì un'email alla sede del Royal Signals and Radar Establishment.
 
Gli Emoticon vennero istituiti il 12 aprile 1979, quando Kevin MacKenzie suggerì di inserire un simbolo nelle mail per indicare gli stati d'animo.
 
Tutto era pronto per il cruciale passaggio a Internet, compreso il primo virus telematico: sperimentando sulla velocità di propagazione delle e-mail, a causa di un errore negli header del messaggio, Arpanet venne totalmente bloccata: era il 27 ottobre 1980[3][4][5][6].[7] Definendo il Transmission Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e ARPA diedero il via ufficialmente a Internet come l'insieme di reti interconnesse tramite questi protocolli.
 
Nascita del World Wide Web (1991)
Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì il protocollo HTTP (HyperText Transfer Protocol), un sistema che permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei documenti, saltando da un punto all'altro mediante l'utilizzo di rimandi (link o, più propriamente, hyperlink). Il primo browser con caratteristiche simili a quelle attuali, il Mosaic, venne realizzato nel 1993. Esso rivoluzionò profondamente il modo di effettuare le ricerche e di comunicare in rete. Nacque così il World Wide Web. In particolare, il 6 agosto 1991 Berners-Lee pubblicò il primo sito web al mondo, presso il CERN, all'indirizzo http://info.cern.ch/...TheProject.html.
 
Nel World Wide Web (WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di librerie, o pagine, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi detti web browser con cui è possibile navigare visualizzando file, testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni, filmati.
 
Il 30 aprile 1993 il CERN, l'istituzione europea dove nasce il World Wide Web, decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del World Wide Web in modo che sia liberamente implementabile da chiunque. A questa decisione fa seguito un immediato e ampio successo del World Wide Web in ragione delle funzionalità offerte, della sua efficienza e, non ultima, della sua facilità di utilizzo. Internet crebbe in modo esponenziale, in pochi anni riuscì a cambiare la società, trasformando il modo di lavorare e relazionarsi. Nel 1998 venne introdotto il concetto di eEconomy.
 
La facilità d'utilizzo connessa con l'HTTP e i browser, in coincidenza con una vasta diffusione di computer per uso anche personale (vedi Storia del Personal Computer), hanno aperto l'uso di Internet a una massa di milioni di persone, anche al di fuori dell'ambito strettamente informatico, con una crescita in progressione esponenziale.
 
Diffusione
Se prima del 1995 Internet era dunque relegata ad essere una rete dedicata alle comunicazioni all'interno della comunità scientifica e tra le associazioni governative e amministrative, dopo tale anno si assiste alla diffusione costante di accessi alla rete da parte di computer di utenti privati fino al boom degli anni 2000 con centinaia di milioni di computer connessi in rete in parallelo alla diffusione sempre più spinta di [personal computer|PC] al mondo, all'aumento dei contenuti e servizi offerti dal Web e a modalità di navigazione sempre più usabili, accessibili e user-friendly nonché a velocità di trasferimento dati a più alta velocità di trasmissione passando dalle connessioni ISDN e V.90 alle attuali e ben note connessioni a banda larga tramite sistemi DSL. Questa è la situazione di diffusione di Internet nel mondo occidentale: nel secondo e terzo mondo il tasso di penetrazione della Rete è ovviamente inferiore, ma in continua crescita grazie al progressivo riammodernamento delle infrastrutture di reti di telecomunicazioni presenti.
 
Internet oggi
Internet, oggi, è sinonimo di globalizzazione. Avere un sito internet significa possedere una vetrina sul mondo, farsi conoscere dappertutto. Dicendo: "Entro in internet!" la gente afferma che intende visitare i siti del World Wide Web. È quindi più simile all'insieme delle entità che lo popolano, piuttosto che all'insieme delle reti di cui è costituito. È più simile alla definizione di insieme degli iperoggetti[9] di Tim Berners Lee: il WWW; cioè qualcosa di staccato dall'infrastruttura fisica che, invece, potrebbe subire modificazioni. Importantissima è la capacità dei browsers di vedere internet dando la possibilità di interpretare il maggior numero di entità possibili.
 
Internet, Web, World Wide Web, WWW sono oggi sinonimi. Tanto è vero che i browsers più diffusi permettono il raggiungimento del sito destinazione anche senza la digitazione del protocollo (http://) e del prefisso (www.).
 
L'evoluzione: Internet 2
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Internet2.
Fino all'anno 2000 si è temuto di dover reingegnerizzare ex novo l'intera Internet (si parlava di Internet2) perché il numero degli host indirizzabile attraverso il protocollo IP era vicino a essere esaurito (IP shortage) dal numero di host realmente collegati (oltre alla necessaria ridondanza e alle perdite per motivi sociali).
 
Il problema è stato parzialmente evitato (o posticipato) con l'utilizzo della tecnica del NAT/gateway mediante la quale una rete aziendale non ha bisogno di un range ampio di indirizzi IP fissi, ma può utilizzarne uno più ridotto con anche un buon risparmio economico.
 
Oggi, come soluzione definitiva, si è fiduciosi nella possibilità di migrare in modo non traumatico alla versione 6.0 di IP (IPv6) che renderà disponibili circa 340 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di numeri IP indirizzabili.
 
I processi di convergenza in atto nell'ambito ICT, media e comunicazioni, indicano inoltre la sempre più probabile piena integrazione nel prossimo futuro della rete Internet con la rete telefonica già con la tecnologia Voip, nonché la parallela fruizione di contenuti informativi tipici di altri mezzi di comunicazione come la televisione e la radio in un'unica grande rete.
 
Se infatti da una parte i primordi della rete sono stati caratterizzati dallo scambio di dati quali i contenuti testuali e immagini statiche, l'evoluzione futura della rete va verso la sempre maggiore diffusione di contenuti multimediali quali ad esempio i contenuti audio-video (es. streaming, Web Tv, IPTV, Web Radio) che ne aumentano enormemente il traffico complessivo e il relativo carico sui nodi o sistemi interni di commutazione (router) e sui server, vuoi anche per l'aumento del numero di utenti connessi in rete al mondo. La soluzione più praticata a questo problema è la decentralizzazione delle risorse ovvero sistemi di rete distribuiti (es. Content Delivery Network) in grado di gestire l'aumento di traffico, mentre per far fronte all'aumento di banda necessaria sui collegamenti sono da menzionare nuove e più efficienti tecniche di compressione dati che hanno reso possibile il diffondersi di servizi sempre più evoluti e pesanti.
 
Sotto questo punto di vista l'evoluzione della rete dal punto di vista dei servizi richiede anche lo sviluppo di un'infrastruttura di rete di accesso a banda sempre più larga con la realizzazione delle cosiddette Next Generation Network per sopperire all'aumento di traffico previsto e la fruizione dei servizi stessi dall'utente finale. Gli stessi operatori che dovrebbero investire sulla realizzazione di tali infrastrutture richiedono però un ritorno certo dell'investimento ovvero una convenienza economica che risulterebbe invece molto più a favore dei grandi network o fornitori di servizi e contenuti di rete (Google, YouTube, Facebook, Twitter, LinkedIn ecc.) sollevando così il problema della cosiddetta neutralità della rete o meno.
 
La natura globale con la quale è stata concepita Internet ha fatto sì che oggi, un'enorme varietà di processori, non solo apparati di calcolo in senso stretto, ma a volte anche incorporati in maniera invisibile (embedded) in elettrodomestici e in apparecchi dei più svariati generi, abbiano tra le proprie funzionalità quella di connettersi a Internet e, attraverso questo, a qualche servizio di aggiornamento, di distribuzione di informazione e dati; dal frigorifero, al televisore, all'impianto di allarme, al forno, alla macchina fotografica: ogni processore oramai è abilitato a comunicare via Internet. In tal senso dunque un'ulteriore evoluzione della Rete, propugnata da alcuni, potrebbe essere l'estensione della connettività agli oggetti taggati del mondo reale dando vita alla cosiddetta Internet delle cose.
 
 


#89 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 20 gennaio 2016 - 09:18

Sudorazione
 
iperidrosi.jpg
 
Il sudore è un liquido ipotonico (ca. 110 mmol/l) secreto dalle ghiandole sudoripare della pelle. È composto di acqua, ioni (Na+, K+, Cl-, urea e immunoglobuline. È composto anche da colesterolo e, durante sforzi fisici rilevanti, acido lattico), I responsabili del cattivo odore sono le basi volatili (metilamina, trimetilamina) e gli acidi grassi volatili. Il processo di secrezione del sudore è chiamato sudorazione, in gergo medico perspiratio sensibilis.
 
Ghiandola sudorifera merocrina
Le ghiandole sudoripare sono organi ausiliari ripartiti su tutta la pelle umana; in altre specie sono localizzate soltanto in alcuni organi, come ad esempio nel cane in cui sono localizzate soltanto sui cuscinetti delle zampe. La maggior parte sono a secrezione eccrina / esocrina. Localmente si trovano grandi ghiandole apocrine che negli adulti secernono anche molecole odorose (ghiandole di Moll: ascelle, circumanale, circumgenitale, capezzoli, meato uditivo).
 
L'uomo dispone di circa 3 milioni di ghiandole sudoripare sparse sulla superficie cutanea: la massima concentrazione è raggiunta sulla pianta dei piedi, sul palmo delle mani, nelle ascelle e intorno alle aperture corporee di faccia e genitali.
 
Fisiologia
La sudorazione ha le seguenti funzioni:
 
abbassamento della temperatura corporea tramite evaporazione di acqua contenuta nel sudore
comunicazione non verbale con altri mammiferi: odore corporeo.
escrezione di sostanze "di scarto"
Per la funzione comunicativa le ghiandole sudoripare (specialmente le apocrine) secernono sostanze percepibili attraverso il senso olfattivo nel naso (maggiormente inconscio, direttamente connesso con il sistema limbico) che trasmettono informazioni:
 
sull'"attrezzatura genetica" individuale (base invariabile)
sullo stato ormonale sessuale (p. e. sull'età e variazioni ormonali cicliche)
sulle emozioni momentanee (p. e. ansia, ira, ... ).
È una caratteristica della cultura umana coprire questi segnali naturali (più o meno consci) con sostanze fortemente odoranti sotto forma di detergenti, shampoo, saponi, profumi e altri prodotti cosmetici e/o di sopprimerli con deodoranti.
 
Perspiratio sensibilis
I neuroni colinergici del sistema nervoso vegetativo simpatico controllano la secrezione del sudore delle ghiandole sudoripare eccrine:
 
si parla di sudorazione termica riguardo alla regolazione della temperatura corporea (termoregolazione). Si attiva:
sempre ed aumenta con l'aumentare della temperatura ambiente
aumenta in seguito alla produzione di calore dovuta a lavoro fisico
per mancata perdita di calore a causa dell'aumento della temperatura o dell'umidità ambientale
sudorazione emotiva in presenza di tensioni psichiche (sudare per la paura, sudare freddo, ...)
La sudorazione di un adulto va da 0,5 litri al giorno fino a un massimo di 10 litri in dipendenza del lavoro fisico e delle condizioni ambientali.
 
I centri nervosi per il controllo della sudorazione si trovano:
 
nell'ipotalamo anteriore
nel midollo allungato
nelle colonne neuronali mediolaterali del midollo spinale.
 
 


#90 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 27 gennaio 2016 - 07:30

VETRO ALLE FINESTRE
 
finestra+romana.jpg
 
Luce aria ed energia solare nelle nostre case
 
E' assolutamente normale per noi utilizzare le finestre, per far entrare luce, aria ed energia solare nelle nostre case, ma sappiamo che questa è una conquista dell'umanità relativamente recente, e che sono stati gli antichi romani a permetterne un primo utilizzo di massa?
 
Nelle antiche case mesopotamiche ed anche in quelle egiziane, luoghi quindi dove le temperature non erano particolarmente basse, le finestre erano delle semplici aperture simili a  feritoie dove passava un po’ di luce. Queste civiltà pur conoscendo la tecnologia della fusione del vetro, non la utilizzarono per fare delle lastre di vetro da porre alle finestre.
 
Cosa si usava allora per chiudere le aperture delle finestre? Si usavano dei teli bianchi impregnati di grasso, o piccoli telai in legno con applicati vari materiali, che potevano essere pezzi trasparenti di vescica di maiale, o la pelle di animali ridotta a sottile pergamena.
 
Anche nei primi secoli di Roma era in uso questo sistema, ma durante l’impero con lo sviluppo dell’industria del vetro, per le finestre si usarono piccole lastre di vetro grezzo, non proprio trasparente, spesse addirittura circa un centimetro. La testimonianza di ciò ci viene da Pompei, dove le case dei patrizi e dei ricchi avevano alle finestre dei telai in bronzo con inserite queste piccole e spesse lastre.
 
I primi vetri da finestra, ottenuti con il metodo della colatura e montati su telai di legno o metallo, fanno la loro prima comparsa negli edifici pubblici di Roma al tempo di Ottaviano Augusto.
 
Nel novembre 2000  fu scoperta la Grotta della Lucerna, alla base della parete sud di Monte Mauro, e frequentata probabilmente in età tardo imperiale, una teoria avanzata nel 2011 da Andrea Benassi la definisce una miniera di Lapis specularis, gesso macrocristallino utilizzato in epoca Romana come una sorta di vetrocemento per lasciare entrare la luce nelle case, al posto del vetro delle finestre.
 
I  Romani inoltre avevano sviluppato dei sistemi di riscaldamento delle abitazioni e dell’acqua basati sull’utilizzo dell’energia solare e dell’effetto serra creato dal vetro. La più rivoluzionaria invenzione solare dell’antichità è quindi quella del vetro piano per finestre nella Roma imperiale del I sec. d.C.
 
Afflitti da penuria di legname, i Romani fecero proprie quelle soluzioni, sostituendo in epoca imperiale (I sec. d.C.) il sistema di riscaldamento a legna (ipocausti, ovvero condotti in cui passava il calore prodotto dalla legna che ardeva in una fornace posta sotto il pavimento), con il calore del sole, attraverso un orientamento verso il sole di particolari ambienti delle dimore o edifici pubblici e di materiali per accoglierne il tepore ed evitarne la dispersione. E' del 65 d.c. una lettera di Seneca dalla quale si apprende della realizzazione e dell'utilizzo di un manufatto: vetro trasparente piano per finestre.
 
Plinio menziona l’incomparabile abilità dei vetrai italiani quando inveisce contro il lusso scandaloso di Marcus Emilius Scaurus, che, del tempio di Pompeo fece un immenso teatro sorretto da tre ordini di colonne, uno dei quali era di vetro.
 
A Roma l’utilizzo del vetro si diffuse sempre di più, tanto che Cicerone così scriveva: "Ben povero si deve considerare chi non possiede una casa tappezzata con placche di vetro".
 
Gia nel "De re aedificatoria" di Vitruvio troviamo molte indicazioni tecniche per la costruzione di finestre, in particolar modo per assorbire i carichi gravanti sugli architravi.
 
Nell'antica Roma la civiltà del vetro ebbe una fioritura difficilmente immaginabile; furoreggiavano i mosaici di pasta vitrea come pure i rivestimenti vetrificati per le camere delle abitazioni più ricche. Queste avevano specchi e finestre protette da lastre di vetro sul tipo di quelle rinvenute a Pompei.
 
Come scrisse Seneca a un amico, «Certe invenzioni sono state realizzate solo nei nostri tempi; per esempio, le lastre di vetro trasparente alle finestre, che fanno entrare la luce».
 
I romani non usarono le lastre di vetro trasparente solo per intrappolare il calore solare nelle case, ma anche per costruire serre in cui creare un microclima caldo dove far crescere rigogliose piante ornamentali esotiche e coltivare anche le piante indigene, che vi maturavano e fruttificavano più rapidamente e in ogni stagione. 
 
L’imperatore Tiberio, per esempio, aveva una predilezione per i cetrioli, che voleva mangiare tutto l’anno. Scrisse Plinio il Vecchio: «Non ci fu giorno in cui ne facesse a meno». Per soddisfare l’appetito dell’imperatore, i giardinieri montarono aiuole di cetrioli su ruote, per poterle spostare tenendole sempre al sole. Durante l’inverno, i giardinieri proteggevano queste aiuole ponendovi sopra dei telai chiusi con materiale trasparente, per catturare e trattenere il calore del sole.
 
Il settore in cui la nuova tecnologia dell’uso del vetro per catturare il calore solare fece risparmiare più combustibile fu quello delle terme. Probabilmente nessun altro popolo della storia ha amato il bagno quanto quello romano. Dal I sec. d.C. in poi, le terme pubbliche diventarono luoghi di aggregazione popolarissimi. Ci andavano persone di ogni classe e ceto, di solito nel tardo pomeriggio, alla fine della giornata di lavoro, per esercitarsi nel ginnasio, immergersi nelle piscine fredde, tiepide e calde, sudare con il vapore, chiacchierare e ascoltare musica e poesie.
 
 
Ma una volta terminato l’impero romano, anche gli artigiani che producevano questo tipo di vetro 
 
scomparvero, e le finestre in vetro riapparvero solo dopo il 500 – 600, dopo che fu messa a punto un nuovo procedimento per fare il vetro piano, per soffiaggio di una sfera e suo successivo allargamento per rotazione in forno.
 
E così fino al XIX secolo la maggior parte del vetro piano fu realizzato con questo sistema. Il punto centrale era chiamato “occhio di bue” e montato in piombo veniva applicato alle caratteristiche vetrate.
 
Proprio l’impossibilità di realizzare lastre di vetro di grandi dimensioni, aveva fatto si che per eseguire una vetrata ad una finestra, si costruiva un reticolo in piombo, formando tanti rettangoli o cerchi, che uniti fra di loro costituivano un rigido telaio che veniva incassato tra i montanti della finestra. Nei rettangoli e nei cerchi, a loro volta, venivano inseriti e fermati i vetri che andavano a formare la vetrata. Un lavoro difficile, di abilità, ma che originò anche opere d’arte, perché in modo analogo e con l’utilizzo di vetri colorati, si realizzarono immagini superbe, che ancor oggi fanno bella mostra di sé in molte finestre delle antiche cattedrali cristiane europee.
 
Era però usuale, fino al secolo scorso, vedere case prive di vetri alle finestre, sostituiti dalla così detta impanata, cioè tela di lino cerata, che veniva stesa e tenuta tesa da dei chiodi sui montanti delle finestre. L’impanata era normalmente usata nelle case coloniche, ma trovava uso anche nelle case patrizie, tanto che veniva usata (documentato) nello stesso Palazzo Ducale di Urbino, nel corso del XVII e XVIII secolo. L’uso dell’impanata non permetteva (parzialmente) di far entrare vento e acqua all’interno dell’abitazione, ma costituiva anche uno spesso filtro per la luce diurna, determinando una scarsa illuminazione degli ambienti. Tutto ciò perché il vetro era un materiale costoso. Infatti per realizzare i piccoli rettangoli o i tondi in vetro, da incassare nel piombo, tecnicamente si procedeva come per realizzare una bottiglia (soffiando della pasta di vetro fusa), forgiandone la base (rettangolare o circolare), e successivamente staccandola dalla parte superiore, mediante un taglio.
 
 
 


#91 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 03 febbraio 2016 - 04:03

Il calorifero
 
220px-Household_radiator.jpg
 
Franz Karlovich San Galli (in russo: Франц Карлович Сан Галли?; Stettino, 1824 – San Pietroburgo, 1908) è stato un imprenditore, ingegnere e inventore russo con origini italiane che inventò nel 1855 il calorifero, contribuendo significativamente ai moderni sistemi di riscaldamento centralizzato.
 
Nacque a Stettino, nell'allora provincia Prussiana di Pomerania (1815–1945), ora in Polonia, figlio di Karl Sangalli e Henriette Lübcke. Karl era figlio di Carlo Baldassarre Innocenzio Sangalli (nato a Pavia verso il 1755).
 
Non ancora ventenne, nel 1843 Franz si trasferì a San Pietroburgo, allora capitale della Russia, dove trascorse gran parte della sua vita.
 
Nel 1853, dopo un viaggio in Inghilterra, in cui apprese le più moderne tecniche per la lavorazione della ghisa, avviò a San Pietroburgo un'azienda per la fusione e lavorazione della ghisa, il cui motto era "Senza fretta e senza riposo". Ebbe importanti lavori, come le cancellate del palazzo d' inverno ma divenne famoso per i caloriferi in ghisa per il riscaldamento ad acqua. I primi esemplari furono creati per riscaldare le serre di una residenza dello Zar a Tsarskoye Selo (alle porte di San Pietroburgo).
 
La città di Samara, presso il Volga, ha commissionato nel 2005 allo scultore Nikolai Kuklev un monumento in bronzo per celebrare il 150 anniversario dell'invenzione del calorifero. L'opera rappresenta un calorifero stilizzato sormontato da un davanzale su cui un gatto si gode il tepore.
 
 


#92 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 10 febbraio 2016 - 05:34

La ruota
 
Wheel_Iran.jpg
 
In linea generale si ipotizza che l'uso della ruota fosse anticipato da quello della slitta, in seguito si inventò il rotolamento dei pesi su dei tronchi d'albero.
 
Secondo gli studiosi la ruota fu inventata nell'antica Mesopotamia (dai Sumeri) nel V millennio a.C. per la lavorazione di vasellame. Gli Inca e altre culture occidentali sembrano essersi avvicinate al concetto di ruota, che appare in alcuni giocattoli in pietra, senza farne però un uso moderno. La ruota sembra non essere stata conosciuta nell'Africa sub-sahariana e in Australia prima del contatto con il resto del mondo.
 
Sebbene non abbiano sviluppato propriamente la ruota, gli Olmechi ed altre culture dell'Ovest sembrano essersi approcciati come dimostrato dal ritrovamento di un gioco per bambini datato 1500 anni prima di Cristo. Si pensa che il primo ostacolo all'utilizzo in larga scala della ruota fu la mancanza di grandi animali addomesticati che potessero essere utilizzati per trainare i carri. Il bisonte americano è difficile da addomesticare ed il cavallo, presente fino a 12.000 anni fa, si estinse rapidamente in seguito alla caccia effettuata dagli umani appena giunti nel nuovo continente. Il solo animale che fu addomesticato nel Nuovo mondo fu il lama, che non si diffuse oltre le Ande, sino al tempo dell'arrivo di Colombo.
 
Concludendo, probabilmente l'invenzione è stata possibile soltanto in quelle aree, come Mesopotamia e Cina, in cui sono stati addomesticati animali selvatici di grossa e media taglia, i soli in grado di fornire la forza motrice necessaria ai carri.
 
L'invenzione si colloca nella stessa epoca neolitica a cui risalgono altre invenzioni che diedero origine a quella che è chiamata l'età del bronzo. Questo implica un periodo di alcuni millenni dopo l'epoca dell'invenzione dell'agricoltura, quando la ruota non era conosciuta.
 
Le prime ruote erano semplici dischi in legno con un foro in mezzo per l'asse come quelle rappresentate nello Stendardo di Ur XXV secolo a.C. Negli affreschi egizi vi sono invece ruote a raggi e altri esempi di ruote a raggi sono presenti in Siberia nella cultura Andronovo del XX secolo a.C. Nel I millennio a.C. i Celti circondarono la ruota in legno con un cerchio di ferro, realizzando un modello di ruota ancora in uso nel XX secolo.
 
 


#93 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 17 febbraio 2016 - 07:48

La medicina
 
smbolo1.jpg
 
L'atto terapeutico delle origini era essenzialmente autoreferenziale: il soggetto ferito o malato ricercava il rimedio allontanandosi dal gruppo o essendo abbandonato da esso (questo comportamento ha una testimonianza antico testamentaria; nella Bibbia si prescrive l'estromissione dalla tribù in presenza di alcune malattie ed è inoltre confermato dai moderni studi antropologici sui gruppi primitivo-moderni).
 
Tuttavia con lo stabilizzarsi dei gruppi e sviluppando maggior predominio del territorio, sorse una progressiva divisione dei ruoli: le femmine, oltre ad occuparsi dei piccoli, si diedero alla raccolta di vegetali, mentre i maschi si dedicarono alla caccia. Lo sviluppo della complessità del sistema comunitario contemplò come sua parte integrante la definizione dei ruoli, delle gerarchie corrispondenti e delle figure preposte al loro mantenimento, ossia una configurazione della dinamica sociale in cui ad ogni individuo era assicurata la sopravvivenza in funzione di un ruolo. In questo quadro, individui con appropriate caratteristiche si assunsero il compito di provvedere al mantenimento del tenore sanitario della comunità. Essa si sviluppò secondo due criteri ormai ben riconosciuti: la costante intellettuale e la ricerca istintiva del farmaco.
 
Questo esercizio primordiale, di attività finalizzate alla sanificazione del corpo attinto da malattia o da lesione, si ritrova in tutte le civiltà; spesso, nelle forme primigenie, si nota una commistione, una confusione, o comunque sempre almeno una vicinanza, fra le attività medicali e quelle religiose.
 
In effetti nella Grecia, in Egitto, in Mesopotamia, tra gli ebrei, si sviluppa una medicina sapienziale, esorcistica, esercitata da sacerdoti, in cui la terapia è la penitenza, l'eziologia della malattia è divina. Accanto a questa medicina sapienziale, in tutti gli ambiti si sviluppò anche una medina artigianale, di artigiani della guarigione, di manipolatori di farmaci, di operatori manuali.
 
Storia antica
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Medicina egizia, Medicina mesopotamica e Storia della medicina ebraica.
I primi riferimenti della medicina egizia appartengono alla prima epoca monarchica (2700 a. C.). Essa aveva una concezione magica della infermità, esistevano svariate conoscenze e pratiche ma le pratiche mediche erano accompagnate da specifiche formule apotropaiche.
 
Più o meno contemporanea è la medicina mesopotamica, la cui principale testimonianza scritta è il Codice di Hammurabi (circa 1772 a.C.). Esso riportava, in tredici articoli, le responsabilità del medico nell'esercizio della sua professione, come pure i castighi previsti.
 
Anche qui primeggia una concezione soprannaturale della malattia: si tratta di un castigo divino a seguito della rottura di un tabù.
 
Storia orientale
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della medicina giapponese, Medicina indiana e Medicina cinese.
 
Ritratto di Huang Di, l'Imperatore Giallo, autore del Nei Jing
La medicina tradizionale cinese emerge come un modo fondamentalmente taoista di intendere la medicina ed il corpo umano, che si sostiene su un equilibrio instabile frutto di due forze primordiali il Yin (la terra, il freddo, il femminile) e lo Yang (il calore, il caldo, il maschile), capace di modificare i cinque elementi di cui è composto l'universo: acqua, terra, fuoco, legno e metallo. Questa concezione cosmologica determina un modello di malattia basato sulla rottura dell'equilibrio; il trattamento della stessa consiste nel recupero di questo equilibrio fondamentale. Una delle prime vestigia di questa medicina consiste nel Nei Jing, che è un compendio di scritti medici datati intorno all'anno 2600 a.C. e che rappresenterà uno dei pilastri della medicina tradizionale cinese nei 4 millenni successivi. Una della prime e più importanti revisioni è attribuita all'Imperatore Giallo Huang Di. In questo compendio si trovano alcuni concetti medici interessanti per l'epoca, specialmente in campo chirurgico.
 
Ma la riluttanza a studiare cadaveri umani sembra aver sminuito l'efficacia dei suoi metodi. La medicina cinese sviluppò una disciplina a cavallo tra la medicina e chirurgia chiamata agopuntura. Secondo questa disciplina, l'applicazione di aghi su alcuni dei 365 punti di inserzione (fino ai 600, secondo le scuole), restituiva l'equilibrio perso tra lo Yin e lo Yang.
 
Diversi storici della medicina si sono chiesti perché la medicina cinese restò ancorata a questa visione cosmologica, senza raggiungere il livello di "scienza tecnica", nonostante la sua lunga tradizione e il suo corpo di conoscenze, al contrario modello classico greco-romano. La ragione, secondo questi autori, sarebbe nello sviluppo del concetto di logos, da parte della cultura greca, come una spiegazione naturale slegata dal modello cosmologico (Mythos).
 
Con l'arrivo della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), e con l'apogeo del “taoismo”, (dal II secolo a.C. fino al VII secolo d.C.), si iniziano ad enfatizzare i rimedi naturali, vegetali e minerali, i veleni, la dietetica, così come le tecniche respiratorie e l'esercizio fisico. Da questa dinastia, fino alla dinastia Sui, (secolo VI) si misero in luce i seguenti studiosi:
 
Chun Yuyi: Dalle sue osservazioni sappiamo che sapevano già diagnosticare e trattare infermità come la cirrosi, l'ernia, e l'emottisi.
Zhang Zhongjing: Fu il primo a differenziare la sintomatologia dalla terapia
Hua Tuo: Un grande chirurgo multidisciplinare, al quale furono attribuite le tecniche di narcosi (Ma Jue Fa), le tecniche di laparotomia (Kai Fu Shu), così come la sutura. Studiò pure la ostetricia, la idroterapia e gli esercizi di ginnastica (WuQinXi).
Huang Fumi: Autore dello Zhen Jiu Yi Jing, un classico dell'agopuntura.
Wang Shu He: Autore del Mai Jing, un classico sul tema del polso.
Ge Hong: alchimista, taoista e fitoterapeuta che sviluppò il metodo per la longevità basato su esercizi espiratori, dietetici e farmacologici.
Tao Hongjing: esperto in rimedi farmacologici.
 
Agopuntura: una tecnica millenaria utilizzata tuttora nella medicina cinese contemporanea
Durante le dinastie Sui (581-618) e Tang la medicina tradizionale cinese vive un grande momento. Nell'anno 624 fu creato il Grande Servizio Medico, da dove si organizzavano gli studi e le ricerche in medicina. Sono di questa epoca le descrizioni molto precise di moltissime malattie, tanto infettive come carenziali, sia acute che croniche. E determinati riferimenti lasciano immaginare un importante sviluppo nelle specialità come la chirurgia, ortopedia o odontoiatria. Il medico che più si distinse in questo periodo fu Sun Simiao (581-682).
 
Durante la dinastia Song (960-1270) apparvero studiosi multidisciplinari come Chen Kua, pediatri come Qian Yi, specialisti di medicina legale come Song Ci, o agopuntori come Wang Wei Yi. Poco dopo, prima dell'arrivo della dinastia Ming, la menzione spetta a Hu Zheng Qi Huei (specialista in dietetica), e Hua Shuou (o Bowen, autore di una rilevante revisione del classico Nan Jing).
 
Durante la dinastia Ming (1368-1644) iniziano le influenze da fuori, medici cinesi esplorano nuovi territori e medici occidentali portano le loro conoscenze alla Cina. Una delle più grandi opere mediche dell'epoca fu il “Gran trattato di Medicina” di Li Shizhen. Si distinse in questo periodo come agopuntore Yang Jizou.
 
A partire dal secolo XVII e XVIII le influenze reciproche con l'occidente, ed il suo avanzamento tecnologico, e con le differenti filosofie imperanti (per esempio il comunismo) finiscono per conformare la attuale medicina cinese.
 
Ippocrate
All'interno del clima culturale “razionalistico” occidentale del V secolo a.C. si collocò anche la nascita della prima forma di scienza medica: con Ippocrate di Coo la medicina greca antica uscì dalla fase pre-scientifica, legata a pratiche e credenze magiche e religiose, e si organizzò intorno ad una metodologia decisamente razionale, rigorosa ed empirica.
 
La medicina ippocratea in primo luogo prese le distanze dalla tradizione religiosa, ossia dalla tendenza ad attribuire le cause di alcune malattie ad una origine divina (come nel caso dell'epilessia): tutte le malattie avevano invece una causa “naturale”. In particolare Ippocrate, riprendendo un'idea che risaliva al pitagorico Alcmeone, sostenne che la malattia insorgesse quando nell'organismo si verificava una rottura dell'equilibrio esistente tra i quattro umori fondamentali (sangue, flegma, bile gialla e bile nera). Inoltre, sempre rifacendosi ad Alcmeone, sostenne che il centro delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti (oltre che del pensiero) fosse il cervello e non il cuore, come si credeva all'epoca.
 
Un secondo, fondamentale, aspetto dell'impostazione di Ippocrate fu quello di separare sempre più la pratica e le teorie mediche dalla riflessione filosofica, entro cui esse erano prima incluse. Le conoscenze mediche divennero sempre più specialistiche e precise e non ebbero più nulla a che vedere con le teorie filosofiche astratte e generali (la commistione tra filosofia e medicina caratterizzava invece la scuola medica che derivava da Empedocle).
 
Infine occorre sottolineare l'importanza e l'originalità della metodologia seguita da Ippocrate: in primo luogo l'importanza e la centralità dell'esperienza, dell'osservazione attenta e sistematica dei sintomi. Dall'analisi dei sintomi il medico doveva poi risalire alle cause interne della patologia, costruendo un quadro teorico complessivo e coerente, da cui discendeva poi la scelta della terapia.
 
Nel nuovo, rigoroso, metodo ippocratico, osservazione, teoria e tecnica (= pratica) non solo erano complementari e interdipendenti ma erano collocate sul medesimo piano di importanza: la tecnica non era affatto “inferiore” alla teoria (si pensi all'importanza della chirurgia).
 
 


#94 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 24 febbraio 2016 - 06:04

Il cervello
 
Gray715.png
 
Il cervello-encefalo non risulta di interesse anatomico per gli antichi egizi, nonostante una già consolidata chirurgia della testa. Ciò può sembrare paradossale, ma era di fatto considerata un'attività servile. Sappiamo di certo che l'asportazione dell'encefalo durante il trattamento di un cadavere, avveniva mediante uncini attraverso il naso, cosa che non dava alcun riscontro morfologico.
 
Il Papiro Chirurgico di Edwin Smith, risalente al XVII secolo a.C., contiene i primi riferimenti scritti relativi al cervello. La parola cervello appare otto volte in questo papiro che descrive i sintomi, la diagnosi e la prognosi di due pazienti, feriti alla testa, che presentavano una frattura composta del cranio.
 
Nel mondo greco, Ippocrate e altri filosofi come Platone identificavano nel cervello la sede del pensiero (encefalocentrismo). Aristotele riteneva ancora che fosse il cuore la sede dell'intelligenza, e vedeva il cervello come un meccanismo di raffreddamento del sangue, riscaldato dal corpo. Aristotele riteneva quindi che gli esseri umani fossero più razionali delle bestie in quanto possedevano un cervello più grande in grado di raffreddare meglio il loro sangue caldo.
 
Durante l'impero romano, l'anatomista Galeno, dissezionò numerosi cervelli di vari animali. Egli ci dice, nei suoi Procedimenti anatomici (cap. IX) che l'encefalo viene suddiviso dalle meningi in "cervello" (encephalon) o "cervello anteriore" e in "cervello posteriore" o enkranion o epikranion, cioè in cervello e cervelletto.
 
Attraverso l'osservazione delle differenze di struttura e sostanza fra cervello e cervelletto, concluse che il primo, essendo più tenero, dovesse essere il contenitore delle sensazioni, mentre il secondo, essendo più denso, dovesse controllare i muscoli. Nonostante i presupposti fossero sbagliati, le conclusioni di Galeno erano vicine alla realtà. Galeno, inoltre, scoprì che il cervello è cavo a causa della presenza di ventricoli che sono riempiti di un liquido (liquido cerebrospinale). Questa caratteristica del cervello, lo portò a ritenere valida la teoria, fino ad allora dominante, secondo la quale il cervello funzionava tramite il movimento e il bilanciamento di quattro fluidi (detti umori).
 
Riprendendo ipotesi più volte esposte, Cartesio teorizzò la divisione tra mente e corpo (vedi dualismo mente-cervello).
 
Thomas Willis nel 1664 edita il suo Cerebri anatome, che contiene la più dettagliata e completa descrizione del cervello comparsa fino allora. Tratta del circolo arterioso che da lui prenderà il nome. Contribuisce anche alla terminologia medica, coniando la parola neurologia per indicare la disciplina e il termine corpo striato per i gangli della base.
 
Franz Joseph Gall (1758-1828) e Johann Spurzheim (1776-1832) per primi dimostrano che la sostanza bianca è costituita da fibre nervose e postulano l'esistenza di differenti centri per le diverse funzioni del cervello. Sfortunatamente questa ipotesi viene inizialmente screditata da teorie puramente speculative, anche da parte degli stessi Gall e Spurzheim (come il "centro dell'amicizia", quello "dell'ambizione" e via dicendo). Da questi primi studi quindi si sviluppò la frenologia.
 
Per determinare la funzione di una specifica parte del cervello si ricorreva al metodo di ablazione sperimentale: in pratica si lesionava una regione del cervello e se ne osservavano le conseguenze. Uno dei primi ad usare questo metodo fu il fisiologo francese Marie Jean-Pierre Flourens che nel 1823 dimostrò che il cervelletto era davvero implicato nella coordinazione del movimento, come già intuito da Galeno.
 
Fu Pierre Paul Broca che descrisse il centro motorio del linguaggio (1861), mentre Karl Wernicke descrive un'area similare le cui lesioni comportano afasia sensoriale (1874). John Hughlings Jackson osserva pazienti epilettici ed elabora la teoria dell'esistenza all'interno del sistema nervoso centrale di gerarchie funzionali.
 
Nel 1929, lo psichiatra austriaco Hans Berger registrò il primo potenziale elettrico di un cervello in vivo. Questa tecnica, conosciuta come elettroencefalogramma o EEG, permette di misurare la corrente che scorre nella corteccia cerebrale durante l'eccitazione sinaptica dei dendriti e viene oggi utilizzata nella diagnosi di determinate condizioni neurologiche come le crisi epilettiche e per scopi di ricerca.
 
L'homunculus motorio e quello sensitivus sono di Penfield e Rasmussen, del 1957.
 
Nel 1994 Semir Zeki dà inizio allo studio delle basi neurali della creatività e dell'apprezzamento estetico dell'arte. Nel 2001 fonda l'Istituto di Neuroestetica, con base a Berkeley, in California.
 
Evoluzione e anatomia comparata del cervello
Nei primi animali pluricellulari, i poriferi, non si riscontra alcuna struttura che coordini i diversi tessuti. Gli cnidari sono i primi a sviluppare un sistema nervoso, nel quale però non è identificabile alcuna struttura definibile come cervello, ma solo una rete nervosa formata da neuroni sensoriali (afferenti), interneuroni di connessione e neuroni motori (efferenti). Alcuni zoologi identificano questa struttura come un cervello delocalizzato. Tale sistema comunque è già in grado di ricevere stimoli sensoriali complessi ed elaborare riflessi coordinati.
 
La cefalizzazione e il cervello vero e proprio
 
Cervello di una locusta
L'avvento della simmetria bilaterale ha conferito agli eumetazoi una direzionalità, con una parte anteriore ed una posteriore, al contrario degli animali a simmetria radiata, nei quali non si distingue alcuna direzione preferenziale. La presenza di una parte anteriore fa sì che sia questa ad incontrare per prima un nuovo ambiente, il che ha indotto l'avvio del processo di cefalizzazione, consistente inizialmente nella concentrazione degli organi sensoriali e dei centri nervosi necessari all'elaborazione degli stimoli in una zona anteriore denominata capo.
 
Nei platelminti è possibile distinguere un rudimentale cervello, costituito da due insiemi di corpi cellulari concentrati nella zona cefalica. Negli anellidi sono presenti anche numerosi gangli.
 
Gli artropodi sono i primi esseri in cui si può osservare una specializzazione delle diverse aree del cervello, insieme alla quale si osserva la comparsa di comportamenti complessi, come per esempio l'organizzazione sociale. Il cervello degli artropodi è diviso in tre strutture differenti e possiede enormi lobi visivi dietro ogni occhio.
 
Nei molluschi si osserva un sistema nervoso di tipo gangliare. Dopo i vertebrati i molluschi sono gli animali con il cervello più complesso. Tra i molluschi i cefalopodi hanno il maggior sviluppo cerebrale, e in particolare il polpo ha un cervello molto grande ed organizzato la cui struttura si riflette in riflessi cognitivi e comportamentali estremamente complessi.
 
Negli echinodermi e nei tunicati non è individuabile una struttura precisa identificabile come cervello, che in queste specie, come negli eumetazoi più semplici, si considera delocalizzato.
 
Cervello di uno squalo
Nei vertebrati si osservano alcune differenze fondamentali. È infatti possibile individuare due strutture diverse, il telencefalo e il diencefalo, che formano il cervello vero e proprio, detto anche prosencefalo, mentre le altre strutture contenute all'interno della scatola cranica (mesencefalo ponte e bulbo) formano il tronco encefalico[4]. Nei primi vertebrati acquatici (agnati e ittiopsidi), il telencefalo è solo una piccola protuberanza con funzioni sensoriali (olfattive) e il prosencefalo stesso è molto piccolo rispetto all'encefalo nel suo insieme, mentre il mesencefalo raggiunge dimensioni considerevoli. Questo fenomeno è correlato alla maggiore importanza che ha l'afferenza sensoriale della linea laterale, a sua volta correlata alla maggior mobilità di questi animali nell'ambiente tridimensionale.
 
 
Cervello di un topo. Notare l'aspetto più liscio rispetto al cervello dei mammiferi superiori, legato ad una minor estensione della corteccia.
Nei vertebrati terrestri è invece il prosencefalo che si ingrandisce fino a formare una struttura liscia che occupa la scatola cranica quasi per intero. L'encefalo viene separato dalla scatola cranica tramite membrane di tessuto connettivo chiamate meningi. Cellule specializzate dividono il cervello dal flusso sanguigno, formando la barriera emato-encefalica. L'ingrandimento e la maggior organizzazione cerebrale negli amnioti riflettono lo spostamento degli arti dalla posizione laterale a quella ventrale, con conseguente coordinazione dell'oscillazione e dello spostamento degli arti. Il controllo degli arti assume una notevole importanza a livello cerebrale negli arcosauri bipedi e negli uccelli, riflettendosi sulla struttura cerebrale.
 
La maggior parte delle funzioni cerebrali legate alla coordinazione del movimento nei vertebrati sono affidate ad una struttura posteriore al cervello chiamata cervelletto.
 
La struttura che più differenzia il cervello dei mammiferi da quello degli altri vertebrati è la corteccia cerebrale, uno strato laminare di tessuto cerebrale che costituisce la parte più esterna del telencefalo. Grazie a questa struttura vengono esplicate le funzioni cerebrali più complesse, quali la memoria e il linguaggio. La corteccia conferisce al cervello di alcuni mammiferi il classico aspetto rugoso, con profondi solchi e circonvoluzioni. Si osservano inoltre profonde modificazioni anatomiche, specialmente al livello del telencefalo e dei lobi frontali.
 
Il cervello umano
 
Disegno di un encefalo visto dall'alto, in cui si osserva il solo cervello che copre le due restanti parti.
"Traite complet de l'anatomie...",Foville, 1844 Wellcome 
Disegno della base del cervello, apprezzabile a causa della sezione, a livello dei peduncoli cerebrali, del tronco encefalico, rimosso assieme al cervelletto che gli è associato.
Sistema nervoso
Arteria Arteria cerebrale superiore, media, inferiore
Vena Seno sagittale superiore e seno sagittale inferiore
Sviluppo embriologico Prosencefalo
MeSH Prosencephalon
68016548
 
Sezione orizzontale di una testa umana. Visibili cranio, meningi, corteccia cerebrale e materia bianca
Il cervello umano è posto all'apice, sia dal punto di vista della struttura che della funzione, del sistema nervoso centrale. In termini rigorosamente anatomici, il cervello è il risultato dello sviluppo embriologico del prosencefalo, termine che viene utilizzato come suo sinonimo, venendo a comprendere due parti note come diencefalo e telencefalo.
 
Colloquialmente con la parola cervello si intende l'intero contenuto nervoso della cavità cranica, che invece prende il nome di encefalo, di cui il cervello è la parte più voluminosa, ma che comprende anche cervelletto e tronco encefalico.
 
Il cervello è l'organo più importante del sistema nervoso centrale con un peso piuttosto variabile che non supera i 1500 grammi ed ha un volume compreso tra i 1100 e i 1300 cm³, tenendo presente la possibilità di significative variazioni tra individuo e individuo, anche legate a sesso, età e altri fattori.
 
Negli esseri umani la corteccia cerebrale cresce enormemente di dimensione, diventando la struttura predominante del cervello. Inoltre, rispetto ad altri mammiferi, la corteccia cerebrale negli umani assume un ruolo più importante a livello funzionale essendo sede delle "funzioni cerebrali superiori", quali il pensiero e la coscienza.
 
 
Raffigurazione schematica del cervello umano, con evidenziati i quattro lobi cerebrali. Visibili anche altre strutture dell'encefalo
Il telencefalo umano, che include la corteccia cerebrale, è estremamente sviluppato, e può essere suddiviso in quattro aree o lobi:
 
 


#95 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 02 marzo 2016 - 06:21

Il cacao

 

1024px-Blocks_of_Couverture_chocolate.jp

 

La pianta Theobroma cacao (nome scientifico del cacao) fu classificata considerando il nome che aveva e l'uso che se ne faceva presso le civiltà che la utilizzavano all'epoca: cacao cibo degli dei.
 
Il cacao, nella lingua della famiglia mixe-zoqueana che parlavano gli olmechi attorno al 1000 a.C., si pronunciava kakawa. In epoche successive i maya, più precisamente nel corso del loro periodo classico (fra il III secolo e il X secolo), cominciano a chiamare il Theobroma con il termine "kakaw". In quel tempo si cominciavano a miscelare alla bevanda aromi di varia natura, ad esempio il chili, ed essa assumeva il nome di "ik-al-kakaw".
Note sulla pronuncia
Nella lingua nahuatl che parlavano allora gli aztechi, la desinenza "tl" si pronunciava "te" e "ch" traslittera il suono della "c" dolce. L'accento tonico cadeva sempre sulla penultima sillaba.
I Maya sono i primi a coltivare la pianta del cacao nelle terre tra la penisola dello Yucatan, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala. Per gli Indios i semi sono così preziosi da essere utilizzati come vere e proprie monete. Il cacao ha addirittura significati simbolici e religiosi. Presso i maya il cioccolato veniva chiamato kakaw uhanal, ovvero "cibo degli Dei", e il suo consumo era riservato solo ad alcune classi della popolazione (sovrani, nobili e guerrieri). I maya amavano la bevanda di cacao preparata con acqua calda. Acqua si diceva haa, e caldo si diceva chacau. La bevanda di cacao assumeva il semplice nome di chacauhaa.[3] Sinonimo di chacau era chocol, da cui deriva chocolhaa, sicuramente il primo nome che si avvicina allo spagnolo chocolate.
 
 
Raffigurazione di due divinità mentre consumano del cioccolato.
Cristoforo Colombo è il primo europeo a provare il cacao nel 1502 quando durante il suo quarto viaggio nelle Americhe tocca l'isola di Gunaja, al largo della costa dell'Honduras. Dalle foreste dell'America centrale, il cacao giunge in Europa attorno alla metà del Cinquecento.
 
Facendo un ulteriore salto, arriviamo alla conquista spagnola della seconda metà del XVI secolo dove si consumava una bevanda per metà di cacao ("cacahuatl") e per metà di "pochotl" che prendeva il nome di chocolatl ("chocol" di radice maya che significa caldo e "atl" di radice azteca che significa acqua, pronuncia "ciocolate"). In ogni caso, perché gli spagnoli per indicare le bevande a base di cacao non accolsero "cacahuate", ma preferirono adottare "chocolatl"? Questo fatto dipenderebbe da quel fenomeno per cui le parole di una certa lingua possono avere suono e significato inaccettabile in altre. Il termine «caca», in spagnolo è un'espressione volgare, connessa con le feci e non poteva essere tollerabile un suono del genere per indicare una bevanda consumata prevalentemente dall'aristocrazia e dalla nobiltà reale, soprattutto se riferita a una bevanda densa, marrone scuro e originariamente amara.
 
Una seconda teoria fa derivare la parola dal dio Azteco Quetzalcoàtl, che secondo la leggenda donò ai mortali il seme del cacao per farne una bevanda amara, energetica e afrodisiaca. Secondo tale teoria da qui deriverebbe il nome del seme cacahuatl e poi anche di chocolatl.
Una ulteriore teoria, che sembra la meno credibile, parte dall'etimologia proposta da Thomas Gage (peraltro molto utilizzata in campo gastronomico), in cui oltre al termine nahuatl atl si aggiunge choco, onomatopeico che indicherebbe il suono prodotto dal "molinillo" che agita la mistura durante la preparazione. Contrariamente a quanto si pensa, poi, il termine molinillo non sarebbe il diminutivo dello spagnolo molino (mulino), che effettivamente ha poco a che fare con il movimento che occorre per preparare il cioccolato, ma dal verbo nahuatl molinìa, che significa muovere, sbattere e agitare, da cui deriva anche il sostantivo moliniani, che indica ciò che si muove o che si agita.
La storia del cacao e del cioccolato
 
Scultura azteca di un uomo con in mano un frutto di cacao.
La pianta del cacao ha origini antichissime e, secondo precise ricerche botaniche si presume che fosse presente più di 6.000 anni fa nel Rio delle Amazzoni e nell'Orinoco. I primi agricoltori che cominciarono la coltivazione della pianta del cacao furono i Maya solo intorno al 1000 a.C. Le terre che si estendono fra la penisola dello Yucatàn, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala furono quindi le prime a vedere l'inizio della storia del cacao, e insieme con esso del cioccolato.
 
La leggenda dice che la coltura del cacao fu sviluppata dal terzo re Maya: Hunahpu. Un'altra leggenda, questa volta azteca, dice che in tempi remoti una principessa fu lasciata, dal suo sposo partito in guerra, a guardia di un immenso tesoro; quando arrivarono i nemici la principessa si rifiutò di rivelare il nascondiglio di tale tesoro e fu per questo uccisa; dal suo sangue nacque la pianta del cacao, i cui semi sono così amari come la sofferenza, ma allo stesso tempo forti ed eccitanti come le virtù di quella ragazza.
 
Tornando alla storia, successivamente ai Maya anche gli aztechi cominciarono la coltura del cacao, e in seguito la produzione di cioccolata; associavano il cioccolato a Xochiquetzal, la dea della fertilità. Con valore mistico e religioso, il cacao veniva consumato dall'élite durante le cerimonie importanti,offerto insieme con l'incenso come sacrificio alle divinità e a volte mischiato al sangue degli stessi sacerdoti. A conferma di ciò, sono stati trovati diversi esempi di raffigurazione della pianta del cacao su alcuni vasi e codici miniati Maya.
 
 
Scultura maya raffigurante un uomo con in mano della pasta di cacao
Oltre a un impiego liturgico e cerimoniale, nelle Americhe il cioccolato veniva consumato come bevanda, chiamata xocoatl, spesso aromatizzata con vaniglia, peperoncino e pepe. Tale bevanda era ottenuta a caldo o a freddo con l'aggiunta di acqua e eventuali altri componenti addensanti o nutrienti, come farine e minerali. Altri modi di preparazione combinavano il cioccolato con la farina di mais e il miele.[5] La sua caratteristica principale era la schiuma, che veniva anticamente ottenuta mediante travasi ripetuti dall'alto da un recipiente a un altro.
 
Con la Conquista spagnola, si impone l'uso del molinillo, che ruotato velocemente avanti e indietro tra le mani consentiva di ottenere in tempi più brevi la densa schiuma tanto amata dai consumatori della bevanda. Non si può non notare, per inciso, la singolare coincidenza del procedimento di preparazione della bevanda di cacao e acqua per travaso, con l'uso africano di preparare il tè (tre cicli successivi di preparazione, ciascuno dei quali si ottiene per bollitura delle foglie di tè, travasi ripetuti dall'alto fino al montare della schiuma - peraltro ovviamente meno consistente di quella del cacao - e consumo).
 
Lo xocoatl aveva l'effetto di alleviare la sensazione di fatica, effetto probabilmente dovuto alla teobromina in esso contenuta. Esso era un articolo di lusso in tutta l'America centrale pre-colombiana; i semi di cacao erano usati come moneta di scambio, di conto e anche come unità di misura: nel tesoro dell'imperatore Motecuhzoma (più noto con il nome storpiato di Montezuma) se ne poterono trovare quasi un miliardo. Si diceva che lo xocoatl avesse un sapore squisito. José de Acosta, un missionario gesuita spagnolo che visse in Perù e poi in Messico nel tardo XVI secolo scrisse:
 
Disgustoso per coloro che non lo conoscono, con una schiuma o pellicola in superficie che è molto sgradevole al gusto. Tuttavia è una bevanda molto apprezzata dagli indiani, che la usano per onorare i nobili che attraversano il loro paese. Gli spagnoli, sia uomini sia donne, che si sono abituati al paese sono molto golosi di questo Chocolaté. Dicono di prepararne diversi tipi, caldi, freddi, tiepidi, e di aggiungervi molto chili; ne fanno inoltre una pasta che dicono essere buona per lo stomaco e contro il catarro.
 
L'incontro tra Hernán Cortés e l'imperatore Montezuma
Nel 1502 avvenne il contatto del cacao con la civiltà europea: Cristoforo Colombo durante il suo quarto e ultimo viaggio in America sbarca in Honduras dove ha l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao; al ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando e Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda.
 
Solo con Hernàn Cortéz si ha l'introduzione del cacao in Europa in maniera più diffusa, era il 1519. Egli arriva nel Nuovo Mondo proveniente dalla Spagna e la popolazione locale lo scambia per il Dio Quetzalcoàtl, che secondo la leggenda sarebbe dovuto tornare proprio in quell'anno. L'imperatore Montezuma, allora, lo accoglie a braccia aperte e gli offre un'intera piantagione di cacao coi relativi proventi. Nel 1528 Cortéz porta in Spagna alcuni semi di cacao, recandoli in dono a Carlo V.
 
Il primo carico documentato di cioccolato verso l'Europa a scopo commerciale viaggiò su una nave da Veracruz a Siviglia nel 1585 (a Siviglia aveva sede il Reale Consiglio delle Indie, attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l'amministrazione, gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d'oltre oceano. Tutti movimenti materiali avvenivano attraverso il porto di Cadice). Il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, ma gli europei, e in particolar modo gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, ci aggiunsero la vaniglia e lo zucchero per correggerne la naturale amarezza e tolsero il pepe e il peperoncino.
 
Pare che sia stato il vescovo Francisco Juan de Zumàrraga nel 1590 ad aggiungere lo zucchero alla ricetta della bevanda.[senza fonte] Un'opera del 1591 di Juan Cardenas è fra le prime a citare la controversia. Per tutto il Cinquecento il cioccolato rimane un'esclusiva della Spagna, che ne incrementa le coltivazioni. La tradizionale lavorazione per la produzione delle tavole di cioccolato solide, anch'esse di origine azteca, viene importata nella Contea di Modica, allora protettorato spagnolo. Tale lavorazione dà origine allo xocoàtl, un prodotto che gli abitanti del Messico ricavavano dai semi di cacao triturati su una pietra chiamata metate, prodotto che ormai si produce nella sola Modica in Sicilia.
 
A cavallo fra il Cinquecento e il Seicento il cacao fu probabilmente importato in Italia, e precisamente in Piemonte, da Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, che sposò nel 1585 Carlo Emanuele I, duca di Savoia. Non bisogna inoltre dimenticare che nell'Italia meridionale regnavano gli Spagnoli e fu probabilmente anche per la loro influenza che il cacao si diffuse in Italia. Nel Seicento il cacao arriva in Toscana per merito del commerciante di Firenze Francesco d'Antonio Carletti.
 
Nel 1606 il cioccolato veniva prodotto in Italia nelle città di Firenze, Venezia e Torino. Le tracce dell'antico legame fra Firenze e la cioccolata si ritrovano in alcuni fondi librari della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Magliabechiano e Palatino), dove si rintracciano numerosi scritti che testimoniano a partire dal 1600 un acceso dibattito sul cioccolatte e sui suoi consumi (Francesco Redi, Lorenzo Magalotti, Francesco D'Antonio Carletti). Sempre a Firenze, dal 1680, si rintracciano numerosi scritti sul tema della cioccolata. Nel 1680 esce Differenza tra il cibo e 'l cioccolatte… (a cura di Gio.Battista Gudenfridi), cui seguono nel 1728: Parere intorno all'uso della cioccolata (Gio. Battista Felici), Lettera in cui si esaminano le ragioni addotte dall'Autore del primo parere intorno all'uso della cioccolata (Lorenzo Serafini), Lezione accademica in lode della cioccolata (Giuseppe Avanzini) e Altro parere intorno alla natura, ed all'uso della Cioccolata disteso in forma di lettera… (Francesco Zeti).
 
Nel 1615 Anna d'Austria, sposa di Luigi XIII, introdusse il cioccolato in Francia. Tra il 1659 e il 1688 l'unico cioccolataio presente a Parigi fu David Chaillou.Nel 1650 il cioccolato viene commercializzato anche in Inghilterra: a Oxford si inizia a servire il cioccolato negli stessi locali in cui si serviva il caffè.Nel XVII secolo divenne un lusso diffuso tra i nobili d'Europa e gli olandesi, abili navigatori, ne strappano agli spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale.
 
 
Ritratto di una donna che si appresta a bere della cioccolata (Jean-Étienne Liotard, 1744).
Nella Venezia del Settecento nascevano le prime "botteghe del caffè" (o coffe house), antesignani dei nostri bar; esse erano, certamente, anche "botteghe della cioccolata" e facevano a gara per modificare la ricetta esistente inventando nuove versioni. Nel 1760 la Gazzetta Veneta documenta l'ormai enorme diffusione del prodotto. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato viene considerato la panacea di tutti i mali, e gli si attribuiscono virtù miracolose.
 
Il Brasile, il Venezuela, la Martinica e le Filippine aumentano in modo spropositato la coltivazione di cacao; contemporaneamente molte città europee si pregiano della fama per la lavorazione del cioccolato; un esempio fra tutti è Torino, che ha una produzione di ben 350 kg al giorno, esportato in maggior parte in Austria, Svizzera, Germania e Francia, dove poco alla volta la preparazione di bevande al cioccolato diventa una passione per molti. Alla fine del XVIII secolo il primo cioccolatino da salotto, come lo conosciamo oggi, fu inventato a Torino da Doret: la tradizione del cioccolato nel 1800 era talmente radicata a Torino e in Piemonte che gran parte dei cioccolatai attivi in Italia come Gay-Odin a Napoli, la Bottega del cioccolato a Roma sono originari di questa regione.
 
Nel 1802 Bozzelli inventò una macchina per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia.[6][13] In realtà bisogna aspettare il 1820 perché il sistema fosse messo a punto, e la prima tavoletta di cioccolata di tipo commerciale fu prodotta in Inghilterra. Nel 1826 Pierre Paul Caffarel cominciò la produzione di cioccolato in grandi quantità grazie a una nuova macchina capace di produrre oltre 300 kg di cioccolato al giorno. Nel 1828 l'olandese Conrad J. van Houten brevettò un metodo per estrarre il grasso dai semi di cacao trasformandoli in cacao in polvere e burro di cacao.
 
Sviluppò inoltre il cosiddetto processo olandese, che consiste nel trattare il cacao con alcali per rimuoverne il gusto amaro. Questi trattamenti resero possibile il produrre il cioccolato in barrette. Il primo cioccolato in forma solida in scala più estesa rispetto a quello di Doret sembra essere stato prodotto nel 1847 da Joseph Fry. Nel 1852 a Torino Michele Prochet comincia a miscelare cacao con nocciole tritate e tostate creando la pasta Gianduia che verrà poi prodotta sotto forma di gianduiotti incartati individualmente.
 
 
Manifesto pubblicitario di una ditta produttrice di cacao (Privat-Livemont, 1899).
Daniel Peter, un fabbricante di candele svizzero, si unì al suocero (François-Louis Cailler, inventore della tavoletta di cioccolato) nella produzione del cioccolato. Nel 1867 cominciarono a includere il latte tra gli ingredienti e presentarono sul mercato il cioccolato al latte nel 1875. Per rimuovere l'acqua contenuta nel latte, consentendone una più lunga conservazione, fu assistito da un vicino, un fabbricante di alimenti per l'infanzia di nome Henri Nestlé.
 
Nel 1879 Rudolph Lindt infine inventò il processo chiamato concaggio (conching), che consiste nel mantenere a lungo rimescolato il cioccolato fuso per assicurarsi che la miscelazione sia omogenea.Il cioccolato prodotto con questo metodo è il cosiddetto "cioccolato fondente".[6] Il cacao è stato anche motivo di una continua lotta finanziaria tra i grandi esportatori (Africa e Brasile) e i mercati d'acquisto (Europa e USA).
 
L'iniziale artificioso rialzo dei prezzi provocò una forma di boicottaggio commerciale, soppresso dalle necessità della seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, vi fu una diminuzione del prodotto, determinato da malattie e dall'invecchiamento delle piantagioni, sintomo di una non oculata gestione delle stesse. Il valore commerciale della produzione americana (soprattutto Messico e Guatemala) è superiore a quello della produzione africana o di altri paesi. In Italia, la regione di Torino produce il 40% della produzione italiana per un volume di 85.000 tonnellate annuali.
 
Studi e ricerche sul cacao e sul cioccolato
 
Struttura di un isoflavonoide
Uno studio del 2003 promosso dell'Istituto Nazionale Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (Inran) di Roma, sostiene che il cioccolato fa bene al cuore. I risultati hanno rivelato che il fondente aumenta del 20% le concentrazioni di antiossidanti nel sangue, mentre quello al latte non ha alcun effetto; addirittura il fondente perde ogni effetto se accompagnato a un bicchiere di latte. Secondo i ricercatori il latte farebbe diminuire gli effetti positivi e cardioprotettivi in quanto cattura le epicatechine, flavonoidi presenti nel cacao che possiedono un elevato potere antiossidante.
 
Il cacao è l'alimento più ricco di teobromina, isomero della teofillina, che è un potente inibitore della fosfodiesterasi, come alcuni farmaci (enoximone, milrinone) usati in caso di insufficienza cardiaca acuta, sotto controllo medico perché su questi pazienti hanno una frequenza di aritmie cardiache.
 
Secondo Roberto Corti dell'Università di Zurigo il cioccolato fondente può ritardare l'indurimento delle arterie in coloro che fumano, limitando il rischio di malattie cardiache anche gravi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Heart".
 
Sono segnalate reazioni allergiche: allergia alimentare alla Fenilalanina contenuta nel cioccolato. Invece, in uno studio tedesco pubblicato dalla rivista dell'associazione americana dei medici, si sostiene che il cioccolato fondente avrebbe anche la capacità di ridurre la pressione del sangue, in particolare la pressione sistolica o "massima", per effetto dei polifenoli della cioccolata fondente, antiossidanti che sono alla base degli stessi effetti positivi sul cuore che ha il vino rosso, di cui il cioccolato conterrebbe una maggiore quantità.
 
Taluni studi correlano la feniletilammina contenuta nel cioccolato con la diminuzione del fenomeno della depressione.
 
Da quanto viene asserito da altri studi, inoltre, il cioccolato avrebbe un'influenza positiva sull'umore degli esseri umani e aumenta il desiderio sessuale, proprio come sosteneva Giacomo Casanova.
 
Da più parti arrivano le conferme che il cioccolato riduca anche i fattori di rischio cardiovascolare attraverso il suo alto contenuto di flavonoidi, ai quali è riconosciuto un elevato potere antiossidante
Gli studi normalmente considerano una quantità di cioccolato fondente dai 20 ai 50 g/die, pari a crica 230 kcal, dose consigliabile oltre la quale non sono rilevati uleriori benefici.
 
 

 



#96 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 09 marzo 2016 - 08:26

l piercing
 
220px-Person_with_mohawk_Stockholm_Pride
 
l piercing ha origini antiche o preistoriche. Lo scopo principale era quello di distinguere i ruoli assunti da ogni membro all'interno della tribù, al fine di regolare i rapporti tra i vari individui sia nel quotidiano che durante le cerimonie, rendendo immediatamente palese tutta una serie di informazioni sull'individuo e al suo rapporto con il gruppo di appartenenza.
 
Molte sono le "storie del piercing" che circolano su Internet riguardo alle presunte origini di ogni singolo tipo di piercing, in qualche caso si tratta di origini fantasiose, dovute all'immaginazione del solo Doug Malloy, pioniere del piercing moderno.
 
Orecchio
 
Bassorilievo trovato nei pressi di Palenque raffigurante una figura umana con un dilatatore al lobo dell'orecchio
La perforazione del lobo, o meno frequentemente della cartilagine, dell'orecchio è stata praticata fin da tempi antichi, in particolare nelle culture tribali. Sembra infatti che nelle tribù antiche, credendo che il metallo fermasse gli spiriti malvagi, perforassero le orecchie cosicché tali spiriti non potessero entrare nel corpo attraverso le orecchie.
 
La pratica della perforazione del lobo è stata riscontrata spesso in corpi mummificati, compresa la più antica mummia mai scoperta finora, la mummia del Similaun, ritrovata nel 1991 nel ghiacciaio di Similaun sulle Alpi Venoste. Ötzi, così è stata soprannominata la mummia, oltre a numerosi tatuaggi, aveva un foro all'orecchio di 7,11 mm di diametro.
 
La perforazione delle orecchie negli uomini è molto comune nelle culture tribali fino al giorno d'oggi. Ad esempio nel Borneo la perforazione delle orecchie viene fatta ai ragazzi come rito di passaggio: la madre perfora un orecchio e il padre perfora l'altro, ciò simboleggia la dipendenza del figlio dai suoi genitori.
 
Gli orecchini compaiono anche nella Bibbia, dove vengono indossati da entrambi i sessi. Nel Libro dell'Esodo 32, Aronne fonde gli orecchini per farne il vitello d'oro. Il Deuteronomio 15:12-17 dispone la perforazione dell'orecchio per lo schiavo che sceglie di non venire liberato.
 
Sotto parte dell'Impero Romano, gli orecchini erano molto più comuni tra gli uomini che tra le donne, essendo stato introdotto l'uso da Giulio Cesare.
 
Presso gli Aztechi i lobi delle orecchie venivano dilatati per piacere estetico o come segno di appartenenza a una determinata tribù.
 
In età elisabettiana l'orecchino era uno status symbol prettamente maschile, indossato da personaggi del calibro di Shakespeare, Sir Walter Raleigh, e Francis Drake.
 
I marinai di un tempo credevano che forare il lobo acuisse la vista, così da poter ottenere il posto di vedetta, che era fra i più ambiti. I marinai portavano orecchini d'oro, cosicché, se fossero morti in mare e il loro corpo fosse stato trascinato a riva dalla corrente, con essi si sarebbe potuta pagare una sepoltura cristiana: il loro spirito, altrimenti, avrebbe vagato inquieto per l'eternità[3]. Pare inoltre che i marinai che accettavano rapporti omosessuali comunicassero la loro disponibilità al resto della ciurma portando l'orecchino, a differenza di tutti gli altri, al lobo destro.
 
Naso
 
Nei Veda, i più antichi libri sacri indiani, si trova un riferimento ai lobi e al naso forati della dea Lakshmi.
 
Nel libro della Genesi 24:22, il servo di Abramo dona a Rebecca, moglie di Isacco, un gioiello per il naso d'oro del peso di circa mezzo siclo. Il termine ebraico Nezem, che appare in questo passaggio della Bibbia, significa "anello per il naso" nel moderno ebraico, ma nell'antico ebraico significa anche "orecchino", da alcuni passi successivi si capisce chiaramente che si tratta di un anello per il naso.
 
La perforazione della narice è comune tra le tribù nomadi del Medioriente fin dai tempi della Bibbia, ed è storicamente comune in India. Le donne indiane in età fertile, indossano un anello al naso, solitamente alla narice sinistra, poiché la narice è associata con gli organi riproduttivi femminili nella medicina ayurvedica.
 
Presso molte tribù di nativi americani la perforazione del setto nasale è un marchio dello status maschile. Ad esempio a questa usanza deve il proprio nome la tribù dei Nez Percé (letteralmente "Nasi Forati").
 
La pratica è comune anche tra i guerrieri delle tribù dell'Estremo Oriente e del Pacifico, poiché un osso nel naso conferisce un'apparenza aggressiva.
 
Aztechi e Incas indossavano un anello d'oro al setto nasale come ornamento, la pratica continua al giorno d'oggi presso gli indiani Cuna dell'isola di Panamá.
 
Uomini e donne Marubo, nel Brasile occidentale, hanno in uso la perforazione del setto nasale, facendovi passare attraverso alcune fila di perline. Ciò è considerato un mezzo per entrare in sintonia con la natura che li circonda.
 
Una differente forma di modificazione estetica è quella praticata dagli aborigeni australiani, che perforano il setto nasale con un lungo stecchetto così da appiattire il naso.
 
La tribù Bundi di Papua Nuova Guinea perforano il setto del naso come rito di passaggio all'età adulta da parte dei maschi.
 
L'unico luogo al mondo di cui storicamente si ha notizia che perforazione del setto nasale sia più diffusa tra le donne che tra gli uomini, è nell'area himalayana del Nord dell'India, del Nepal, del Tibet e del Bhutan. Alle donne in queste regioni viene spesso perforata la narice forata in giovane età, mentre il setto viene perforato durante il matrimonio a significare l'appartenenza al proprio sposo.
 
Labbro
 
Così come la dilatazione dei lobi delle orecchie, anche il piercing al labbro ha origine nelle culture tribali dell'Africa e dell'America.
 
Nelle culture precolombiane, la perforazione del labbro era considerato uno status symbol e solamente gli uomini di alto rango potevano indossarlo. Nel Sud America tale tipo di piercing viene chiamato Tembetá.
 
Presso gli Yanomami si usa perforare il labbro inferiore, inserendovi dei bastoncini. Ciò permette ai giovani innamorati di scambiarsi messaggi erotici velati.
 
La perforazione del labbro nelle culture tribali africane, invece, è un'esclusiva femminile e il significato della pratica cambia da tribù a tribù. Ad esempio presso la tribù Dogon del Mali un anello al labbro viene portato per questioni spirituali; nella tribù Saras-Djinjas del Ciad il labbro della donna viene forato con il matrimonio, così da rappresentare un simbolo di assoggettamento al marito. Infine presso la tribù Makololo del Malawi il labbro delle donne viene perforato per un puro motivo estetico: pochi uomini Makololo andrebbero con una donna che non porta tale tipo di ornamento, considerandola innaturale.
 
Lingua
Presso gli Aztechi e i Maya, era in uso la pratica della perforazione rituale della lingua: la lingua veniva perforata con una spina di pesce e vi veniva passata attraverso una corda, così da versare sangue e indurre uno stato alterato di coscienza. Tale pratica permetteva al sacerdote di comunicare con le divinità: ferire un organo con cui comunicare, era visto come il sacrificio necessario perché questa trasformazione avvenisse.
 
I fachiri e i sufi islamici del Medioriente e i medium dell'Estremo Oriente, praticano la perforazione della lingua così da offrire una prova del loro stato di trance.
 
La ragione per cui gli sciamani degli aborigeni australiani praticano la perforazione della lingua ha una ragione curativa: ciò serve a permetter loro di «succhiare con la loro lingua la magia malvagia dal corpo dei loro pazienti».
 
A partire dall'inizio del XX secolo molti imbonitori di spettacoli da baraccone, presero in prestito dai fachiri le loro pratiche di perforazione della lingua introducendo i primi barlumi di piercing alla lingua agli spettatori americani ed europei.
 
Capezzolo femminile
 
Isabella di Baviera
Hans Peter Duerr, nel suo libro Dreamtime, racconta come nel XIV secolo, presso la corte della regina Isabella di Baviera, fosse divenuta in uso la moda femminile della "grande scollatura": le scollature degli abiti si erano abbassate tanto da scoprire l'ombelico. I seni così esposti, venivano talvolta decorati, i capezzoli venivano colorati con del rossetto, ornati con anelli tempestati di diamanti o piccoli cappucci, e talvolta forati passandovi attraverso delle catenelle d'oro..
 
Sembra che anche tra le signore inglesi di tarda epoca vittoriana (attorno agli anni novanta del XIX secolo) fossero divenuti di moda i cosiddetti bosom rings ("anelli da seno"). La pratica di perforazione dei capezzoli con applicazione di anelli o catenelle, avrebbe avuto lo scopo di aumentare la forma degli stessi, come rimedio contro il capezzolo introflesso, ma anche per puro scopo erotico. La pratica sarebbe stata effettuata da alcuni gioiellieri. Pare che un gioielliere di Bond Street affermasse di aver forato i capezzoli di 40 signore londinesi. Nel medesimo periodo pare la pratica fosse diffusa anche a Parigi con il nome di anneaux de sein ("anelli da seno"). Altre fonti si spingono ad affermare che tra le signore vittoriane, ad avere i capezzoli forati, ci fosse anche Lady Randolph Churchill, la madre del primo ministro britannico Winston Churchill.
 
Alcuni documenti di fine Ottocento attesterebbero le pratiche sopra descritte, tuttavia l'autenticità e la credibilità di tali fonti sono discusse. Tanto Hans Peter Duerr nel suo Dreamtime, quanto Stephen Kern in Anatomy and Destiny, si basano su informazioni provenienti da pubblicazioni di Eduard Fuchs, sulle quali sono stati mossi dubbi di autorevolezza e affidabilità.
 
Maggiormente dubbie sembrano essere poi le affermazioni apparse in un articolo tratto da un giornale medico e che attesterebbero l'uso della perforazione del capezzolo femminile anche nella Francia del Seicento, presso la corte del re Luigi XIV di Francia, così come accaduto tre secoli prima alla corte della regina Isabella di Baviera, sarebbe infatti divenuta di moda una scollatura tanto ampia da esporre i capezzoli. La moda, una volta attraversata la Manica, avrebbe trovato emuli tra le nobili inglesi che si sarebbero spinte anche a forare i capezzoli inserendovi degli anelli d'oro come ornamento.
 
La stessa fonte riferisce che il piercing al capezzolo sarebbe stato in uso anche nell'Africa sahariana, presso le donne delle tribù berbere cabile (abitanti la regione algerina della Cabilia). La pratica non solo non ha alcun riscontro documentale, ma risulta al quanto improbabile, visto il tipo di materiali di cui dispongono tali tribù che renderebbe assai difficoltosa la guarigione di un simile tipo di piercing. Tali pratiche si possono quindi considerare a livello di leggenda.
 
Completamente priva di alcuna fonte documentale è invece l'origine che attribuirebbe la pratica di una forma di piercing al capezzolo alla regina Cleopatra. Alcune fonti affermano che la regina Cleopatra avrebbe avuto il capezzolo sinistro introflesso e che per guarire da questa malformazione sarebbe ricorsa ad una forma di piercing, forando il capezzolo e inserendovi uno o più sassolini. Ugualmente priva di alcun supporto documentale è la leggenda che afferma che la pratica sarebbe stata in uso presso le donne della Roma antica al fine di ingrandire e abbellire il seno.
 
Da diverse fotografie di donne tatuate provenienti dalla Kobel Collection, si evince come invece la pratica fosse in uso nella prima metà del XX secolo, prima dell'avvento del moderno piercing. Ethel Granger, riconosciuta nel Guinness dei primati come la donna con la vita più stretta, dato l'utilizzo di corsetti al fine di ridurre il giro vita, durante gli anni venti e trenta, con l'aiuto del marito medico, aveva forato lobi, narici, setto e capezzoli, e successivamente aveva allargato i fori con l'inserimento di anelli di maggiore spessore. Charlotte Hoyer, una mangiatrice di spade tedesca degli anni quaranta/cinquanta, aveva svariati piercing, oltre alla lingua, aveva forati entrambi i capezzoli, le piccole e grandi labbra della vulva. Kathy, una celebre spogliarellista inglese degli anni sessanta, aveva entrambi i capezzoli forati ornati con vistosi pendenti.
 
Capezzolo maschile
 
Marinai tatuati della nave statunitense New Jersey nel 1944
Al di là della leggenda, screditata, che affermava essere in uso il piercing ai capezzoli tra i centurioni romani al seguito di Cesare, la letteratura relativa a tale pratica negli uomini è molto più povera rispetto a quella che riguarda la pratica di tale piercing tra le donne.
 
Dati certi a tal proposito si hanno sugli uomini Karankawa, una popolazione di nativi americani estinta che abitava il golfo del Nuovo Messico, che usavano dipingersi il corpo, tatuarsi e perforare il labbro inferiore e i capezzoli con piccoli pezzi di canna.
 
La pratica è inoltre attestata tra i marinai del XX secolo come rito di passaggio al passare di una determinata linea (dell'equatore, dei tropici o la linea internazionale del cambio di data) e varie immagini di marinai tatuati lo confermerebbero. Era inoltre praticata dagli artisti delle fiere, i cosiddetti sideshow, fachiri e uomini tatuati. Tra di essi probabilmente il più celebre artista è Rasmus Nielsen, il cui spettacolo consisteva nel sollevare una incudine appesa ai suoi piercing ai capezzoli.
 
Genitali
 
Indigeni Dajaki del Borneo con bastone del pene (Ampallang)
La perforazione dei genitali, assieme a quella della fronte, era in uso presso la cultura centroamericana olmeca (1500 a.C. circa) e nelle successive culture da essa influenzate.
 
Genitali femminili
Le donne dell'isola di Truk usavano perforarsi le labbra vaginali per inserirvi oggetti che tintinnavano mentre camminavano[26].
 
Nella letteratura specialistica, viene fatto spesso riferimento alla pratica, in uso presso le donne indiane di perforarsi sia le piccole che le grandi labbra.
 
Genitali maschili
Nelle Filippine era in uso il "bastone del pene", e viene descritto fin dal 1590 nel Codice Boxer[26]. Probabilmente si tratta dello stesso ornamento in uso nel Borneo, presso i Daiachi, e in tutta l'Oceania, noto con il nome di ampallang. Si tratta di una barretta di metallo che viene inserita nel glande dopo averlo perforato. Tale pratica ha uno scopo rituale quanto erotico: un uomo Daiachi non può sposarsi né avere rapporti sessuali con una donna senza aver prima praticato questa forma di modificazione genitale. Per le donne Daiachi infatti tale tipo di piercing procura maggiori stimolazioni di un pene che ne è privo. Presso il Sarawak Museum di Kuching, nel Borneo si trova una ricca documentazione di questa pratica, che parrebbe prendere ispirazione dal pene del rinoceronte bicorno di Sumatra e del Borneo, dotato naturalmente di un osso diagonale nel membro. I portatori di ampallang del Borneo, rendono pubblico questo tipo di modificazione con un piccolo tatuaggio sulla spalla.
 
Nel Kāma Sūtra viene menzionato il piercing chiamato Apadravya, che attraversa il glande longitudinalmente e che può essere di diverso materiale: oro, argento, ferro, ottone, avorio, corno, latta, piombo. Talune fonti considerano però l'Apadravya menzionato nel trattato di erotismo indiano non un piercing, bensì un dildo, un giocattolo erotico a forma di pene, o degli anelli da indossare esteriormente, sul pene.
 
 
 
La leggenda di Doug Malloy
Richard Simonton, organista, tecnico audio e imprenditore, introdotto nella comunità hollywoodiana (tra i suoi amici Groucho Marx, Laurence Olivier e Harold Lloyd, oltre al musicista Aram Khachaturian), negli ultimi anni di vita divenne un sostenitore della scena legata alle modificazioni corporee.
 
Con lo pseudonimo di Doug Malloy, adottato per mantenere l'anonimato - la sua famiglia era infatti totalmente all'oscuro del suo coinvolgimento nelle comunità underground e nello sviluppo del moderno piercing - pubblicò il libro Diary of a Piercing Freak[28], successivamente ristampato con il titolo The Art of Pierced Penises and Decorative Tattoos.
 
Simonton era in contatto con personalità della scena legata al body piercing quali il tatuatore londinese Alan Oversby (anche conosciuto come Mr. Sebastian), Roland Loomis (anche conosciuto come Fakir Musafar) e Jim Ward. Con quest'ultimo diede vita a quello che chiamò T&P Group (contrazione di Tattooing and Piercing Group), una associazione di appassionati di tatuaggio e piercing, localizzata inizialmente a Los Angeles.
 
Simonton è autore di una suggestiva "storia del piercing" (Body & Genital Piercing in Brief) che, grazie alla sua pubblicazione su ReSearch 12: Modern Primitives nel 1989, è divenuta col tempo l'unica fonte accreditata per tutte le "storie del piercing" presenti in Internet e pubblicazioni del settore.
 
La "storia del piercing" di Doug Malloy/Richard Simonton è tuttavia in buona parte frutto della sua fantasia, non avendo alcun supporto documentale, ed è dimostrato essere parzialmente priva di alcun fondamento: a mettere in dubbio l'autenticità di parte di quella storia sono state le ricerche svolte da Jim Ward che ne ha appurato l'infondatezza.
 
Origini del piercing nate dalla fantasia di Doug Malloy e screditate da Jim Ward, sono:
 
Il piercing al capezzolo presso i centurioni romani: secondo Doug Malloy nell'Antica Roma di epoca imperiale, presso i centurioni sarebbe stato in uso forarsi i capezzoli applicandovi un anello al fine di assicurarvi la tunica, come segno di virilità e coraggio. Questa affermazione non è né vera né probabile e Jim Ward stesso riferisce che Simonton la trasse vedendo alcune corazze romane sulle quali erano applicati degli anelli su cui veniva effettivamente fissata la tunica.
Il piercing all'ombelico presso gli antichi egizi: secondo Doug Malloy presso gli antichi Egizi sarebbe stato in uso perforare l'ombelico delle donne nobili come segno di regalità.
Il piercing al pene denominato Prince Albert: secondo Doug Malloy il principe Alberto, consorte della Regina Vittoria, avrebbe indossato questo tipo di piercing al fine di tenere scoperto il glande ed evitare odori sgradevoli all'olfatto di sua maestà. Questo tipo di piercing sarebbe inoltre servito a tenere fermo il pene, fissandolo con una catenella alla chiusura laterale dei pantaloni ottocenteschi
 
Il piercing moderno
 
Ragazza con svariati piercing allo Stockholm Pride Festival del 2009
La rinascita del piercing moderno deve molto ai già citati Doug Malloy (Richard Simonton), Mr. Sebastian (Alan Oversby), Fakir Musafar (Roland Loomis) e Jim Ward. Si deve a loro l'impegno nella diffusione della pratica, nella realizzazione della gioielleria per piercing e nella definizione di metodi e tempi di guarigione per ogni singolo piercing.
 
Nel mondo occidentale, di fatto, la pratica ha iniziato a diffondersi in seno alla comunità del tatuaggio: spesso persone pesantemente tatuate hanno preso a forarsi anche lobi, narici, capezzoli e genitali. La pratica era inoltre inizialmente diffusa nei circoli BDSM, poiché parte dei rituali di tali pratiche erotiche, e nelle comunità gay leather statunitensi.
 
Successivamente il piercing ha iniziato ad essere praticato dalle sottoculture giovanili: tra i primi ad utilizzare la perforazione di lobi e narici, ci sono stati gli hippy, tra gli anni sessanta e settanta. A fine anni settanta, e negli anni ottanta, la pratica è poi divenuta di uso comune tra punk e goth. Tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta, infine, soprattutto nell'area industrial, si sono diffusi anche piercing più estremi e intimi, come ombelico, capezzoli e genitali. Negli ultimi due decenni il piercing è uscito via via dall'underground per divenire pratica comune anche tra i giovani e tra musicisti, modelle, attori. Sono oggi molto comuni piercing a lobi, sopracciglio, narici, labbro, lingua, ombelico. Meno comuni, ma anch'esse non sono più pratiche da considerarsi ristrette alle sole culture underground o agli attori del cinema porno, sono i piercing a capezzoli e genitali.
 
Un'altra pratica che si è ampiamente diffusa è quella chiamata stretching. Consiste nel dilatare il foro inserendo dilatatori di maggiori dimensioni. Tale pratica viene comunemente applicata al piercing al lobo, ma può essere adottata anche per labbra, naso, guancia e altri tipi di piercing. Esistono varie tipologie di dilatatori, i più utilizzati sono i tapers (coni), i plugs e tunnels.
 
Nella società contemporanea è relativamente comune tra i giovani l'utilizzo del piercing al labbro come rito di passaggio. In uno studio sui giovani israeliani risulta che:
 
 


#97 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 16 marzo 2016 - 07:20

Quando è nata la prostituzione

 

aspasiaalcibiades21.jpg

 

Con il termine prostituzione si indica l'attività di chi offre prestazioni sessuali dietro pagamento di un corrispettivo in denaro. L'attività, fornita da persone di qualsiasi genere e orientamento sessuale, può avere carattere autonomo, sottoposto, professionale, abituale o saltuario.
 
Strettamente legato alla prostituzione è il suo sfruttamento, o lenocinio, praticato per trarre profitto dall'attività di chi offre il servizio, da parte di persone che generalmente si presentano e s'impongono come protettori, o "lenoni", cioè intermediari e procacciatori di clienti. Inoltre vi sono altre figure legate al fenomeno della prostituzione per cui può configurarsi, al posto dello sfruttamento vero e proprio, il reato di favoreggiamento.
 
La prostituzione nel mondo è regolamentata giuridicamente in modo estremamente variegato: passando da società che contemplano una legalizzazione completa, ad altre che ne reprimono lo svolgimento per mezzo della pena di morte.

 

Zoccola

 

Il termine “zoccola” è indubbiamente sinonimo di “puttana”, con un differenza: la zoccola non è interessata unicamente ai soldi, come la puttana. Viene chiamata “zoccola” una femmina affamata di sesso, e di piacere sfrenato: ciò la rende, agli occhi dei benpensanti, ancora peggiore della puttana, che – magari spinta dal bisogno – si vende per denaro.
 
A Napoli, e nel Sud, la zoccola è  la femmina del topo:  dal latino “sorcula”, da sorex=topo. Prima espressione locale, oggi la parola zoccola (e la zoccola tout-court) sono uniformemente diffuse su tutto il territorio nazionale. 
 
Ma perché la femmina del topo dovrebbe essere una sessuomane? Perché  è  notoriamente assai prolifica. Il che lascia immaginare che il topo e la topa (la zoccola) si dedichino ad una sfrenata attività sessuale: e che la  zoccola se la faccia con tutti i topi che le capitano a tiro. 
 
La pesantezza e l’offensività di questo termine stanno  anche nel fatto che la zoccola vive nelle fogne, e si nutre di rifiuti. E’ quindi un essere spregevole.

 

Mignotta

 

Mignotta è un termine dispregiativo del dialetto romanesco stante ad indicare una persona che vende il proprio corpo o la propria dignità in cambio di denaro (in questo caso prostituta, meretrice, puttana) o di favori, oppure per entrare nelle grazie di qualcuno anche a discapito di altre persone. Ha quindi valore di più sinonimi
 
La valenza originaria pare essere quella di favorita (o cortigiana) e viene fatta derivare dal francese mignoter (carezzare) o mignon (favorito). Sebbene il termine sia di genere femminile, può essere reso anche al maschile con il sostantivo dispregiativo mignottone, ma sempre riferito a donne.
 
Secondo altre interpretazioni[3] invece l'origine del vocabolo risalirebbe ad una lettura sintetica dell'annotazione matris ignotae apposta sui registri anagrafici nei riguardi di neonati abbandonati: la nota aggiunta era anche frequentemente abbreviata in m. ignotae il che, letto in un'unica parola, portò ad indicare un certo tipo di donna disonorevole.
 
Ai piccoli veniva posto al braccio un braccialetto di stoffa con la dicitura filius m. ignotae che letto di seguito risultava filius mignotae, da cui deriverebbe il termine romanesco fijo de mignotta (appunto, figlio di madre ignota), poi reso nella lingua italiana con figlio di mignotta.
 
Altra ipotesi è che possa derivare dal latino "mihi ignota", ovvero "a me ignota", in quanto andare con una prostituta significa andare con una sconosciuta, ma tale opzione contraddirebbe l'assunto che mignotta non è sinonimo di prostituta, proprio perché al contrario di quest'ultima la mignotta non offre il suo corpo in cambio di denaro, ma per altri fini (piacere sessuale, ottenere favori, farsi mantenere, ecc.).

 

Puttana
 
Puttana non è una parola simpatica. Non è un vezzeggiativo, e non è un diminutivo: e nemmeno un termine per indorare la pillola (che spesso la puttana prende, per evitare gravidanze indesiderate). 
 
Le cose che vanno male, vanno tutte da lei: finiscono a puttane. 
 
Ma lei, la puttana, da dove viene? Come professione, è la più antica del mondo: come parola, viene dall’antica Roma. “Puta” (potatura) era una dea minore dell’agricoltura. E piuttosto potabili erano le sue sacerdotesse, che durante le feste dedicate al suo culto pare si dessero molto da fare. 
 
Secondo un’altra teoria,meno accreditata, puttana deriverebbe dal verbo “putare”: credere, ritenere. Quest’etimo avrebbe a che fare con i Greci, notoriamente molto acculturati: quando i romani conquistarono la Grecia, gli uomini, ridotti in schiavitù, furono messi a fare i precettori dei figli dei vincitori.  Le donne furono invece destinate ad altro: ma siccome, in quanto greche, erano molto più istruite delle donne romane, ignorantelle anziché no, venivano chiamate “putae”: pensatrici. 
 
In latino, peraltro, “puta” significa ragazza. Un termine che è rimasto nel veneto “putea”: bambina, ragazzina. Da putta, passando per il francese “poutaine”, si arriva finalmente all’italiano “puttana”.

 

Mesopotamia
Già nel XVIII secolo a.C., nell'antico regno di Babilonia è stato riconosciuta la necessità di tutelare i diritti di proprietà delle donne, tra cui quelli delle prostitute: tali disposizioni, che affrontano i diritti di eredità delle donne (riguardanti la dote per le figlie non sposate e i doni ricevuti dal padre), sono stati trovati nel Codice di Hammurabi.
 
Una delle prime forme di prostituzione presenti nel mondo antico è stata la cosiddetta prostituzione sacra, presumibilmente praticata già tra i Sumeri. Nelle fonti pervenuteci (Erodoto e Tucidide) vi sono varie tracce di prostituzione sacra; a Babilonia ogni donna doveva raggiungere, almeno una volta nella sua vita, il santuario di Militta dedicato alla Dea Anahita (o Nana, equivalente ad Afrodite) e qui avervi un rapporto sessuale con uno straniero, come pegno simbolico d'ospitalità.
 
In tutto l'antico Vicino Oriente, in Mesopotamia lungo il Tigri e l'Eufrate, v'erano molti santuari e templi o "case del cielo" (dedicati perlopiù alle divinità dell'amore) dove la prostituzione sacra era una pratica comune; ciò viene documentato dallo storico greco Erodoto nelle sue Storie; la prima prostituzione babilonese si svolgeva in spazi che erano centro d'attrazione per tutti i viaggiatori.
 
Un tale tradizione si è conclusa quando l'imperatore Costantino, nel IV secolo, fece abbattere i templi dedicati alle dee per sostituirli con chiese cristiane.
 
Informazioni bibliche
La prostituzione era comune anche nell'antico Israele, nonostante fosse tacitamente proibita dalla legge ebraica. Nella religione della terra di Canaan una parte significativa degli addetti alla prostituzione sacra all'interno dei templi era di sesso maschile; solitamente in onore della Dea Astarte era di uso comune anche in Sardegna e in alcune delle culture derivanti dai Fenici. Sotto l'influenza fenicia si è sviluppata in altri porti del Mar Mediterraneo, come Erice in Sicilia, Locri Epizefiri, Crotone, Rossano di Vaglio, e Sicca Veneria, fino a giungere all'Asia Minore, in Lydia, Siria e tra il popolo degli Etruschi.
 
La Sacra Bibbia contiene indicazioni al riguardo, fornendo rappresentazioni della prostituzione praticata nella società del tempo. Nel libro della Genesi al capitolo 38 viene narrata la storia di Giuda e Tamar: la prostituta esercita il proprio commercio ai bordi di una strada, in attesa dei viaggiatori di passaggio, coprendosi il volto (e ciò la segna come prostituta). Viene pagata in natura, chiedendo una capra in cambio; un prezzo piuttosto elevato in una società dedita quasi esclusivamente alla pastorizia, un costo che solamente i ricchi proprietari di numerose mandrie avrebbero potuto permettersi di pagare per un singolo incontro sessuale.
Se il viaggiatore non portava con sé il proprio bestiame, avrebbe dovuto dare alcuni oggetti di valore in deposito alla donna, fino a quando l'animale pattuito non le fosse stato consegnato.
 
Anche se in questa storia la donna non era una vera prostituta, bensì una vedova, ella aveva le sue buone ragioni per cercar d'ingannare Giuda (figlio di Giacobbe e suo suocero) e rimanere incinta di lui: Tamar riesce ad impersonare benissimo il ruolo ed il suo comportamento può esser considerato come quello reale effettivo che ci si sarebbe attesi da un'autentica prostituta nella società del tempo.
 
Un'altra storia biblica, più tarda, presente nel libro di Giobbe, narra di una prostituta di Gerico di nome Rahab la quale aiuta le spie israelite intrufolatesi in città, grazie alla sua conoscenza della situazione socio-culturale e militare datagli dalla popolarità che gode tra i nobili di alto rango: le spie, in cambio d'informazioni, le promettono di salvare la vita a lei e alla sua famiglia durante l'invasione militare che era stata pianificata. Un segno lasciato davanti alla casa avrebbe indicato ai soldati di non far irruzione; dopo la conquista della città la donna lasciò la professione, si convertì all'ebraismo e sposò un membro di spicco del popolo.
 
Nel libro dell'Apocalisse la grande meretrice di Babilonia è "Babilonia la Grande, madre delle prostitute e di tutte le abominazioni della Terra" (qui la parola prostituta può anche esser tradotta come persona dedita all'idolatria). Alcune antiche pergamene suggerisco che il significato del nome del luogo ove s'esercitava la prostituzione babilonese era simile alla parola ebraica che significa "libero"; ciò indicherebbe che i maschi avrebbero dovuto offrire loro stessi per poter riacquistare la libertà.
 
Antica Grecia
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Prostituzione nell'antica Grecia.
In Grecia sia le donne che i ragazzi potevano impegnarsi nell'arte della prostituzione. La parola greca per indicare la prostituta è "porné" (πόρνη), derivante dal verbo pernemi-vendere e con evidente evoluzione moderna: la parola pornografia è direttamente derivazione da porné.
 
Le prostitute, uniche donne indipendenti di quella società, potevano anche essere notevolmente influenti (vedi ad esempio l'etera Aspasia, l'amante di Pericle). Erano tenute ad indossare abiti che le distinguessero da tutte le altre donne e dovevano pagare le tasse dei loro proventi; alcune somiglianze sono state ritrovate con la figura giapponese dell'oiran le quali si ritrovavano in una posizione intermedia tra la comune prostituta e la cortigiana più raffinata (si veda anche l'indiana tawaif).
 
Alcune tra le prostitute greche, come ad esempio Lais, sono divenute celebri sia per la loro arte che per la notevole bellezza e fascino ch'emanavano; queste donne potevano addebitare somme enormi per i loro servizi. Fu Solone nel VI secolo a.C. ad istituire il primo bordello (oik'iskoi) dell'antica Atene e con i guadagni derivanti da questo business riuscì a far costruire un grande tempio dedicato ad Afrodite Pandemos (corrispondente a Qadesh), epiteto che descrive la dea come patrona dei piaceri sensuali, in opposizione all'Afrodite Urania o celeste; era invece severamente proibita l'induzione alla prostituzione.
 
Secondo quanto riporta Strabone esisteva, sia a Cipro che a Corinto, un tipo particolare di prostituzione religiosa che veniva praticata all'interno di templi contenenti più di mille donne (hierodules, Gr: ιερόδουλες). Ogni categoria specializzata assumeva un suo nome proprio; vi era quindi la chamaitypa'i o prostituta di strada, la perepatetikes che incontrava i clienti mentre passeggiava e poi se li portava in casa, la gephyrides che lavorava nei pressi dei ponti.
 
Nel V secolo Ateneo di Naucrati c'informa che il prezzo generalmente pattuito ammontava a un obolo, un sesto di dracma equivalente dello stipendio giornaliero d'un comune lavoratore; le rare immagini che descrivono l'attività sessuale mostrano che veniva eseguita su letti con coperte e cuscini, mentre i sedili posti nel triclinio di solito non avevano questa funzione.
 
Comune era anche la prostituzione maschile, solitamente praticata da ragazzi poco più che adolescenti, riflesso dell'usanza del tempo riguardante la pederastia; capitava anche che giovani maschi ridotti in stato di schiavitù finissero col lavorare all'interno di bordelli esclusivamente maschili (ciò accadde al discepolo di Socrate Fedone di Elide). Per quanto riguarda invece i ragazzi liberi, coloro che sceglievano di vendere i propri favori rischiavano di perdere per sempre i diritti politici una volta divenuti adulti.
 
Antica Roma
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Prostituzione nell'antica Roma.
La prostituzione nell'impero romano era legale, pubblica e diffusa. I cittadini romani di più alto status sociale erano liberi d'intrattenere rapporti sessuali sia con prostitute che con giovani maschi, senza per questo incorrere in alcuna disapprovazione di tipo morale; sempre a condizione che mantenessero il perfetto controllo e padronanza di sé, dimostrando moderazione nella frequenza del piacere sessuale. La letteratura latina, sia in poesia che in prova, viene a riferirsi spesso alla compagnia data dalle prostitute.
 
Le pratiche attuate sono documentate dalle disposizioni del diritto romano regolanti la prostituzione, oltre che da iscrizioni come i graffiti di Pompei. Fino al IV secolo i grandi bordelli di Roma, alcuni dei quali di proprietà statale, erano delle vere e proprie attrazioni turistiche.
 
Le prostitute avevano un loro ruolo speciale in diverse osservanze religiose, soprattutto quelle del mese di aprile, notoriamente dedicato alle gioie dell'amore e presieduto da Venere. Allo stesso tempo però erano considerate anche in maniera vergognosa, si trattava difatti per la maggior parte di schiave o ex-schiave; se invece erano di nascita libera finivano relegate al ruolo di infames, persone del tutto prive di posizione sociale e private della maggior parte delle protezioni accordate ai cittadini ai sensi del diritto romano.
La prostituzione riflette quindi gli atteggiamenti ambivalenti degli antichi romani nei confronti del piacere e della sessualità.
 
La prostituta registrata ufficialmente veniva chiamata meretrix (meretrice), mentre quelle non ufficiali rientravano tutte nell'ampia categoria delle prostibulae. Vi si trovano alcuni punti in comune con il sistema Greco ma col tempo, mano a mano che l'impero romano s'espandeva ampliando i propri confini, le prostitute erano spesso di origine straniera catturate nel corso delle guerre e ridotte in stato di schiavitù o abbandonate a loro stesse: i bambini e le bambine abbandonate finivano quasi sempre con l'entrare nel giro della prostituzione.
 
Diventare delle schiave che esercitano la prostituzione è stato talvolta utilizzato anche come pena assegnata a donne libere macchiatesi di crimini particolarmente gravi. Infine tutti gli schiavi, femmine e maschi, potevano essere venduti ed acquistati in privato con l'esplicito scopo di usarli sessualmente.
 
Medioevo
Il Gesù descritto nei Vangeli ha un atteggiamento molto personale nei confronti delle prostitute, non solo le tratta gentilmente ma fa di loro addirittura un esempio di fede: "In verità vi dico, i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli" (Matteo 21.31). Nel cristianesimo delle origini la prostituta è colpevole di un grave errore morale, ma può essere salvata dalla fede: "... neanche io ti condanno. Va e non peccare più. La tua fede ti ha salvata."
 
Durante il Medioevo, la prostituzione si poteva comunemente ritrovare nei contesti urbani. Anche se tutte le forme di attività sessuale al di fuori del matrimonio sono stati considerati come peccaminoso dalla Chiesa Cattolica Romana, la prostituzione era di fatto tollerata (seppur in maniera riluttante) perché si riteneva evitasse mali maggiori come lo stupro, la sodomia e la masturbazione; nonostante ciò erano molti i canonisti che premevano ed esortavano le prostitute a convertirsi e cambiare vita.
 
Molti governi cittadini stabilirono che le prostitute non dovessero esercitare il loro mestiere all'interno delle mura cittadine, ma solamente al di fuori della giurisdizione comunale; in varie regioni francesi e tedesche si adibirono certe strade come aree in cui la prostituzione era consentita. A Londra i bordelli di Southwark erano di proprietà del vescovo di Winchester.
 
In seguito divenne pratica comune nelle grandi città dell'Europa del Sud di istituire bordelli sotto il controllo delle autorità, vietando al contempo qualsiasi forma di prostituzione svolta al di fuori di tali locali; l'atteggiamento a cui ci si atteneva maggiormente in gran parte dell'Europa del nord era invece quello del laissez faire. La prostituzione trovò infine un mercato molto fruttuoso durante tutto il periodo delle Crociate
 
Asia
Nel mondo musulmano
Nel VII secolo il profeta islamico Maometto dichiarò la prostituzione vietata in ogni caso, considerandola un grave peccato (Sahih al-Bukhari). Ma nonostante questo la schiavitù sessuale è molto comune durante la tratta araba degli schiavi, durante tutta l'epoca medioevale e prima dell'età moderna, in cui donne e ragazze africane, caucasiche, dell'Asia centrale ed europee sono state catturate e costrette a servire come concubine all'interno degli harem dei signori arabi. Ibn Battuta dice più volte d'aver acquistato delle schiave-concubine.
 
Secondo i musulmani sciiti il profeta sancì l'istituto del matrimonio a tempo determinato, chiamato mut'a in Iraq e sigheh in Iran, ma ciò è stato invece utilizzato spesso come copertura per legittimare le lavoratrici del sesso in una cultura in cui la prostituzione è altrimenti severamente proibita in quanto peccaminosa[24]. I sunniti, che costituiscono la maggioranza dei musulmani in tutto il mondo, ritengono che la pratica del matrimonio temporaneo sia stata abrogata ed infine vietata da uno dei successori del profeta, Umar.
 
In India
Il termine devadasi descrive originariamente una pratica religiosa induista in cui giovani donne venivano fatte "sposare" alla divinità a cui erano state dedicate (deva o devi). Oltre a prendersi cura del tempio e ad eseguire in maniera corretta tutti i rituali imparati delle varie arti classiche tradizionali (Bharatanatyam), esse godevano di un elevato status sociale.
La loro popolarità sembra aver raggiunto il suo apice durante il X-XI secolo e la loro ascesa e caduta è stata parallela a quella dei grandi templi indù del subcontinente indiano prima della conquista musulmana di tutto il nord; a causa della distruzione dei templi durante l'invasione musulmana scomparve anche la figura della devadasi. Con l'impoverimento dei templi e la perdita dei loro re protettori molte di queste donne furono costrette ad una vita di miseria e prostituzione.
 
In Giappone
A partire dal'400 un numero sempre maggiore di visitatori cinesi, coreani e di altri paesi estremo orientali iniziarono a frequentare i bordelli in Giappone; questa pratica continuò anche con i commercianti occidentali.
 
Nei primi anni del XVII secolo vi era una diffusa prostituzione femminile, ma anche maschile, in varie città del Giappone tra cui Kyoto, Edo e Osaka: le oiran erano le cortigiane del periodo Edo. Le Taiwaf erano invece le cortigiane che esercitavano per la nobiltà dell'Asia meridionale, in particolare durante l'era del periodo Moghul; queste sapevano cantare, ballare e recitare poesie oltre che intrattenere al meglio i loro pretendenti.
 
Come la geisha nella tradizione giapponese, lo scopo principale della taiwaf era quello di intrattenere i propri ospiti con professionalità, mentre il sesso era spesso occasionale, e non assicurato contrattualmente. Di alta classe, le più popolari e richieste potevano spesso scegliere tra il meglio dei loro "clienti". Hanno infine contribuito alla crescita e allo sviluppo della musica, della danza e del teatro, ma anche della tradizione letteraria Urdu.
 
Mesoamerica
Tra gli Aztechi il nome dato a tutti quegli edifici controllati dallo stato, in cui la prostituzione era consentita dalle autorità politico-religiose, è quello di Cihuacalli: una parola nahuati che significa "Casa delle donne". Si trattava di un luogo chiuso composto da varie camere, disposte tutte attorno ad un patio centrale; al centro del cortile vi era la statua di Tlazolteotl, la dea della sessualità.
 
Le autorità religiose imponevano che le donne che avessero voluto lavorare come prostitute, avrebbero dovuto farlo solo all'interno di tali locali custoditi dalla divinità la quale aveva, tra gli altri, anche il potere d'incitare l'attività sessuale ed allo stesso tempo fare pulizia spirituale di tali atti.
 
Vi sono storie che si riferiscono anche a certi luoghi, sia all'interno della Cihuacalli o all'esterno, dove le donne dovevano eseguire una speciale danza erotica di fronte ai maschi. Il poeta Tlaltecatzin di Tenochtitlan del XIV secolo aveva però notato che alcune di queste "donne allegre" si esibivano in danze erotiche anche in certi case al di fuori della zona assegnata a loro.
 
XVI-XVII secolo
Entro la fine del XV secolo gli atteggiamenti sociali nei confronti della prostituzione avevano cominciato ad indurirsi. Un focolaio di sifilide scoppiato a Napoli nel 1494 e che si diffuse poi velocemente in tutto il continente europeo porrebbe aver avuto origine da uno scambio colombiano; ma anche la prevalenza di altre malattie sessualmente trasmissibili del secolo successivo possono esser state causate proprio da questo cambiamento d'atteggiamento.
 
All'inizio del '500 emerse con forza l'associazione tra prostitute e contagio da peste, provocando la messa al bando di bordelli e pratica della prostituzione da parte dell'autorità secolare; inoltre la loro proibizione a termini di legge fu utilizzata anche per rafforzare il sistema del diritto penale dell'epoca.
 
Il diritto canonico definisce una prostituta essere "una donna promiscua, a prescindere da elementi finanziari". La prostituta, considerata "una puttana a disposizione della brama di molti uomini" è stata così sempre più strettamente associata con la promiscuità di per sé.
 
La posizione ecclesiastica nei riguardi delle prostituzione era triplice: "l'accettazione della prostituzione come un fatto sociale inevitabile, la condanna di coloro che traggono profitto da questo commercio, e l'incoraggiamento rivolto alla prostituta di ravvedersi". La Chiesa è stata costretta a riconoscere la propria incapacità d'eliminare la prostituzione dalla società mondana e nel XIV secolo "ha cominciato a tollerare la prostituzione come un male minore."
 
Tuttavia le prostitute dovevano essere escluse dalla comunità cristiana fino a quando non avessero smesso d'esercitare[36]. Intorno al XII secolo cominciò a prendere piede l'idea della prostituta redenta e divenuta così santa, questo soprattutto attraverso la figura di Maria Maddalena, una delle sante più popolari dell'epoca; si utilizzò la storia biblica della Maddalena - vista come prostituta convertita a seguito del suo incontro con Gesù - per incoraggiare l prostitute a pentirsi
 
Allo stesso tempo vennero istituite delle case religiose con lo scopo di fornire asilo ed assistenza alle "maddalene": le case delle maddalene erano particolarmente popolari e raggiunsero il loro picco nei primi decenni del '300[38][39]. Nel corso del Medioevo vari pontefici e comunità religiose fecero diversi tentativi per rimuovere la prostituzione dalla società o riformarne l'istituzione, con successo variabile nel tempo.
 
Con l'avvento della riforma protestante, un numero sempre maggiore di città tedesche chiusero i bordelli nel tentativo di sradicare il fenomeno della prostituzione. In alcuni periodi, le prostitute dovevano distinguersi da segni particolari, a volte tenendo i capelli molto corti o addirittura completamente rasati o indossare un velo che ne coprisse tutto il volto tranne gli occhi; i codici penali regolavano anche il crimine dato da una prostituta che dissimulasse la propria professione. Infine, inalcune culture, le prostitute erano le sole donne che avevano il permesso di cantare in pubblico o di partecipare come atrici agli spettacoli teatrali.
 
XVIII secolo
Secondo l'autore derviscio Ismail Agha, in "Dellâkname-i Dilküşâ", l'Hammam o bagno turco della tradizione inerente all'impero ottomano aveva come massaggiatori - gli addetti a lavare e strofinare i corpi dei clienti - giovani maschi i quali potevano spesso indulgere in attività di prostituzione: i testi descrivono chi fossero, i prezzi da loro praticati, il numero di volte che potevano procurare un orgasmo ai clienti e i dettagli delle loro pratiche sessuali.
 
Nel XVIII secolo, presumibilmente a Venezia, le prostitute iniziarono a far uso di preservativi realizzati con intestino di mucca ricucito.
 
Durante il periodo della Compagnia britannica delle Indie orientali nella società Raj (tra la fine del '700 e l'inizio dell'800) era inizialmente abbastanza comune per i soldati inglesi frequentare le prostitute indiane, visitate in qualità di ballerine-naucht. Ma dal momento in cui le donne britanniche cominciarono a giungere in India in gran numero, durante la prima metà dell'800, divenne sempre più raro per i militari europei far uso di prostitute locali, fino a quando con gli eventi relativi ai moti indiani del 1857 il meticciato venne radicalmente disprezzato.
 
XIX secolo
Molte delle donne che posavano per l'arte erotica di questo periodo erano prostitute
 
XX secolo
I principali teorici del comunismo sono stati degli strenui oppositori della prostituzione: Karl Marx considerava la sua abolizione come necessaria per superare il capitalismo, Friedrich Engels considerava anche il matrimonio una forma di prostituzione, mentre Vladimir Lenin considerava il lavoro sessuale come estremamente sgradevole. I governi comunisti, nei paesi in cui assunsero il potere, hanno spesso preso provvedimenti nel tentativo di reprimere la prostituzione, senza però mai riuscirvi completamente in quanto la pratica continuava in ogni caso a persistere.
Nei paesi che sono rimasti nominalmente comunisti anche dopo la fine della Guerra Fredda, in particolare nella Repubblica popolare cinese, la prostituzione resta illegale, ma è comunque comune. In molti dei paesi ex-comunisti infine, proprio la depressione economica causata dal crollo dell'Unione Sovietica ha portato ad un aumento considerevole della prostituzione.
 
Il turismo sessuale emerge nel tardo XX secolo come uno degli aspetti più controversi del turismo occidentale a seguito della sempre maggior globalizzazione; tipicamente intrapreso a livello internazionale da turisti provenienti dai paesi più ricchi del mondo, l'autore e storico norvegese Nils Ringdal ha affermato che tre uomini su quattro di età compresa tra 20 e 50 anni che hanno visitato l'Asia e l'Africa hanno pagato per il sesso.
 
Un nuovo tipo di approccio giuridico alla prostituzione è emerso alla fine del '900 e cioè il divieto di acquisto, ma non la vendita di servizi sessuali, con solo il cliente ad essere criminalizzato, non la prostituta. Tali leggi sono state emanate in Svezia (1999), Norvegia (2009), Islanda (2009), e sono anche presi in considerazione in altre giurisdizioni.
 
XXI secolo[modifica 
In Afghanistan sembra rivivere un metodo di prostituzione che coinvolge giovani maschi adolescenti, conosciuta come Bacha Bazi.

 

Grecia classica
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Prostituzione nell'antica Grecia.
 
Un uomo cerca di sollecitare un giovane ad un rapporto sessuale in cambio di una borsa di monete. Vaso greco del V sec. A.C. conservato al Metropolitan Museum
 
Cliente e prostituta, da una oinochoe a figure rosse
Nella società greca antica esisteva sia la prostituzione femminile che quella maschile. Le prostitute, che vestivano con abito distintivo e pagavano le tasse, potevano essere indipendenti ed erano donne influenti; la prostituta colta e di alto ceto era definita etera. Solone istituì il primo bordello ad Atene nel VI secolo a.C. A Cipro e Corinto, secondo Strabone, era praticata una sorta di prostituzione religiosa in templi con decine di prostitute. Le prostitute femminili erano divise in diversi gradi, tra cui si ricordano le etere e le pornai.
 
La prostituzione maschile era molto comune in Grecia. Era spesso praticata da adolescenti, come riflesso della pederastia greca. Giovani schiavi lavoravano nei bordelli di Atene, mentre un adolescente libero che vendesse i propri favori rischiava di perdere i diritti sociali e politici una volta divenuto adulto.
 
Antica Roma
Il diritto romano regolava con diverse leggi la prostituzione che era praticata nei lupanari, edifici siti fuori dalle città aperti soltanto nelle ore notturne. Le prostitute o meretrici generalmente erano schiave o appartenevano ai ceti più bassi.
 
Medioevo
La prostituzione era comune, e sovente tollerata, nel Medioevo nei contesti urbani. Gli statuti di molte città regolavano la prostituzione. Era, ad esempio, spesso vietata vicino alle mura della città o nelle aree prossime agli edifici di rappresentanza.
 
Italia
 
Una prostituta a Torino
È con un decreto del 1859, voluto da Camillo Benso, conte di Cavour per favorire l'esercito francese che appoggiava i piemontesi contro l'Austria, che si autorizza l'apertura di case controllate dallo Stato per l'esercizio della prostituzione in Lombardia. Il 15 febbraio 1860 il decreto fu trasformato in legge con l'emanazione del "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione".
 
Nascono le cosiddette "case di tolleranza", perché tollerate dallo Stato. Ne esistono di tre categorie: prima, seconda e terza. La legge fissava le tariffe, dalle 5 lire per le case di lusso alle 2 lire per quelle popolari, e altre norme come la necessità di una licenza per aprire una casa e di pagare le tasse per i tenutari, controlli medici da effettuare sulle prostitute per contenere le malattie veneree.
 
 
Un affresco rinvenuto in un lupanare - antesignano delle case di tolleranza - negli scavi archeologici di Pompei. Il fenomeno della prostituzione era già diffuso ai tempi dell'Antica Roma
In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una reale patente per l'apertura di un lupanare pubblico; e anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato Pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra d'indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone.
 
Con l'unità d'Italia, una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione.
 
Ancora, il testo definitivo della legge Crispi, approvato il 29 marzo 1888 vietava di vendere cibo e bevande, e feste, balli e canti all'interno delle case di tolleranza e l'apertura di case in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole. Le persiane sarebbero dovute restare sempre chiuse. Da qui i bordelli presero il nome di "case chiuse". Giovanni Nicotera, ministro degli Interni, nel 1891, deciderà di ridurre le tariffe per limitare la prostituzione libera, che non subiva il controllo sanitario.
 
Nel 1900 si leva qualche voce per la chiusura delle case di tolleranza a seguito dell'attentato dell'anarchico Gaetano Bresci a re Umberto I. Bresci avrebbe trascorso alcuni giorni a meditare in un bordello prima dell'attentato, ma le minacce di chiusura pronunciate dal Presidente del Consiglio Saracco rientrano. Sarà Filippo Turati, nel 1919 a riaprire la querelle, ma per tutto il fascismo non si registrarono variazioni di merito nella legislazione sulla prostituzione se non una disposizione di Benito Mussolini degli anni trenta che imponeva ai tenutari di isolare le case con muri detti "del pudore" alti almeno dieci metri.
 
Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice trattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che una prestazione basilare doveva durare venti minuti. Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte a esami medici obbligatori. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita.
 
Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l'opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali.
 
Il 20 settembre 1958, a seguito di un lungo dibattito nel Paese, è stato introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione e le case di tolleranza sono state chiuse con la cosiddetta legge Merlin di Angelina Merlin del Partito Socialista. La legge punisce lo sfruttamento della prostituzione o lenocinio. La legge equipara il favoreggiamento allo sfruttamento: infatti punisce "chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui".
 
Si stima che oggi la prostituzione generi in Italia un notevole indotto (50.000 prostitute coinvolte, 9 milioni di clienti, 19-25 miliardi di euro il giro d'affari stimato) sottratto all'imposizione fiscale.
 
Nonostante il dibattito politico si sia riacceso a partire dagli anni 2000, non vi è attualmente alcuna regolamentazione legale del fenomeno, malgrado diversi tentativi di modificare la legge. Nel 2003 un disegno di legge di Umberto Bossi e Stefania Prestigiacomo varato dal Consiglio dei ministri vietava la prostituzione nelle strade, ma la ammetteva nelle case private e al chiuso e non avrebbe ripristinato le case di tolleranza. Nella Legislatura passata, l'8 febbraio 2007, l'onorevole Franco Grillini ha presentato una proposta di legge[3], tesa a disciplinare l'esercizio della prostituzione e ad affermare la dignità e il diritto alla sicurezza e salute delle persone che si prostituiscono.
 
Origine ed utilizzo del termine
 
"Est-ce qu'elle vous plaît ?", illustrazione di Hermann Vogel per L'Assiette au Beurre
La parola "prostituzione" deriva dal verbo latino prostituĕre (pro, "davanti", e statuere, "porre"), e indica la situazione della persona (in genere schiava) che non "si" prostituisce, ma che, come una merce, viene "posta (in vendita) davanti" alla bottega del suo padrone. Questa origine richiama quindi la condizione storicamente più abituale della prostituta, la quale non esercita autonomamente la sua professione, ma vi è in qualche modo indotta da soggetti che ne sfruttano il lavoro traendone un proprio guadagno (cosiddetti "protettori").
 
L'uso del termine non è univoco e a seconda del Paese, del periodo storico o del contesto socio-culturale può includere qualsiasi atto sessuale e qualsiasi tipo di compenso (anche non in denaro) o indicare coloro che svolgono atti sessuali fuori dal matrimonio, o uno stile di vita simile a coloro che offrono le prestazioni o chi intrattiene atti sessuali disapprovati. Può indicare anche un comportamento zelante più del dovuto nei confronti di un superiore, finalizzato all'ottenimento di gratifiche lavorative o economiche.
 
Niccolò Tommaseo fissò una distinzione fra meretrice e prostituta: la prima guadagna del corpo suo e qui l'illustre linguista richiama il termine latino mereo mentre prostituta è legata a prostat cioè colei che per guadagno o per libidine, si mette in mostra, e provoca a sozzure.
Tipico di Tommaseo è il legare gli esiti di una fine e rigorosa indagine filologica a personali giudizi di merito e morali i quali gli fanno aggiungere:
 
« [La prostituta] è più comune, più venale. Taide meretrice, Messalina prostituta. Ogni abbracciamento venale è meretricio, prostituzione non è. »
Egli inoltre affermò
 
« Le meretrici di caro prezzo non sono prostitute; le prostitute da' genitori o dai mariti, che nulla guadagnan per sé non meritano l'altro nome [meretrici]. »
A rafforzare la distinzione fra prostituta e meretrice egli richiama un'evidenza storica:
 
« Le prostitute nei templi pagani per atto di devozione, meretrici non erano; e si credevano far opera meritoria. »
(Niccolò Tommaseo. Nuovo dizionario de' sinonimi della lingua italiana, Napoli, Bideri, 1905).
 
 


#98 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 23 marzo 2016 - 04:16

I cyborg

 

cyborg.jpg

 

I cyborg esistono davvero, ecco i 7 robot umani più famosi
 
 
I cyborg non sono più roba da fantascienza, esistono davvero. Non ci credete? Ecco i sette cyborg realmente esistenti, persone che intenzionalmente sono volute diventare degli “uomini-robot”.
 
1. Neil Harbisson
 
L'artista Neil Harbisson è nato con l'acromatopsia (o daltonismo estremo), perciò poteva vedere solo in bianco e nero. Oggi, invece, riesce a vedere anche i colori che vanno oltre la normale percezione umana. Ciò è possibile perché ad Harbisson è stato impiantato un “eyeborg”, un occhio elettronico che fa percepire i colori come i suoni della scala musicale. In altre parole questo occhio bionico permette di "sentire" il colore. Harbisson si è adattato all'eyeborg a tal punto che il suo cervello ha formato dei nuovi percorsi neurali, che gli permettono di sviluppare un tipo avanzato di percezione. “All'inizio - ha spiegato Harbisson - ho dovuto imparare a memoria i nomi di tutti i colori e le note, e dopo qualche tempo tutte queste informazioni sono diventate una percezione. Quando ho iniziato a sognare a colori, ho sentito come se il mio cervello ed il software si fossero uniti in una cosa sola".
 
2. Kevin Warwick
Kevin Warwick, professore di cibernetica all'Università inglese di Reading, prende molto seriamente il suo lavoro. Così seriamente che è diventato un tutt'uno con esso. Warwick è il fondatore del “Project Cyborg”: utilizzando sé stesso come cavia, il suo obiettivo è diventare il cyborg più completo al mondo. Warwick sta sperimentando diversi impianti elettronici dal 1998, quando installò un microchip nel suo braccio che gli ha permesso di azionare porte, luci, termosifoni ed altri computer in remoto, semplicemente muovendosi da una stanza all'altra.
 
3. Jesse Sullivan
Uno dei campi d'applicazione più utili della tecnologia Cyborg è rappresentato dalle persone amputate, come Jesse Sullivan. La donna è diventata uno dei primi cyborg al mondo quando le venne impiantato un arto bionico, collegato tramite un innesto nervo-muscolo. Non solo Sullivan può controllare il suo braccio artificiale con la mente, ma può anche sentire caldo, freddo e con quanta forza sta afferrando un oggetto.
 
4. Jens Naumann
Dopo un paio di bruttissimi incidenti, Jens Naumann divenne cieco ad entrambi gli occhi. Ciononostante non ha mai perso la speranza che un giorno avrebbe riacquistato la vista. Il suo sogno divenne realtà nel 2002, quando Naumann divenne il primo uomo al mondo ad essere dotato di un sistema di visione artificiale. Il suo occhio elettronico è collegato direttamente alla sua corteccia visiva attraverso degli impianti cerebrali. A differenza di altri impianti cibernetici, che traducono le informazioni visive in un senso diverso (come l'udito o il tatto), Naumann riesce effettivamente a"vedere" il mondo. Anche se ci sono dei limiti (può vedere solo vagamente le linee e le forme), la sua visione tecnicamente è stata ripristinata. In chiave futura possiamo ipotizzare dei sistemi di visione artificiale che consentiranno agli utenti di vedere anche oltre la normale percezione umana.
 
5. Nigel Ackland
Dopo aver perso parte del suo braccio in un incidente sul lavoro, Nigel Ackland ora ha una protesi che ricorda molto il braccio robotico di Terminator. Ackland controlla il braccio artificiale con i movimenti dei muscoli della parte restante del suo avambraccio. L'ampiezza dei movimenti che può compiere è davvero straordinaria: può muovere indipendentemente tutte le cinque dita per afferrare oggetti delicati e versare un liquido in un bicchiere.
 
6. Jerry Jalava
Jerry Jalava è l'esempio perfetto di come non ci sia bisogno di essere un genio della robotica per diventare un cyborg. Dopo aver perso un dito in un incidente motociclistico, Jalava ha deciso di incorporare una porta USB da 2GB nella sua protesi. Anche se non carica le informazioni direttamente nel suo sistema nervoso, di sicuro è più utile di un portachiavi USB.
 
7. Claudia Mitchell
Claudia Mitchell, grazie al suo braccio bionico, è diventata la prima donna-cyborg. Il suo braccio è simile a quello di Jesse Sullivan: è collegato al suo sistema nervoso, e ciò le consente di controllarlo con la mente. L'ampiezza dei movimenti è davvero notevole: Claudia infatti può utilizzarlo per “cucinare, per tenere il cesto della biancheria, per piegare i vestiti e per tutte le altre attività quotidiane".
 
8. rosa cyborg
 
 
Il primo cyborg vivente al mondo: è la rosa-cyborg
 
 
Scoperta sensazionale nei laboratori dell’Università di Linköping in Svezia. Secondo quanto pubblicato sul giornale Science Advances, il team guidato dal professor Magnus Berggren ha sviluppato un progetto in grado di gestire la crescita delle rose vive installando circuiti elettrici all’interno loro sistema linfatico. Qualcosa di simile a quello che qualcuno ha già definito come rose-cyborg.
I ricercatori svedesi vedono molte applicazioni pratiche al loro studio come il controllo e la regolazione della crescita delle piante, ma la potenzialità maggiore, ancora tutta da sviluppare e verificare, è quella di poter attingere dalla fotosintesi i segreti per ottenere un nuovo modo di generare energia, aprendo una nuova era nello studio di ciò che accade all’interno delle piante.
Lo studio, che è costato due anni di ricerca e sviluppo, è stato effettuato su piante vive e piante recise, in particolare rose, e gli studiosi sono riusciti a trovare il metodo per modificare a piacimento il colore delle foglie del fiore applicando corrente elettrica al sistema.
Ove Nilsson, professore all’Università di Umeå e co-autore dell’articolo scientifico: “Fino a qualche tempo fa non avevamo gli strumenti adatti per misurare la concentrazione delle varie molecole all’interno delle piante vive, ma ora siamo in grado di influenzare la loro presenza interna per regolare la loro crescita e sviluppo.”
I ricercatori hanno introdotto all’interno di un rosa un polimero sciolto nell’acqua. Tagliato lo stelo del fiore e imbevuto nella soluzione acquosa hanno aspettato che venisse assorbito dallo xilema, il canale interno allo stelo che trasporta l’acqua alle foglie. Dopo aver tentato invano con varie combinazioni, che a turno o avvelenavano la pianta o ostruivano lo xilema o entrambe le cose, hanno trovato il polimero corretto: PEDOT-S: in soluzione H. Questo viene assorbito immediatamente dalle rose recise tramite il gambo e un pò più lentamente da quelle vive attraverso le radici. Il polimero crea una pellicola sottilissima all’interno dello xilema, formando un “filo”, lungo anche 10 cm, che gli studiosi hanno utilizzato come transistor. La cosa sorprendente e positiva è che tutto questo non ha minimamente intaccato la funzione principale dello xilema, cioè assorbire e trasportare acqua e nutrienti verso le foglie.
Il team di scienziati ha poi inserito nelle foglie una variante di PEDOT insieme con una nanocellulosa. Questa ha formato una struttura 3D molto simile a una piccola spugna  i cui pori si sono riempiti con il polimero. Si sono così create delle celle elettrochimiche, alimentate dagli elettroliti presenti nel liquido delle foglie. Come viene applicata della corrente elettrica, il colore della foglia cambia.
“Ora possiamo iniziare a parlare del potere delle piante, inserendo sensori nelle piante e utilizzare l’energia della clorofilla per produrre antenne green in nuovi materiali. Tutto avverrebbe naturalmente utilizzando il sistema unico e davvero avanzato proprio delle piante”.
 
 
 


#99 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 30 marzo 2016 - 07:15

Magnete
 
220px-Bar_magnet.jpg
 
Barretta magnetica
 
Limature di ferro orientate secondo le linee del campo magnetico generato da una barra.
Un magnete (o calamita) è un corpo che genera un campo magnetico. Il nome deriva dal greco μαγνήτης λίθος (magnétes líthos), cioè "pietra di Magnesia", dal nome di una località dell'Asia Minore, nota sin dall'antichità per gli ingenti depositi di magnetite. Un campo magnetico è invisibile all'occhio umano, ma i suoi effetti sono ben noti: sposta materiali ferromagnetici come il ferro e fa attrarre o respingere due magneti.
 
Un magnete permanente è formato da un materiale che è stato magnetizzato e crea un proprio campo magnetico. I materiali che possono essere magnetizzati sono anche quelli fortemente attratti da una calamita, e sono chiamati ferromagnetici (o ferrimagnetici); questi includono ferro, nichel, cobalto, alcune leghe di terre rare e alcuni minerali naturali come la magnetite. Anche se i materiali ferromagnetici (e ferrimagnetici) sono gli unici attratti da una calamita così intensamente da essere comunemente considerati "magnetici", tutte le sostanze rispondono debolmente ad un campo magnetico, attraverso uno dei numerosi tipi di magnetismo.
 
I materiali ferromagnetici possono essere suddivisi in materiali magneticamente "morbidi" (come ad esempio il ferro ricotto), che possono essere magnetizzati ma che tendono a non rimanere in tale stato, e materiali magneticamente "duri", che invece rimangono magnetici. I magneti permanenti sono costituiti da materiali ferromagnetici "duri" sottoposti durante la loro produzione ad un trattamento speciale in un potente campo magnetico, che allinea la loro struttura microcristallina interna e li rende molto difficili da smagnetizzare. Per smagnetizzare un magnete di questo tipo, infatti, deve essere applicato un certo campo magnetico la cui intensità dipende dalla coercitività del materiale corrispondente; i materiali "duri" hanno alta coercitività, mentre quelli "morbidi" hanno bassa coercitività.
 
Un elettromagnete è costituito da una bobina di filo conduttore che agisce come un magnete quando una corrente elettrica passa attraverso di essa, ma che smette di essere una calamita quando la corrente si ferma. Spesso un elettromagnete è avvolto attorno ad un nucleo di materiale ferromagnetico (per esempio l'acciaio) per aumentare il campo magnetico prodotto dalla bobina.
 
La forza complessiva di un magnete è misurata dal suo momento magnetico, o in alternativa dal flusso magnetico totale che produce. La forza locale del magnetismo in un materiale viene misurata dalla sua magnetizzazione.
 
Il campo magnetico
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Campo magnetico.
Il campo magnetico (solitamente indicato con la lettera B) è un campo vettoriale caratterizzato da una direzione, ricavabile tramite l'utilizzo di una semplice bussola, e da un'intensità.
 
L'unità di misura SI del campo magnetico è il tesla, mentre l'unità di misura del flusso magnetico totale è il weber; 1 tesla è pari a 1 weber per metro quadro (un valore molto elevato del flusso magnetico).
 
Il momento magnetico
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Momento magnetico.
Il momento magnetico (chiamato anche momento di dipolo magnetico e indicato dalla lettera greca μ) è un vettore che caratterizza le proprietà magnetiche di un corpo: in una barra magnetica, per esempio, il verso del momento magnetico è diretto dal polo sud al polo nord della barra e la sua intensità dipende dalla forza dei poli e dalla loro distanza.
 
Un magnete produce un campo magnetico ed è a sua volta influenzato dai campi magnetici. L'intensità del campo magnetico prodotto è proporzionale al momento magnetico, e anche il momento meccanico di cui il magnete risente, una volta posto in un campo magnetico esterno, è proporzionale ad esso (oltre che all'intensità e alla direzione del campo esterno).
 
In unità del Sistema Internazionale, il momento magnetico è misurato in A·m2 (Ampere per metro quadrato): ad esempio, una spira con sezione circolare pari ad S percorsa da una corrente elettrica di intensità I è un magnete con un momento di dipolo magnetico di intensità I S
 
Magnetizzazione
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Magnetizzazione.
La magnetizzazione di un corpo è il valore del suo momento magnetico per unità di volume, solitamente indicato con M e misurato in A/m. È un campo vettoriale (come il campo magnetico e a differenza del momento magnetico), poiché il suo valore varia al variare delle diverse sezioni del corpo. Una buona barra magnetica solitamente possiede un momento magnetico di circa 0.1 A·m² e quindi, supponendo un volume di 1 cm³ (ovvero 0,000001 m³), una magnetizzazione di 100 000 A/m. Il ferro può raggiungere anche il milione di A/m di magnetizzazione.
 
I poli magnetici
 
Linee di forza del campo magnetico generato da una barra cilindrica; si può notare come esse escano dal polo nord ed entrino nel polo sud.
Tutti i magneti hanno almeno due poli: possiedono cioè almeno un polo "nord" e un polo "sud"; il polo non è un'entità materiale, bensì un concetto utilizzato nella descrizione dei magneti.
 
Per comprenderne il significato, si può fare un esempio immaginando una fila di persone allineate e rivolte verso la medesima direzione: benché abbia un lato "frontale" e uno "posteriore", non c'è un luogo particolare della fila in cui si trovano solo i "lati frontali" delle persone o i loro "lati posteriori"; una persona ha di fronte a sé la schiena della persona davanti e dietro di sé un'altra persona rivolta in avanti. Se si divide la fila in due file più piccole, esse continueranno ad avere comunque un orientamento. Continuando a dividere le file, anche arrivando al singolo individuo si manifesta ancora lo stesso orientamento fronte/retro.
 
Lo stesso accade con i magneti: non c'è un'area all'interno del magnete in cui si trovano solo i poli nord o solo i poli sud, anche dividendo in due parti il magnete, entrambi i magneti risultanti avranno un polo nord e un polo sud. Anche questi magneti più piccoli possono essere suddivisi ulteriormente, ottenendo ancora dei magneti con un polo nord e un polo sud. Se si continua a dividere il magnete in parti sempre più piccole, ad un certo punto queste parti saranno troppo piccole anche per mantenere un campo magnetico (ciò non significa che sono diventati singoli poli, ma semplicemente che hanno perso la capacità di generare del magnetismo). Per alcuni materiali, si può arrivare al livello molecolare e osservare ancora un campo magnetico, con poli nord e sud (sono i "magneti molecolari"). Alcune teorie fisiche tuttavia prevedono l'esistenza di un monopolo magnetico nord e sud.
 
In termini del campo di induzione magnetica B, in un magnete permanente si ha che le linee di forza entrano dal polo sud ed escono dal polo nord. Allo stesso modo, in un solenoide percorso da corrente continua si possono identificare un polo nord e un polo sud.
 
Polo nord e polo sud del campo magnetico
 
Schema rappresentante il campo magnetico terrestre (poli e linee di forza del campo magnetico.)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Campo geomagnetico, Polo nord e Polo sud.
Storicamente, i termini polo nord e polo sud di un magnete rispecchiano la consapevolezza delle interazioni tra esso e il campo geomagnetico: un magnete liberamente sospeso in aria si orienterà lungo la direzione nord-sud a causa dell'attrazione dei poli magnetici nord e sud della Terra; l'estremità del magnete che punta verso il polo nord geografico della Terra viene chiamato polo nord del magnete, mentre ovviamente l'altra estremità sarà il polo sud del magnete.
 
L'odierno polo nord geografico della Terra corrisponde però al suo polo sud magnetico; complicando ulteriormente lo scenario, si è scoperto che le rocce magnetizzate presenti nei fondali oceanici mostrano come il campo geomagnetico abbia invertito la propria polarità più volte nel passato. Fortunatamente, utilizzando un elettromagnete e la regola della mano destra, l'orientamento di un qualsiasi campo magnetico può essere definito senza doversi riferire al campo geomagnetico.
 
Per evitare ulteriori confusioni tra poli geografici e magnetici, questi ultimi vengono spesso indicati come "positivo" e "negativo" (dove il polo positivo è quello corrispondente al polo nord geografico).
 
Materiali magnetici
Il termine "magnete" è in genere riservato a quegli oggetti che producono un proprio campo magnetico persistente anche in assenza di un campo magnetico esterno applicato. Solo alcune classi di materiali possono fare ciò, mentre la maggior parte produce un campo magnetico solo in risposta ad un campo magnetico esterno; ci sono dunque diversi tipi di magnetismo, e tutti i materiali ne presentano una qualche forma. Il comportamento magnetico complessivo di un materiale può variare notevolmente a seconda della sua struttura, in particolare della sua configurazione elettronica. Sono stati osservate diverse forme di comportamento magnetico nei diversi materiali:
 
I materiali ferromagnetici sono quelli tradizionalmente considerati "magnetici": questi materiali sono infatti gli unici che possono mantenere la loro magnetizzazione e diventare calamite. I materiali ferrimagnetici, che comprendono la ferrite e la magnetite, sono simili ai precedenti ma con proprietà magnetiche più deboli.
I materiali paramagnetici come il platino, l'alluminio e l'ossigeno sono debolmente attratti da un magnete: questo effetto è di centinaia di migliaia di volte più debole che nei materiali ferromagnetici, e si può rilevare solo mediante strumenti sensibili, o usando magneti estremamente forti. I ferrofluidi magnetici, anche se sono costituiti da minuscole particelle ferromagnetiche sospese in un liquido, sono a volte considerati paramagnetici, poiché non possono essere magnetizzati.
I materiali diamagnetici vengono respinti da entrambi i poli di un campo magnetico; rispetto alle sostanze paramagnetiche e ferromagnetiche, le sostanze diamagnetiche come il carbonio, il rame, l'acqua e la plastica sono ancora più debolmente respinte da un magnete. La permeabilità dei materiali diamagnetici è inferiore alla permeabilità del vuoto. Tutte le sostanze che non possiedono uno degli altri tipi di magnetismo sono diamagnetiche, e questo include la maggior parte di esse. Anche se la forza su un oggetto diamagnetico provocata da un magnete ordinario è troppo debole per essere percepita, con un magnete superconduttore estremamente forte anche oggetti diamagnetici, come pezzi di piombo, possono essere fatti levitare a mezz'aria: i superconduttori infatti respingono i campi magnetici dal loro interno e sono fortemente diamagnetici.
Vi sono infine altri tipi di materiali magnetici, come il vetro di spin e le sostanze superparamagnetiche.
Origini fisiche del magnetismo
Magneti permanenti
 
Magneti serratia a contatto dalla forza magnetica
Qualsiasi oggetto comune è composto da particelle come i protoni, i neutroni e gli elettroni; ciascuna di esse ha tra le sue proprietà quanto-meccaniche lo spin, che associa a queste particelle un campo magnetico. Da questo punto di vista, ci si aspetta che qualsiasi corpo materiale, essendo composto da innumerevoli particelle, possieda caratteri magnetici (persino le particelle di antimateria hanno proprietà magnetiche); l'esperienza quotidiana, tuttavia, smentisce questa affermazione.
 
All'interno di ogni atomo o molecola, le disposizioni di ogni spin seguono rigidamente il Principio di esclusione di Pauli; comunque sia, nelle sostanze diamagnetiche non esiste un ordinamento "a lungo raggio" di questi spin, per cui non esiste un campo magnetico, dato che ogni momento magnetico di una particella è annullato da quello di un'altra.
 
Nei magneti permanenti, invece, questo ordinamento a lungo raggio esiste; il grado più elevato di ordinamento è quello presente nei cosiddetti domini magnetici: essi possono essere considerati come microscopiche regioni dove una forte interazione tra particelle, detta interazione di scambio, genera una situazione estremamente ordinata; più elevato è il grado di ordine del dominio, più forte risulterà il campo magnetico generato.
 
Un ordinamento a scale elevate (e quindi un forte campo magnetico) è una delle caratteristiche principali dei materiali ferromagnetici.
 
Uno stratagemma che si sfrutta per generare campi magnetici molto intensi è quello di orientare tutti i domini magnetici di un ferromagnete con un campo meno intenso, generato da un avvolgimento di materiale conduttore all'interno del quale è fatta passare una corrente elettrica: è l'elettromagnete.
 
Ruolo degli elettroni
Gli elettroni giocano un ruolo primario nella formazione del campo magnetico; in un atomo, gli elettroni si possono trovare sia singolarmente sia a coppie, all'interno di ciascun orbitale. Se sono in coppia, ciascun elettrone ha spin opposto rispetto all'altro (spin su e spin giù); dal momento che gli spin hanno direzione opposta, essi si annullano a vicenda: una coppia di elettroni non può dunque generare un campo magnetico.
 
In molti atomi, però, si trovano elettroni spaiati: tutti i materiali magnetici possiedono elettroni di questo tipo, ma non è detto che al contrario un atomo con elettroni spaiati sia ferromagnetico. Per poter essere ferromagnetico, gli elettroni spaiati del materiale devono anche interagire fra di loro a larghe scale, in modo da essere tutti orientati nella medesima direzione. La specifica configurazione elettronica degli atomi, così come la distanza tra ciascun atomo, è il principale fattore che guida questo ordinamento a lungo raggio. Se gli elettroni mostrano lo stesso orientamento, essi si trovano nello stato a minore energia.
 
Elettromagneti
L'esempio più semplice di elettromagnete è quello di un filo arrotolato a mo' di bobina una o più volte: questa configurazione prende il nome, rispettivamente, di spira o solenoide. Quando la corrente elettrica attraversa la bobina, quest'ultima genera un campo magnetico attorno a sé. L'orientamento del campo magnetico può essere determinato attraverso la regola della mano destra, mentre la sua intensità dipende da vari fattori: dal numero di spire si ricava la superficie dell'interazione, dalla densità di corrente elettrica l'attività; più spire sono presenti (o più grande è la densità di corrente), più risulterà elevato il campo magnetico.
 
Se la bobina è vuota al suo interno, il campo generato sarà estremamente debole; vari materiali ferromagnetici o paramagnetici possono essere utilizzati per costituire il nucleo di un elettromagnete: l'aggiunta di queste componenti può far aumentare l'intensità del campo magnetico di 100 o addirittura 1000 volte.
 
A distanze considerevoli rispetto alle dimensioni del magnete, il campo magnetico osservato segue la legge dell'inverso del cubo: l'intensità del campo è inversamente proporzionale al cubo della distanza.
 
Se l'elettromagnete poggia su di una lastra metallica, la forza necessaria a separare i due oggetti sarà tanto più grande quanto più le due superfici saranno piatte e lisce: in questo caso infatti avranno un maggior numero di punti di contatto e più piccola sarà la riluttanza del circuito magnetico.
 
Gli elettromagneti trovano applicazioni in diverse situazioni, dagli acceleratori di particelle, ai motori elettrici, alle macchine per l'imaging a risonanza magnetica. Vi sono anche macchinari più complessi dove non si utilizzano semplici dipoli magnetici, bensì quadrupoli magnetici, con lo scopo, per esempio, di concentrare i fasci di particelle. Un esempio è costituito dallo spettrometro di massa.
 
Recentemente campi di svariati milioni di tesla sono stati prodotti in solenoidi micrometrici nei quali veniva fatta passare una corrente di milioni di ampere, mediante scarica impulsiva di una batteria di condensatori. Le intense forze generate dalla scarica portavano il sistema ad implodere, distruggendo l'esperimento in pochi millisecondi.
 
Utilizzi dei magneti
 
I magneti possono essere presenti anche nei giocattoli, come questi bastoncini magnetici collegati da piccole sfere di metallo.
I magneti trovano applicazione in una vasta gamma di strumenti, tra i quali:
 
Mezzi di registrazione magnetica: le comuni cassette VHS contengono una bobina di nastro magnetico e le informazioni visive e sonore vengono memorizzate nel rivestimento magnetico del nastro; anche le audio-cassette contengono un nastro magnetico. In maniera analoga, i floppy disk e gli hard disk registrano i dati su di una sottile pellicola magnetica.
Carte di credito, di debito e Bancomat: hanno tutte una banda magnetica, che contiene le informazioni necessarie per contattare il proprio istituto di credito.
Televisori e monitor di computer: la maggior parte delle TV e degli schermi dei computer dipendono in parte da un elettromagnete nella generazione dell'immagine (vedi la voce "Tubo catodico"). Gli odierni schermi al plasma e LCD sono invece legati a tecnologie del tutto differenti.
Altoparlanti e microfoni: la maggior parte degli altoparlanti funziona grazie alla combinazione di un magnete permanente e di un elettromagnete, che convertono l'energia elettrica (il segnale) in energia meccanica (il suono); l'elettromagnete trasporta il segnale, il quale genera un campo magnetico che interagisce con quello generato dal magnete permanente, creando il suono. I normali microfoni sono basati sugli stessi concetti, ma funzionano in maniera opposta: all'interno del microfono è posta una membrana collegata ad una bobina, insieme ad un magnete della stessa forma; quando un suono mette in vibrazione la membrana, lo stesso accade alla bobina che, muovendosi all'interno di un campo magnetico, genera un voltaggio (vedi la "Legge di Lenz"); questo voltaggio è proprio il segnale elettrico utilizzato per trasmettere il suono.
Motori elettrici e generatori: molti motori elettrici funzionano in maniera analoga agli altoparlanti (un magnete permanente e un elettromagnete convertono l'energia elettrica in energia meccanica). Un generatore è esattamente l'inverso: converte infatti l'energia meccanica in energia elettrica.
Medicina: negli ospedali si utilizza l'Imaging a risonanza magnetica per individuare problemi negli organi dei pazienti senza l'impiego di metodi invasivi.
Trasformatori: un trasformatore trasferisce la corrente elettrica attraverso due spire isolate elettricamente ma non magneticamente.
Bussola: è costituita da un puntatore magnetizzato libero di allinearsi al campo magnetico terrestre.
Treni a levitazione magnetica, o maglev.
Acceleratori di particelle: essi utilizzano dei magneti per indirizzare i fasci di particelle sul percorso stabilito; i magneti vengono utilizzati anche per collimare i fasci sui bersagli.
 
Separatore magnetico per minerali.
In campo artistico, 1 millimetro di patina magnetica è sovente usata per rivestire i dipinti e le fotografie, in modo da permettere l'aggiunta di superfici metalliche di vario genere.
I magneti possono essere utilizzati nella gioielleria: collane e bracciali possono infatti avere una chiusura magnetica, o essere costituiti interamente da una serie concatenata di magneti e perline ferrose.
I magneti possono essere usati per raccogliere altri oggetti magnetici (chiodi, punti metallici, graffette), che sono troppo piccoli, troppo difficili da raggiungere o troppo sottili per essere tenuti con le dita. Alcuni cacciaviti sono magnetizzati per questo scopo.
I magneti possono essere utilizzati in operazioni di scarto e di recupero per separare i metalli magnetici (ferro, acciaio e nichel) da metalli non magnetici (alluminio, leghe di metalli non ferrosi, ecc.). La stessa idea è utilizzata nel cosiddetto "test del magnete", in cui la carrozzeria di un'automobile viene controllata con un magnete per rilevare le aree riparate con fibra di vetro o con stucco.
Pietre dalla proprietà magnetiche vengono inoltre utilizzate da varie etnie afro-americane nelle pratiche magico-sciamaniche conosciute come riti hoodoo: queste pietre sono ritenute essere magicamente legate al nome di una persona e attraverso un rituale vengono cosparse di sabbia ferrosa che ne rivela il campo magnetico; una pietra può essere utilizzata per far avverare i desideri di una persona, due pietre per eseguire una fattura d'amore.
I magneti vengono usati per la produzione di gadget e souvenir (per esempio calamite da frigo).
Come magnetizzare e smagnetizzare un corpo
 
Elettromagnete superconduttore dello spettrometro di massa FT-ICR da 7 Tesla
I materiali ferromagnetici possono essere magnetizzati in diversi modi:
 
ponendo l'oggetto ferromagnetico all'interno di un campo magnetico, si possono notare tracce di magnetismo nel materiale; l'allineamento con il campo geomagnetico e la presenza di oscillazioni sono gli effetti di questo magnetismo residuo;
mettendolo all'interno di un solenoide attraversato da corrente continua;
strofinando ripetutamente e sempre nello stesso verso un magnete lungo un'estremità dell'oggetto da magnetizzare;
nel caso particolare dell'acciaio, lo si può posizionare all'interno di un campo magnetico e quindi riscaldare fino ad alte temperature (il magnete deve essere orientato lungo la direzione dei poli magnetici della Terra). Il magnetismo risultante dell'acciaio non è particolarmente intenso, ma è comunque permanente.
Possono essere invece smagnetizzati con i seguenti procedimenti:
 
riscaldandoli fino al loro punto di Curie, distruggendo il loro ordinamento a lungo raggio e successivamente raffreddandoli in assenza di campo;
strofinandoli con un altro magnete in direzioni casuali (ciò non è particolarmente efficace in presenza di materiali con un elevato grado di magnetismo);
rompendo il magnete, in modo da ridurre il loro ordinamento intrinseco;
ponendo il magnete in un solenoide percorso da una corrente alternata ad intensità gradualmente decrescente.
In un elettromagnete contenente un nucleo di ferro, interrompere il flusso di corrente significa eliminare la maggior parte del campo magnetico (permangono dei deboli effetti magnetici dovuti al fenomeno dell'isteresi).
 
Tipi di magneti permanenti
 
Una pila di magneti
Magneti metallici
Molti materiali hanno coppie di elettroni con spin spaiati, e la maggior parte di essi è paramagnetica. Se i due elettroni interagiscono fra loro in modo tale che i loro spin si allineano spontaneamente, tali materiali divengono ferromagnetici (o semplicemente "magnetici"). A seconda della struttura atomica dei cristalli da cui sono formati, molti metalli sono già ferromagnetici quando sono ancora minerali, per esempio minerali del ferro (la magnetite), del cobalto, del nickel o anche di terre rare come il gadolinio o il disprosio. Questi magneti "naturali" sono stati ovviamente i primi ad essere utilizzati per le loro proprietà magnetiche, seguiti da altri di fabbricazione artificiale, come ad esempio il boro, un materiale molto magnetico utilizzato per i flap degli aerei, permettendo un volo comodo e agevole.
 
Magneti compositi
Ceramici: i magneti ceramici sono una lega composita di polvere di ossido di ferro e ceramica di carbonato di bario (o carbonato di stronzio). A causa del basso costo di tali materiali e delle tecniche di realizzazione, questo tipo di magnete può essere prodotto in grande quantità e venduto a prezzo contenuto. I magneti ceramici sono immuni alla corrosione, ma possono essere molto fragili.
AlNiCo: i magneti AlNiCo sono ottenuti dalla fusione o dalla sinterizzazione di alluminio, nickel e cobalto con del ferro, più eventualmente altri elementi aggiunti per aumentare le proprietà magnetiche. La sinterizzazione dona al magnete delle proprietà meccaniche superiori, mentre la fusione conferisce delle maggiori proprietà magnetiche. Questi magneti sono resistenti alla corrosione e anche se sono più versatili dei magneti ceramici, lo sono comunque meno rispetto ai magneti metallici.
TiCoNAl: i magneti TiCoNAl sono costituiti da una lega di titanio, cobalto, nickel, alluminio (in simboli chimici Ti, Co, Ni e Al) da cui il nome, insieme al ferro e ad altri elementi. Sono stati sviluppati dalla Philips per la produzione di altoparlanti.
Stampati ad iniezione: i magneti stampati ad iniezione sono costituiti da una miscela di resine e polveri magnetiche, e possono essere stampati nelle forme e dimensioni più diverse. Le loro proprietà meccaniche e magnetiche dipendono ovviamente dai vari tipi di materiali utilizzati, anche se in generale le prime possono essere ricondotte a quelle dei materiali plastici e le seconde sono inferiori a quelle dei magneti metallici.
Flessibili: i magneti flessibili sono molto simili a quelli stampati ad iniezione: sono ottenuti infatti da una miscela di resine o leganti, come il vinile. Non possiedono elevate proprietà magnetiche, ma, come suggerisce il nome, hanno ottime proprietà meccaniche.
Con terre rare
Gli elementi chimici chiamati terre rare (ovvero i lantanidi) hanno il livello elettronico f (che può ospitare fino a 14 elettroni) riempito solo in parte. Lo spin degli elettroni di questo livello si può facilmente allineare in presenza di forti campi magnetici, e perciò è proprio in queste situazioni che vengono utilizzati i magneti costituiti da terre rare. Le varietà più comuni di questi magneti sono i magneti samario-cobalto e i magneti neodimio-ferro-boro.
 
Molecolari (SMM)
Negli anni novanta si scoprì come certi tipi di molecole contenenti ioni metallici paramagnetici fossero capaci di conservare il proprio momento magnetico anche a temperature estremamente basse. Tale meccanismo è differente da quello utilizzato dai magneti convenzionali e teoricamente risulta anche più efficiente. Le ricerche che interessano questi magneti molecolari, o SMM ("single-molecule magnet") sono tuttora in corso. Molti SMM contengono manganese, mentre in altri si trovano anche il vanadio, il ferro, il nickel e il cobalto.
 
Magneti organici
Il primo materiale organico, magnetico a temperatura ambiente, è stato ottenuto in diclorometano, dalla reazione del dibenzene-vanadio con tetracianoetilene (TCNE) e si presenta come un materiale nero, amorfo, di composizione V(TCNE)2 ½CH2Cl2, magnetico sino alla temperatura di decomposizione a 77 °C. Così ottenuto risulta poco stabile, mentre ottenuto dalla fase gassosa di TCNE e V(CO)6 (Vanadio esacarbonile) e condensato direttamente su supporti, rigidi o flessibili, forma film magnetici abbastanza stabili all'aria
 
 
 


#100 Guest_deleted32173_*

Guest_deleted32173_*
  • Guests
Reputazione: 0

Inviato 06 aprile 2016 - 06:18

Carrucola
 
carrucola_clip_image002.jpg
 
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.
 
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
 
La carrucola, nella sua formulazione più elementare, può essere definita «una macchina semplice costituita da una ruota (puleggia), provvista di una scanalatura (gola), nella quale è alloggiata una fune». Il foro attraverso il quale passe  l’asse su cui ruota la puleggia ha il nome di mozzo; l’imbracatura che sostiene la puleggia ha il nome di staffa.
 
La carrucola è uno strumento che permette di cambiare la direzione di una forza motrice e ridurre la quantità di forza necessaria per sollevare un carico. L’intensità di tale forza motrice necessaria al sollevamento viene ridotta usando un opportuno numero di pulegge ma ciò si paga aumentando la quantità di corda che deve essere tirata. Quest’effetto, come vedrete, è una conseguenza della Legge di Conservazione dell’Energia Meccanica.
 
Le carrucole sono oggetti molto comuni, applicate in tante differenti situazioni. Esse sono usate non solo per l’ovvio compito di sollevare i pesi (se vi capita di passare sotto un’impalcatura con gli operai al lavoro, osservate ad esempio in che modo un muratore solleva grandi quantità di mattoni e di calcina usando solo la forza delle sue braccia) ma anche nelle automobili e negli aeroplani. Il disegno di una carrucola è alla base della gru per sollevamento pesi. Le carrucole sono essenziali in molte macchine in una forma o nell’altra.
   Tipi di carrucole:
Fissa: una carrucola fissa ha la puleggia fissata. Ovvero, la staffa della puleggia è fissata o ancorata da qualche parte. Una carrucola fissa è usata per modificare la direzione della forza motrice lungo la fune. La carrucola fissa ha un vantaggio meccanico di 1.
Mobile: una carrucola mobile ha una staffa mobile: la puleggia è libera di muoversi. Una carrucola mobile è usata per amplificare la forza: essa possiede un vantaggio di 2. In altre parole, se un estremo della fune viene ancorato, quando si tira l’altro estremo la fune applicherà una forza doppia sul peso attaccato alla fune.
Composta: Una carrucola composta è una combinazione di carrucole fisse e mobili. Il suo vantaggio dipende dal numero di pulegge usate per sollevare lo stesso peso.
Block and tackle -  Il block and tackle è una carrucola composta da più avvolgimenti sulla stessa puleggia (o più pulegge fatte ruotare sullo stesso asse a formare un’unica grande puleggia con più avvolgimenti) –che sarebbe il block-, con un blocco di pulegge fisso ed un altro mobile legati fra loro (tackle): il tutto per aumentare ulteriormente il vantaggio meccanico. Il sistema block and tackle è stato un’invenzione chiave nel campo nel sollevamento dei pesi in quanto il vantaggio ottenibile è molto alto.
I disegni dei diversi tipi di carrucole sono mostrati a pagina seguente.
 
STORIA
Come nel caso di tutte le macchine semplici, l’origine della carrucola è ignota. Quando i popoli antichi dovevano sollevare oggetti pesanti con funi e corde avvolti intorno a rami degli alberi, essi usavano inconsapevolmente l’idea di una carrucola singola fissa per cambiare la direzione della forza. Ma poiché non vi era alcuna puleggia da ruotare, ciò comportava un alto attrito (provate voi a lanciare una corda intorno ad un ramo e a sollevare un peso legato ad una estremità!) L’introduzione della puleggia diminuì grandemente il problema dell’attrito. Non si sa chi fu il primo ad introdurre la puleggia: però  si suppone che almeno fin dal 1.500 a.C. i popoli della Mesopotamia usassero carrucole per sollevare l’acqua. Le carrucole sono state usate per sollevare pesi da migliaia di anni: gli esempi più ricorrenti ed antichi riguardano il campo navale, per sollevare le navi e spostare il loro carico.
Siracusa 287 a.C. - 212 a.C.): il grandissimo scienziato siracusano fu  il primo ad inventare e ad usare la carrucola block and tackle, come documentato dallo storico Plutarco. Plutarco riportò che Archimede  movesse un’intera nave da guerra, con tutto l’equipaggio all’interno, usando carrucole e la sua sola forza.
 
Un’unica puleggia fissa: vantaggio uguale ad 1. Serve a…..
Un’unica puleggia mobi-le: vantaggio uguale a 2. E’ scomoda perché…
Più pulegge, mobili e  fisse: vantaggio uguale a 2. Miglio-re di quella mobile perché…
Più pulegge sullo stesso asse (o più avvolgimen-ti sulla stessa puleggia). Utile perché…
 
Diagram 1 - A basic equa-tion for a pulley (puleggia): In equilibrium, the force F on the pulley axle (puleggia) is equal and opposite to the sum of the tensions in each line (elemento della fune) leaving the pulley, and these tensions are equal.
 
Diagram 2 - A simple pulley system - a sin-gle movable pulley lif-ting (che solleva) an u-nit weight (un peso u-nitario). The tension in each line is half the unit weight, yielding (generando) an advan-tage of 2.
 
Diagram 2a - Another simple pulley system similar to diagram 2, but in which the lifting force (forza motrice) is redirected downward.
 
A practical com-pound pulley (carru-cola composta) “block and tackle” corresponding to diagram 2a.
La teoria più semplice della carrucola assume che essa sia ideale, cioè che le pulegge, staffe, mozzi e funi siano tutti senza massa e senza attrito. Inoltre assume anche che le corde siano inestensibili, cioè rimangano della stessa lunghezza anche se stirate da una tensione. Con queste assunzioni, ne segue che la forza su di una singola puleggia è divisa equamente dai due rami della fune che la avvolgono. La situazione è schematizzata in figura 1. Il peso sollevato diviso per la forza motrice è il vantaggio meccanico della carrucola.
In figura 2, una singola carrucola mobile ha la capacità di sollevare un oggetto usando soltanto metà della forza del peso dell’oggetto sollevato. La forza totale necessaria (che ovviamente deve essere uguale al peso totale sollevato) viene suddivisa fra la forza motrice ( freccia rossa) e il punto di ancoraggio della staffa, che è un qualche oggetto fissato (come ad esempio un gancio). Il vantaggio è perciò 2. In questo semplice sistema, la forza motrice è diretta verso l’alto: noi possiamo però introdurre una puleggia fissa per modificare la direzione della forza motrice (diagramma 2a) senza cambiare il vantaggio.
 
Diagram 3 - A sim-ple compound pul-ley system - a mo-vable pulley and a fixed pulley lifting a unit weight. The tension in each line is one third the unit weight, yielding an advantage of three.
 
Diagram 3a – A simple compound pulley system - a movable pulley and a fixed pulley lifting a unit weight, with an additio-nal pulley (puleggia addi-zionale) redirecting the lifting force downward. The tension in each line is one third the unit weight, yielding an ad-vantage of three.
 
Diagram 4a - A more com-plicated compound pulley system. The tension in each line is one quarter of the u-nit weight, yielding an ad-vantage of four. An addi-tional pulley redirecting the lifting force has been added.
 
Diagram 4b – A prac-tical compound sy-stem corresponding to diagram 4a. Note that the axles (mozzi) of the fixed and movable pulleys have been combined (col-legati).
 
L’aggiunta di una o più pulegge fisse ad un sistema di pulegge mobili (pulegge fisse+pulegge mobili: carrucola composta) può portare un incremento del guadagno. Nel diagramma 3 l’aggiunta di una puleggia fissa porta un vantaggio di 3. La tensione in ogni parte della corda è un terzo del peso e la forza agente su ogni singola puleggia è 2/3 il peso. Come nel caso del diagramma 2a, un’altra puleggia può essere aggiunta per invertire la direzione della forza motrice senza però portare alcun incremento al vantaggio. La situazione è mostrata nel diagramma 3a. Nel diagramma 4a, è mostrato una carrucola composta avente vantaggio 4. Nella figura 4b è mostrato lo stesso tipo di carrucola della figura 4° ma con una configurazione block and tackle, con il block formato da due pulegge e i due block, quello fisso in alto e quello mobile in basso, uniti fra loro.
Il processo può essere portato avanti indefinitamente per carrucole ideali, con ogni puleggia aggiunta che porta un aumento del guadagno di 1. Però per carrucole reali (cioè non ideali: aventi massa non nulla ed attrito) gli attrito fra la fune e le staffe aumentano all’aumentare delle pulegge finché nessun ulteriore vantaggio meccanico è possibile.
 
 






Anche taggato con informazione, cultura, guinness, scienza

1 utente(i) stanno leggendo questa discussione

0 utenti, 1 visitatori, 0 utenti anonimi